Immunoterapia in gravidanza, possibile ma meglio evitare

Uno studio recente ha evidenziato che l’esposizione di donne incinte a inibitori dei checkpoint immunitari non risultata associata a maggiori esiti avversi a carico della gestante, del feto e/o del neonato rispetto ad altri trattamenti antitumorali

Rispetto ad altre terapie antitumorali, l’immunoterapia con inibitori dei checkpoint immunitari (ICI) durante la gravidanza non sembrerebbe associata a particolari esiti avversi per la futura mamma e il bambino. La segnalazione viene da uno studio francese pubblicato di recente sulla rivista JAMA Network Open. Nonostante la notizia rassicurante, gli studiosi suggeriscono di evitare l’uso di questi farmaci quando possibile a causa di rari eventi avversi neonatali immuno-correlati, associati in particolare della combinazione anti-PD1 più anti-CTLA4. 

Tumori e gravidanza

La gravidanza durante il trattamento attivo per un tumore è un evento raro che si verifica in meno dello 0,1% delle gravidanze e per meno dello 0,1% di tutti i tumori maligni. Tra le neoplasie che più spesso si riscontrano in gravidanza rientrano il tumore al seno, il cancro della cervice, il linfoma di Hodgkin, il melanoma e le leucemie.

«La gestione terapeutica delle donne in gravidanza affette da cancro è particolarmente impegnativa poiché coinvolge sia la madre sia il feto e sono necessari dati clinicamente affidabili – premettono gli autori dello studio -. Gli ICI sono oggi ampiamente prescritti per vari tumori maligni, tuttavia, almeno in teoria, possono modificare il processo di immuno-tolleranza tra futura madre e feto, causando complicazioni durante la gravidanza e il rigetto del feto, oltre a poter favorire l’insorgenza di patologie autoimmuni». Per tutti questi motivi e l’assenza di dati certi, l’uso di questi immunoterapici durante la gravidanza è scoraggiato. Vista l’importanza degli ICI, i ricercatori francesi si sono posti l’obiettivo di valutare meglio i loro possibili effetti sulla paziente in gravidanza e il figlio che porta in grembo.

I nuovi dati

Lo studio francese ha incluso dati provenienti da 3.558 segnalazioni di pazienti in gravidanza che avevano ricevuto una terapia antitumorale fino al 2022. Un totale di 91 paziente aveva assunto ICI e 3.467 avevano ricevuto altre terapie antitumorali.

I tumori più comuni nella coorte complessiva erano il carcinoma mammario (30,1%) e la leucemia mieloide cronica (26,9%). Nel gruppo ICI, i tumori più comuni erano il melanoma (43,6%) e il linfoma (27,3%).

Nel complesso esiti avversi per la gravidanza, il feto e/o il neonato sono stati segnalati in 38 pazienti nel gruppo trattato con ICI (41,8%) e in 1980 pazienti (57,1%) nel gruppo esposto a farmaci antitumorali di altro tipo. Analizzando i diversi tipi di regimi di ICI, le nascite premature sono state più frequenti per le donne trattate con la combinazione anti-PD1 e anti-CTLA4 rispetto ad altri farmaci antitumorali. Inoltre in tre casi sono stati osservati dei seri effetti avversi mediati dal sistema immunitario.

«I risultati di questa analisi suggeriscono che l’uso degli ICI durante la gravidanza sembra essere meglio tollerato di quanto considerato in precedenza. Tuttavia, a causa di possibili rari eventi avversi neonatali immuno-correlati, l’uso dell’immunoterapia, in particolare della combinazione di un anti-PD1 o un anti-PD-L1 più un anti-CTLA4, nelle donne in gravidanza dovrebbe essere evitato quando possibile» concludono i ricercatori francesi.

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