Tumore ovarico: cure avanzate e test HRD per migliorare la sopravvivenza

Secondo l’Ovarian Cancer Commitment, coalizione che riunisce clinici,
Istituzioni e associazioni pazienti, occorre incentivare l’accesso ai test per biomarcatori predittivi e alle terapie più innovative

Favorire e velocizzare, per tutte le pazienti, l’accesso ai test per biomarcatori predittivi, in particolare al test HRD, e alle cure innovative contro il tumore ovarico. Questo il messaggio che ha lanciato, in occasione di una recente tavola rotonda, l’Ovarian Cancer Commitment (OCC), un’iniziativa europea promossa da AstraZeneca insieme alla Società Europea di Oncologia Ginecologica (ESGO) e alla Rete Europea dei Gruppi di Advocacy sul Cancro Ginecologico (ENGAGe).

Aumentare la consapevolezza sul tumore ovarico

Il tumore dell’ovaio è il più insidioso tra i tumori ginecologici, complici sintomi poco specifici e l’assenza di valide strategie di screening che portano a una diagnosi tardiva in fino l’80% dei casi, come sottolinea Nicoletta Colombo, direttore della Ginecologia oncologica medica dell’IEO e professore associato di ostetricia e ginecologia presso l’Università di Milano-Bicocca. «La patologia provoca ogni anno più di 3.200 decessi. Questo è dovuto a una sintomatologia aspecifica e tardiva e alla totale mancanza di programmi di screening. Nonostante le difficoltà nell’ottenere diagnosi precoci non sono mancati negli ultimi anni importanti innovazioni terapeutiche. In particolare, l’oncologia di precisione sta portando grandi benefici in termini di sopravvivenza».

Ma perché le pazienti possano beneficiare delle terapie più recenti è opportuno innanzitutto informare di più l’opinione pubblica e poi, sul versante istituzionale, garantirne maggiormente e più equamente l’accesso.

Deficit genetici e test HRD

Il cancro ovarico è caratterizzato spesso da deficit genetici che alterano i meccanismi di riparazione del DNA e occorre intercettare per personalizzare la terapia. In particolare circa la metà delle pazienti con tumore ovarico avanzato di nuova diagnosi presenta un deficit della ricombinazione omologa (HRD+).

«Esiste da alcuni anni il test HRD in grado di rilevare quando non funziona il meccanismo della ricombinazione omologa o Homologus Recombination Deficiency. Si tratta di un “sistema di correzione” che se smette di operare induce il DNA a generare nuovi errori – spiega Sandro Pignata, direttore della Divisione di oncologia medica, Dipartimento di oro-ginecologia dell’Istituto Nazionale Tumori IRCCS Fondazione G. Pascale di Napoli -. Sono queste, infatti, le principali caratteristiche biologiche del tumore ovarico. L’esecuzione del test HRD permette quindi di adattare le cure a ogni singola paziente e consente ai clinici di proporre strategie di sorveglianza o di riduzione del rischio. Rappresenta un’evoluzione del test BRCA ed è rilevante nella scelta della terapia con i PARP-inibitori, la nuova classe di farmaci in grado di contrastare le neoplasie che presentano un difetto nel processo di ricombinazione omologa».

Rimborsabilità ed erogazione del test HRD

Mentre il test BRCA è ampiamente diffuso in Italia, in particolare quello sul sangue con lo scopo di evidenziare mutazioni germinali, non si può dire altrettanto per il test HRD per la cui esecuzione occorrono piattaforme tecnologiche e software per ora presenti solo in pochi centri altamente specializzati. «Al momento il processo di tariffazione e rimborsabilità del test non è sempre chiaro ed omogeno per tutte le Regioni – fa notare Pignata -. È auspicabile una centralizzazione della governance dei laboratori che svolgono queste analisi molto complesse, basate su tecnologia NGS. Solo così è possibile garantire la massima qualità di erogazione degli esami e il contenimento dei costi di esecuzione».

Tutte le pazienti con tumore ovarico dovrebbero avere la possibilità di eseguire questo test fin dalla prima diagnosi per poter stabilire quale sia il trattamento migliore nel singolo caso.

Centri di riferimento sul territorio

Altro tema sollevato dai membri dell’Ovarian Cancer Commitment durante la tavola rotonda è stato quello del diritto di tutte le pazienti con tumore ovarico di essere assistite in centri oncologici specializzati nel trattamento di questa malattia molto complessa, come ha sottolineato Anna Fagotti, professore ordinario di ostetricia e ginecologia presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore e direttore Unità operativa complessa presso Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS e Presidente ESGO. «In tempi brevi è necessario adottare i criteri e gli standard di selezione dei centri di riferimento all’interno delle reti oncologiche regionali. Su tutto il territorio nazionale servono linee guida omogenee che rispettino alcuni criteri e standard essenziali, in tutto 10, che sono stati stabiliti di recente dall’European Society of Gynaecological Oncology e prevedono, tra gli altri, la presenza di un chirurgo specializzato, un volume di soglia di almeno 20 interventi annui, la presenza di team multidisciplinari e l’accesso ai trials clinici».

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