Le applicazioni presenti e future dei PARP inibitori nella cura del tumore al seno

Pubblicata su JAMA Oncology una rassegna sulla rivoluzione terapeutica innescata da questi farmaci. Approfondiamo il tema con Carmen Criscitiello, oncologa dell’IEO e dell’Università degli Studi di Milano che ha coordinato la revisione

I PARP inibitori sono farmaci che hanno rivoluzionato il trattamento del carcinoma mammario associato alla presenza di varianti patogenetiche germinali nei geni BRCA1 e BRCA2. Questi farmaci rappresentano oggi la prima terapia mirata in grado di migliorare i risultati nelle persone con tumori ereditari, tuttavia nel tempo la maggior parte dei pazienti sviluppa fenomeni resistenza con la conseguente perdita di efficacia.

Attualmente sono in corso numerosi studi che mirano ad ampliare il loro utilizzo, a superare il problema della resistenza nonché a individuare eventuali combinazioni con altre terapie. Una rassegna pubblicata di recente sulla rivista JAMA Oncology fa il punto sul loro impiego, sulle criticità e le prospettive future. Approfondiamo il tema con Carmen Criscitiello, oncologa con incarico di alta specializzazione Sviluppo nuovi farmaci per terapie innovative presso l’Istituto Europeo di Oncologia (IEO) e professore associato all’Università degli Studi di Milano, che ha coordinato la revisione.

Carmen Criscitiello

PARP inibitori e mutazioni BRCA

I PARP inibitori hanno come bersaglio una famiglia di proteine chiamate PARP (Poli-ADP-ribosio-polimerasi) di cui esistono due forme, PARP1 e PARP2, le quali hanno un ruolo fondamentale nella riparazione di rotture del DNA a singolo filamento. Le proteine PARP sono le prime a rispondere quando si verifica un danno nel DNA: lo individuano e poi inviano segnali ad altre proteine per ripararlo.

«I PARP inibitori sono stati testati inizialmente contro i tumori associati alla presenza di alterazioni germinali dei geni BRCA 1 e BRCA 2, che interferiscono con la capacità di riparazione del DNA delle cellule tumorali – spiega Carmen Criscitiello -. Queste mutazioni, oltre ad essere associate a un aumentato rischio di tumori alla mammella e all’ovaio nelle donne, predispongono anche ad altre forme di cancro, in particolare prostata, pancreas e melanomi, oltre al tumore della mammella maschile».

Poiché sia PARP sia BRCA sono coinvolti nei processi di riparazione del DNA nelle cellule tumorali, la disattivazione con il PARP inibitore della prima risposta di PARP in chi non presenta un BRCA funzionante, induce un annullamento dei meccanismi di riparazione del DNA nelle cellule neoplastiche con la conseguente morte delle cellule malate.

Le attuali indicazioni

Finora sono stati sviluppati diversi PARP inibitori, ma solo due sono attualmente approvati in Italia per il tumore al seno. Si tratta di olaparib e talazoparib, i quali possono essere impiegati solo in presenza di mutazioni germinali di BRCA1 e BRCA2 nel trattamento della malattia metastatica e, il solo olaparib, più di recente come terapia per ridurre il rischio di recidiva.

«L’uso dei PARP inibitori nei tumori della mammella associati a mutazioni germinali di BRCA1 e BRCA2 ha portato a miglioramenti significativi nella sopravvivenza libera da progressione della malattia nel tumore mammario metastatico, ma anche e soprattutto, in tempi più recenti, ha portato a un miglioramento della sopravvivenza globale nella fase precoce. Nei pazienti con tumore della mammella in fase precoce (quindi con possibilità effettiva di guarigione) HER2 negativo, con mutazioni BRCA, olaparib in particolare ha migliorato non solo la sopravvivenza libera da eventi ma anche la sopravvivenza globale. Si tratta di un grande risultato visto che sono pochi i farmaci che nella fase precoce portano un aumento della sopravvivenza» segnala Criscitiello.

Altre potenziali applicazioni

Sebbene i PARP inibitori siano approvati solo per il trattamento delle donne con tumore al seno con mutazioni germinali di BRCA, ci sono evidenze, e studi in corso, che potrebbero estenderne l’impiego nelle pazienti con tumore mammario che presentano mutazioni somatiche di BRCA, evidenziate sul tessuto tumorale dopo biopsia, e anche in presenza di mutazioni germinali in altri geni.

«Ci sono già dati che mostrano i benefici derivanti dall’uso dei PARP inibitori in presenza di mutazioni somatiche di BRCA e di mutazioni germinali di altri geni, tra cui PALB2 e ATM – conferma l’esperta -. Le applicazioni future potrebbero anche comprendere l’uso di questi agenti in combinazione ad altre terapie per migliorare l’esito del trattamento. Ci sono diversi studi in corso che aprono la strada a trattamenti sempre più personalizzati ed efficaci».

Le criticità associate alla terapia

Nonostante i successi, la terapia con PARP inibitori pone anche delle sfide, in particolare la resistenza al trattamento che a un certo punto emerge e questo può limitare la durata effettiva del farmaco.

Inoltre ci possono essere degli effetti collaterali significativi come la mielosoppressione (ossia la riduzione della capacità del midollo osseo di produrre le cellule del sangue) che può influenzare in qualche modo la qualità di vita del paziente e limitare l’uso continuato del farmaco.

«La ricerca sta cercando di capire perché si instaura la resistenza e di superare questo problema con diverse strategie, incluso lo sviluppo di nuovi farmaci, che mirano ai meccanismi di riparazione del DNA, e di terapie combinate per prevenire o superare la resistenza nonché l’identificazione di marcatori che possano predire la resistenza – segnala Criscitiello -. Questo campo è in grande rivoluzione con l’obiettivo finale di migliorare l’efficacia a lungo termine dei PARP inibitori nel trattamento del tumore mammario».

La ricerca e le prospettive future

«La ricerca di strategie per estendere l’uso dei PARP inibitori e allo stesso tempo migliorarne l’efficacia a lungo termine è molto attiva – continua Criscitiello -. Per esempio sono in corso studi in pazienti con tumore metastatico i quali potrebbero beneficiare dei PARP inibitori in combinazione all’immunoterapia. Anche per i tumori in fase precoce si sta cercando di capire se possa esserci uno spazio per un impiego dei PARP inibitori in combinazione con immunoterapici oppure nella fase preoperatoria. Inoltre ci sono dati preliminari molto incoraggianti sui PARP inibitori di nuova generazione, in particolare sulla molecola AZD5305, che stanno aprendo nuove prospettive».

PARP inibitori di nuova generazione

I PARP inibitori di nuova generazione, tra cui AZD5305, un inibitore altamente potente e selettivo di PARP1, inibiscono la crescita nelle cellule con carenze nella riparazione del DNA, con effetti minimi in altre cellule. A differenza dei PARP inibitori di prima generazione, sembrerebbero avere effetti minimi sui parametri ematologici.

«Si stanno valutando i PARP inibitori di nuova generazione sia in monoterapia (da soli) sia in combinazione con terapie endocrine o farmaci anticorpo coniugati. Questi nuovi farmaci riuscirebbero a ridurre il problema della resistenza e potrebbero essere usati in sequenza dopo il trattamento con PARP inibitori di vecchia generazione. Penso dunque che nei prossimi anni si amplieranno molto le possibili applicazioni dei PARP inibitori, di vecchia e nuova generazione, con benefici sul fronte dell’efficacia e meno tossicità».

Antonella Sparvoli

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