Nuove raccomandazioni e prospettive per l’estensione dei test genetici ad un più ampio numero di pazienti

In Italia i portatori di sindromi ereditarie di predisposizione ai tumori sono circa 1.250.000, di cui circa 387.000 con varianti patogenetiche BRCA, 625.000 con varianti in altri geni del sistema di ricombinazione omologa (HR), 215.000 con sindrome di Lynch e difetti del sistema di riparazione del mismatch (MMRd), 25.000 con altre sindromi più rare (Li Fraumeni, Cowden, VHL, ecc.) certamente ancora fortemente sottostimate. Una grande criticità di salute pubblica è che ad oggi mediamente almeno l’80%-85% di tali soggetti ad alto rischio genetico – con una probabilità di ammalarsi nell’arco della vita da 4 a 40 volte in più della popolazione normale – non ne sono consapevoli, per non essere stati ancora sottoposti ad un test genetico volto ad appurarne la presenza. Le ragioni passate del limitato accesso ai test genetici erano gli elevati costi e tempi di esecuzione dei test genetici e la limitatezza del numero di genetisti medici – gli unici specialisti che possono fornire una consulenza genetica -, oltre alle scarse conoscenze sulle correlazioni tra genotipi e fenotipi tumorali e alle scarse opzioni di gestione del rischio genetico. Negli ultimi anni alcuni di tali limiti sono stati gradualmente superati: grazie alle nuove tecnologie NGS (Next Generation Sequencing) i costi e i tempi di esecuzione dei test genetici si sono drasticamente ridotti e sono ormai disponibili ampi “pannelli multigenici”, in grado di scansionare porzioni ampie del DNA e rintracciare varianti patogenetiche meno frequenti nella popolazione. 

Le stesse conoscenze scientifiche e cliniche sui tumori stanno progredendo in misura impressionante, sia in quelli sporadici – che costituiscono la quota prevalente – sia in quelli ereditari – determinati da alterazioni nel DNA costituzionale -, che oggi sono stimati in almeno il 10-15% dei nuovi casi, ben oltre il dato storico in letteratura che li collocava sotto il 5%. Anche sul piano terapeutico sono stati fatti enormi progressi: inizialmente grazie alla chirurgia profilattica sugli organi a rischio – 10 anni fa fece scalpore l’outing di Angelina Jolie, portatrice di una variante BRCA1, che si sottopose da sana ad una mastectomia bilaterale e annessiectomia di riduzione del rischio -; più di recente grazie alla messa a punto di nuovi farmaci in grado di far leva su tali difetti genetici, ostacolando il sistema di replicazione del tumore (PARP inibitori), o addirittura “sbloccando” il sistema immunitario e riattivando una risposta organica al tumore (inibitori del check-point immunitario). Alcuni di tali farmaci sono già stati approvati da anni dalle autorità regolatorie (FDA, EMA e AIFA) e sono entrati nella pratica clinica per i pazienti con specifiche caratteristiche genetiche (sul tessuto tumorale o nel loro DNA costituzionale) e cliniche (organo affetto e stadiazione della malattia). Questi stessi farmaci e altri in fase di sviluppo sono oggetto di centinaia di sperimentazioni cliniche in corso, volte a renderli accessibili ad un numero sempre maggiore di pazienti (ad es. per altri organi affetti, anche nei primi stadi di malattia, in alcuni casi prima di eventuali interventi chirurgici), visti i brillanti risultati ottenuti da quello che viene considerato il futuro della oncologia: la medicina di precisione o medicina personalizzata. Senza dimenticare che, a medio termine e grazie agli enormi progressi scientifici ottenuti sui vaccini a mRNA per il COVID, si sta prospettando un’ulteriore rivoluzione, in grado di offrirci il “match-point” definitivo nella lotta contro il cancro: i vaccini a mRNA anticancro terapeutici e in alcuni casi (ad es. per i portatori di sindromi ereditarie) anche preventivi, cioè su soggetti sani ad alto rischio di malattia. In sintesi, lo scenario attuale e futuro nella lotta ai tumori sta evolvendo molto rapidamente e non ci sono più remore anche nella comunità scientifica nel parlare di “possibile guarigione” dal cancro, benché tale percorso sarà graduale e non omogeneo per tutte le patologie e per tutti i pazienti.

In tale contesto evolutivo va guardata con estrema attenzione la notizia appena arrivata dagli USA sulla necessità di estendere in modo significativo l’accesso ai test genetici sui pazienti affetti da cancro. La Società Americana di Oncologia Medica (ASCO) e la Società di Chirurgia Oncologica (SSO) hanno appena rilasciato raccomandazioni aggiornate sui criteri di accesso ai test genetici nelle pazienti con cancro alla mammella. Le due società scientifiche si sono basate su un’ampia letteratura e su un processo formale di consenso che ha coinvolto un largo numero di oncologi e di chirurghi senologi americani, a dimostrazione dell’importanza di perseguire un approccio multidisciplinare in presenza di sospette neoplasie e sindromi eredo-familiari.

Le nuove raccomandazioni prevedono un’estensione dei test genetici alle donne con nuova diagnosi di cancro alla mammella con un’età di insorgenza fino ai 65 anni (rispetto ai 40 anni ad oggi considerati) e in alcuni casi specifici anche oltre tale età: in particolare in presenza di tumori con istotipo “triplo-negativo”, di una casistica familiare suggestiva di predisposizione ai tumori e di ricorso potenziale a terapie personalizzate (PARP inibitori). In tale ultimo caso il criterio della familiarità e dell’età di insorgenza non dovrebbero precludere, come in passato, l’accesso al test genetico, dovendosi privilegiare le migliori opportunità di cura per i pazienti.

Il contenuto delle raccomandazioni viene rafforzato con l’invito ad estendere il test genetico al maggior numero di pazienti, addirittura “richiamando” le donne con diagnosi passate di cancro al seno sotto i 65 anni, qualora esistano i presupposti per offrire loro le stesse opportunità di cura e di prevenzione delle pazienti con nuova diagnosi. Ma c’è di più: le nuove raccomandazioni non hanno delle implicazioni solo per le pazienti affette, in termini di identificazione delle terapie più opportune, ma anche sui loro familiari non affetti, per una valutazione più accurata del profilo di rischio dei congiunti e per le più opportune strategie chirurgiche di riduzione del rischio e di sorveglianza intensificata (esami diagnostici e visite specialistiche annuali o semestrali), su tutti gli organi coinvolti, in considerazione del fatto che le sindromi ereditarie sono in prevalenza “multi-organo”.

Quindi, pur se riferite al momento ai soli pazienti con tumore alla mammella – il tumore più diffuso a livello globale, solo in Italia oltre 55.000 nuovi casi all’anno – tali raccomandazioni aprono una nuova era nell’accesso ai test genetici in oncologia. Chiariamo, per evitare aspettative infondate, che le due società scientifiche USA sono certamente autorevoli, ma operano in un contesto sanitario dove prevale un regime privatistico, in particolare sostenuto dal sistema delle assicurazioni sanitarie. Ciò significa che l’attuazione di tali raccomandazioni non andrà ad impattare in USA direttamente sui costi pubblici, come avviene in massima parte in Europa e anche in Italia, dove vige un modello misto pubblico e privato e dove è il primo a prevalere nella maggior parte delle nostre regioni. Va anche sottolineato che tali raccomandazioni scientifiche e cliniche – come accade abitualmente nei contesti anglo-sassoni – si basano su un’accurata analisi costi-benefici, a maggior ragione se i costi sostenuti sono a carico del privato, siano essi sostenuti dai pazienti, dalle compagnie di assicurazione o dai fondi di sanità integrativa. E tali studi dimostrano da tempo che una strategia organica e mirata sulla popolazione ad alto rischio genetico – denominata “Prevenzione e Medicina di Precisione” -, che comporta sia terapie più personalizzate (quindi più efficaci e meno prolungate nel tempo), sia strategie di riduzione del rischio e di prevenzione secondaria (diagnosi precoce), è altamente costo efficace: i maggiori costi dei test genetici sui pazienti affetti, della identificazione dei portatori e “a cascata” dei familiari sani, delle terapie personalizzate, delle strategie di riduzione del rischio e di sorveglianza intensificata su tale popolazione sono più che compensati dai minori costi dovuti alla prevenzione e riduzione delle malattie, alla minore durata delle terapie, alla minore necessità di esami diagnostici e visite specialistiche nel tempo. Senza considerare l’aspetto etico, sociale e di equità per la salute dei soggetti ad alto rischio, derivante dalla età più precoce di insorgenza della maggior parte dei tumori ereditari, spesso nel pieno della vita personale, familiare e professionale di tali persone, donne e uomini.

Ciò premesso, ovviamente si sono create forti aspettative nei pazienti e nei loro familiari su quale potrebbe essere il recepimento europeo di ESMO, la società europea di Oncologia Medica, e soprattutto italiano di tali raccomandazioni, vista la portata non trascurabile delle sue conseguenze sui numeri potenziali dei portatori da testare e identificare nel tempo, nel loro complesso non meno di 1.000.000 di persone. Anche per tale motivo la SIGU – Società Italiana di Genetica Umana, la società scientifica dei genetisti – ha prontamente risposto con un comunicato stampa in cui si sottolinea che:

  • la presenza di un difetto genetico specifico è oggi uno dei temi più importanti della medicina;
  • è opportuno estendere i test genetici al maggior numero di persone, sia per finalità terapeutiche sia per la prevenzione dei pazienti affetti e dei familiari sani;
  • la attuazione in Italia di tali raccomandazioni si scontra con i limiti del carico dei laboratori di genetica e di quello dei genetisti medici e richiederà, nel breve termine, di trovare dei “compromessi” sulle soglie di età di accesso ai test genetici;
  • occorrerà aumentare il coordinamento dei team multidisciplinari (oncologi, chirurghi, genetisti, specialisti di organo, ecc.) per la riduzione dei tempi di esecuzione dei test genetici, che oggi è mediamente di circa quattro settimane e per la sorveglianza di tutti gli organi a rischio, sia sui pazienti affetti sia sui loro familiari sani.

Il comunicato stampa dei genetisti italiani si conclude con un’affermazione sull’esiguo numero di specialisti in genetica medica e con la dichiarata disponibilità ad “accogliere tale nuova sfida”.

Nei mesi scorsi la Fondazione Mutagens, con il supporto di Deloitte, ha già promosso l’attivazione di un tavolo di lavoro sul tema dei Test NGS sui tumori ereditari (PRECISION-ERE), sia per finalità terapeutiche sia, a cascata, per quelle di prevenzione. A tale iniziativa hanno aderito le principali società scientifiche: AIOM (oncologi), SIAPEC (patologi), SIGU (genetisti), AIFET (specialisti di tumori ereditari), FICOG (rete scientifica di studi in oncologia). Viste le forti interrelazioni con il tavolo in corso PRECISION-ERE, le nuove raccomandazioni sui Test Genetici provenienti dagli USA e la presa di posizione dei genetisti italiani, abbiamo chiesto ai vertici delle varie società scientifiche di creare un “tavolo parallelo sui test genetici”, con lo scopo di pervenire attraverso un consenso multidisciplinare di tutti gli specialisti coinvolti ad una “soluzione italiana” a tale questione da sottoporre alle istituzioni sanitarie nazionali e regionali. Oggi più che mai i progressi nella pratica clinica impongono una “visione unitaria” e non più “parcellizzata” delle problematiche e delle “soluzioni”. Come organizzazione di soggetti portatori di sindromi ereditarie ora più che mai ci sentiamo di portare sui tavoli decisionali la nostra esperienza personale e familiare, il nostro punto di vista, i nostri bisogni, per contribuire con gli altri stakeholder istituzionali a migliorare la presa in carico di tale popolazione ad alto rischio, nella cornice di un rafforzamento complessivo del nostro sistema sanitario nazionale.

© 2022 Fondazione Mutagens ETS. Tutti i diritti riservati.

Leggi altre notizie