Tumore ovarico: i sintomi da “ascoltare”

Secondo uno studio recente più del 70% delle donne presenta almeno un disturbo quando il cancro è ancora in stadio iniziale

Il cancro dell’ovaio è il più letale tra i tumori ginecologici, complice una diagnosi tardiva in otto casi su dieci. Sebbene negli ultimi anni siano stati fatti grandi progressi sul fronte delle terapie grazie all’introduzione dei PARP inibitori, riuscire a scoprirlo quando ancora in fase iniziale potrebbe fare la differenza per le oltre 5000 italiane che ogni anni sviluppano la malattia. Il primo passo che le donne dovrebbero fare per andare in questa direzione, a maggior ragione se ad alto rischio genetico (per esempio perché portatrici di mutazioni nei geni BRCA1 o BRCA2) è imparare ad ascoltare meglio il proprio corpo. Esistono infatti dei segnali premonitori che, per quanto vaghi e aspecifici, possono indirizzare verso una diagnosi precoce. Lo sottolinea uno studio appena pubblicato sulla rivista Obstetrics & Gynecology, coordinato da ricercatori della Palo Alto Foundation, California Pacific, Sutter Research Institute di Palo Alto, negli Stati Uniti.

I sintomi più comuni

I ricercatori statunitensi hanno analizzato in modo retrospettivo i dati relativi a più di 400 pazienti, tutte con tumori ovarici epiteliali ad alto rischio in stadio iniziale. Ebbene il 40% di queste donne presentava almeno un sintomo e il 32% più di un sintomo all’esordio della malattia, cosa che ha permesso di arrivare a una diagnosi precoce. Il restante 28% delle partecipanti allo studio non aveva invece alcun disturbo e la scoperta del tumore è partita dall’esame fisico delle masse addominali.

Dolore addominale e dolore pelvico sono risultati i sintomi più comuni, seguiti dalla sensazione di pienezza o l’aumento della circonferenza addominale, sanguinamento vaginale anomalo, problemi urinari e disturbi gastrointestinali. Non è invece emerso alcun legame tra il numero di sintomi e l’età (superiore o inferiore a 60 anni), lo stadio della malattia o il sottotipo istologico.

In generale le pazienti con tumori di dimensioni maggiori (sopra i 15 centimetri) avevano maggiori probabilità di avere sintomi multipli rispetto alle compagne con masse tumori più piccole (sotto i 10 centimetri).

Più attenzione alla sintomatologia

Per favorire la diagnosi precoce, sostengono gli autori della ricerca, sia le donne sia gli operatori sanitari dovrebbero essere più guardinghi in presenza di sintomi sospetti, per quanto spesso generici e comuni ad altre patologie. Le possibilità di guarigione raggiungono almeno l’80% se il tumore è diagnosticato e trattato quando ancora in fase precoce, mentre si riducono notevolmente quando la diagnosi è tardiva. Purtroppo oggi non disponiamo di strategie di screening attendibili, al contrario di quanto avviene per altri tumori ginecologici come quello al seno (ecografia, mammografia) o dell’utero (pap test). Questo però non significa che il carcinoma ovarico non possa essere scoperto quando ancora in fase iniziale, prestando maggiore attenzione alla sintomatologia, ma anche studiando nuovi biomarcatori.

Donne a rischio

In conclusione l’attenzione a eventuali segnali spia dovrebbe essere maggiore e questo è ancora più vero per le donne ad alto rischio di sviluppare il carcinoma dell’ovaio. Fino al 10 per cento dei tumori epiteliali dell’ovaio è su base famigliare ed è da attribuire a mutazioni nei geni BRCA1 o BRCA2. In particolare, la presenza di mutazioni nel gene BRCA1 aumenta di circa 40 volte il rischio di sviluppare il cancro dell’ovaio e di 4-5 volte il rischio di avere un tumore al seno, rispetto alla popolazione generale. Se è presente una famigliarità si consiglia quindi di effettuare una consulenza oncogenetica ed eventualmente di verificare la presenza di queste mutazioni con un test genetico, in modo tale da poter mettere in atto una strategia preventiva o quanto meno di stretto monitoraggio. Inoltre, terminata la storia riproduttiva, quando non si desiderano altri figli, va presa in considerazione la chirurgia preventiva con l’asportazione di tube e ovaie (come nel caso emblematico dell’attrice Angelina Jolie e, più di recente, della ex tennista Chris Evert).

© 2022 Fondazione Mutagens ETS. Tutti i diritti riservati.

Leggi altre notizie