Tumore alla prostata: si vive di più e meglio

Grazie ai progressi delle cure, aumenta il numero di pazienti che convivono a lungo con il cancro prostatico, anche in fase avanzata. Il punto al Convegno “What’s NU, Traguardi che ispirano il futuro”

Grazie alla prevenzione e ai progressi terapeutici, in 12 anni (2007-2019) è diminuito in modo considerevole il numero di decessi per il tumore alla prostata. Si calcola infatti una riduzione di oltre il 24% rispetto ai numeri attesi, con pazienti che riescono a convivere a lungo con la malattia o a guarire. Lo hanno segnalato gli esperti intervenuti al Convegno “What’s NU, Traguardi che ispirano il futuro” dedicato alle nuove prospettive di cura, organizzato di recente a Milano da OVER Group, con il contributo non condizionante di Bayer Italia e Orion Pharma.

I progressi

Negli ultimi anni sono stati fatti diversi passi avanti nella gestione e nella terapia del tumore alla prostata, anche se la neoplasia è in forte crescita, complice il continuo invecchiamento generale della popolazione. Grazie a metodiche come la risonanza magnetica e la Pet oggi si riesce a diagnosticare il tumore in fase più precoce e a caratterizzarlo meglio, inoltre la combinazione di più terapie ha permesso di ridurre i tassi di progressione e migliorare la sopravvivenza. «Questo, unitamente allo sviluppo e all’approvazione di nuovi farmaci e di nuovi approcci molecolari, permette un approccio sempre più personalizzato che, attraverso l’azione congiunta di più specialisti, porterà sempre maggiori benefici ai nostri pazienti» ha fatto notare Alberto Briganti, professore di urologia all’Università Vita Salute San Raffaele di Milano.

Terapie combinate

Tra le terapie oggi disponibili che hanno permesso di migliorare la sopravvivenza, ritardare la progressione di malattia e salvaguardare la qualità di vita, c’è un potente inibitore del recettore degli androgeni, darolutamide. Il farmaco è stato approvato a marzo scorso dall’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), in associazione a terapia di deprivazione androgenica (ADT) e a chemioterapia, per il trattamento di prima linea dei pazienti con tumore della prostata ormonosensibile metastatico. Questo approccio si è rivelato in grado di ridurre del 32,5% il rischio di morte.

«Lo studio ARASENS ha dimostrato che l’associazione di darolutamide con ADT e docetaxel combina un significativo beneficio nel prolungamento della sopravvivenza e nel rallentamento della progressione della malattia, con un’ottima tollerabilità e salvaguardia della qualità di vita. Risultati che confermano quanto già riscontrato con lo studio ARAMIS nell’ambito del tumore prostatico non metastatico resistente alla castrazione, e che sono frutto della peculiare struttura chimica di darolutamide. Il successo di una terapia non può comunque prescindere dall’ottimizzazione della gestione dei pazienti, che deve essere garantita attraverso un accurato lavoro di team multidisciplinare, finalizzato a garantire sia la terapia che la diagnostica più appropriate, sia a limitare effetti collaterali che possano impattare sulla vita quotidiana dei pazienti e dei caregiver» ha spiegato Giuseppe Procopio, direttore del Programma prostata e della Struttura  di oncologia medica genitourinaria della Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori di Milano.

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