Tumore alla prostata: un test delle urine per riconoscere le forme aggressive

Messa a punto da ricercatori statunitensi un’analisi di 18 geni correlati al carcinoma prostatico che aiuta a distinguere le forme da trattare subito da quelle indolenti e può evitare inutili biopsie

I tumori alla prostata possono essere molto aggressivi, con la tendenza a diffondersi rapidamente, o al contrario indolenti. I primi, definiti di alto grado, richiedono un trattamento tempestivo, i secondi, detti di basso grado, invece possono essere solo tenuti sotto controllo nel tempo con un programma di sorveglianza attiva. Il problema è riuscire a distinguerli. Oggi occorre eseguire una biopsia, ma un nuovo test delle urine che si basa sull’analisi di 18 geni potrebbe diventare in futuro una strategia non invasiva complementare. Il nuovo test, chiamato MPS2, sarebbe infatti in grado di identificare i tumori prostatici di alto grado e, soprattutto, di escludere neoplasie di basso grado, permettendo così di evitare biopsie non necessarie ai pazienti. La segnalazione viene da uno studio americano, pubblicato di recente sulla rivista JAMA Oncology.

I limiti del PSA

L’esame del PSA è stato ampiamente utilizzato come passo iniziale nello screening del cancro alla prostata. I valori di questo biomarcatore, però, possono aumentare non solo in presenza di cancro della prostata, ma anche in condizioni fisiologiche o in caso di patologia benigna (falsi positivi). Inoltre, talvolta, il PSA può risultare entro i limiti di riferimento, pur in presenza di patologia tumorale (falsi negativi). 

Di conseguenza, l’uso del solo PSA elevato per richiedere una biopsia prostatica comporta numerose biopsie non necessarie. Sebbene generalmente sicure, le biopsie prostatiche sono invasive, scomode e comportano il rischio di complicazioni preoccupanti. Da qui la necessità di identificare strategie alternative non solo per identificare il tumore alla prostata, ma anche per distinguere le forme aggressive da quelle a lenta evoluzione. Ed è questo l’obiettivo che si sono posti i ricercatori statunitensi e che ha portato allo sviluppo del test sulle urine MPS2.

Il nuovo test

MPS2, ovvero MyProstateScore2, è l’evoluzione di un test precedente (MPS) messo a punto dagli stessi ricercatori dieci anni prima. Per migliorare l’efficienza del test originario, gli studiosi statunitensi hanno sequenziato l’RNA di oltre 58 mila geni per approdare alla fine a selezionarne 18 più strettamente correlati ai tumori prostatici di alto grado. Il test è stato sviluppato in una coorte di 761 uomini e validato su 743 uomini con un’età media di 62 anni e un livello medio di PSA di 5,6. In pratica i ricercatori hanno incrociato i dati ottenuti con il nuovo test diagnostico sulle urine con le cartelle cliniche dei pazienti con tumore alla prostata. Da questa analisi è emerso che MPS2 è efficace nell’individuare i tumori di alto grado e allo stesso tempo capace di escludere, in pressoché il 100% dei casi, i tumori di basso grado.

«In quasi 800 pazienti con un livello elevato di PSA, il nuovo test è stato in grado di escludere la presenza di un cancro alla prostata clinicamente significativo con notevole precisione – osserva il primo autore dello studio Jeffrey Tosoian, assistente professore di urologia e direttore della Ricerca traslazionale sul cancro presso il Vanderbilt University Medical Center -. Ciò consente ai pazienti di evitare test più gravosi e invasivi, come la risonanza magnetica e la biopsia prostatica, con la grande certezza che non ci stiamo perdendo qualcosa».

Meno biopsie rispetto ad altri metodi di screening

Mentre i test sui biomarcatori esistenti (tra cui il PSA, l’Indice di salute prostatica/PHI e il test MPS originario) avrebbero potuto evitare dal 15 al ​​30% delle biopsie non necessarie (ovvero biopsie negative o che hanno rilevato tumori di basso grado che non richiedevano trattamento), l’uso di MPS2 avrebbe evitato dal 35 al ​​42% delle biopsie non necessarie. Il miglioramento è stato ancora più pronunciato negli uomini con una storia di precedente biopsia negativa, riducendo il tasso di seconde biopsie non necessarie dal 46 al 51% con l’uso di MPS2, rispetto al 9 al 21% per i test esistenti.

Il nuovo test favorirebbe quindi una maggiore precisione nel rilevare tumori clinicamente significativi rispetto al PSA e ad altri test sui biomarcatori esistenti.

Nello studio non è invece stato fatto un confronto con la risonanza magnetica multiparametrica, un’altra indagine di seconda linea che può migliorare il rilevamento di tumori alla prostata clinicamente significativi, attualmente oggetto di uno studio prospettico in corso ad opera degli stessi ricercatori.

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