Tumore ovarico: profilazione molecolare alla diagnosi

L’Ovarian Cancer Commitment chiede che sia garantito un accesso omogeno al test HRD, che guida la scelta delle terapie più efficaci per il cancro dell’ovaio, e lancia Olivia, risorsa digitale per supportare le persone colpite dalla malattia

Nel 50% dei casi il cancro ovarico è caratterizzato da deficit genetici della ricombinazione omologa (HRD+) che alterano i meccanismi di riparazione del DNA e occorre intercettare per personalizzare la terapia. Da alcuni anni è disponibile il test HRD, in grado di rilevare quando non funziona il meccanismo della ricombinazione, peccato però che la sua esecuzione sia ancora limitata. Da qui la richiesta dell’Ovarian Cancer Commitment (OCC), presentata al recente Congresso della Società Europea di Oncologia Ginecologica (ESGO), di garantire la rimborsabilità e un accesso omogeneo al test HRD contestualmente alla diagnosi.

In occasione del congresso l’Ovarian Cancer Commitment, insieme alla Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia (SIGO), ha presentato anche la versione italiana del sito Olivia, una risorsa digitale che offre informazioni e supporto a pazienti, familiari, caregiver e anche clinici.

Tumore ovarico e terapie mirate

Quello dell’ovaio è il più insidioso tra i tumori ginecologici, complici sintomi poco specifici e l’assenza di valide strategie di screening, a differenza di quanto avviene per le neoplasie del colon-retto, della mammella e della cervice uterina. Il risultato è una diagnosi tardiva in fino l’80% dei casi. «Inoltre – fa notare Anna Fagotti, Presidente ESGO, professoressa ordinaria di ostetricia e ginecologia all’Università Cattolica del Sacro Cuore e direttore dell’Unità Operativa Complessa Tumore Ovarico dell’IRCCS Policlinico Gemelli di Roma-, il 70% delle pazienti con carcinoma ovarico in stadio avanzato va incontro a recidiva entro due anni. L’oncologia di precisione ha cambiato la pratica clinica. Infatti oggi vi sono terapie mirate, in particolare gli inibitori di PARP, che possono essere utilizzati in combinazione con farmaci antiangiogenici come terapia di mantenimento di prima linea e sono in grado di ottenere una remissione a lungo termine, aiutando a vivere più a lungo e ritardando la progressione della malattia».

Profilazione molecolare e reti regionali per i test

Per intercettare le pazienti candidate alla terapia con PARP inibitori è fondamentale l’esecuzione del test HRD, che consente di individuare anche le mutazioni nei geni BRCA, che rientrano nei deficit della ricombinazione omologa.

«L’esecuzione di questo test – prosegue la professoressa Fagotti – richiede piattaforme tecnologiche corredate da software che generano specifici algoritmi, attualmente presenti soltanto in pochi centri specializzati. Ciò determina una grande barriera all’accesso a queste importanti analisi genetiche e, pertanto, un limite all’utilizzo delle terapie innovative. L’Ovarian Cancer Commitment, pertanto, chiede che siano identificati i requisiti dei laboratori in grado di realizzare queste analisi e che siano create reti laboratoristiche regionali».

Il nodo dei PDTA e dell’esenzione

Per un’ottimale gestione del tumore ovarico e allo stesso tempo mettere in atto strategie di riduzione del rischio nelle donne portatrici di varianti patogenetiche in geni di presisposizione, come i geni BRCA, occorre intervenire anche su altri due aspetti critici, ovvero i Percorsi diagnostico terapeutici assistenziali (PDTA), attualmente assenti in ben 12 Regioni italiane, e l’esenzione D99, non ancora riconosciuta in modo omogeneo a livello nazionale. «Questa esenzione interessa le persone risultate positive al test BRCA (sia uomini che donne) e che sono ad alto rischio di sviluppare un tumore al seno, all’ovaio, al pancreas e alla prostata – spiegaOrnella Campanella, presidente aBRCAdabra -. È opportuno che queste persone portatrici, sane e non, siano inserite in programmi di sorveglianza specifici volti ove possibile alla diagnosi precoce di queste neoplasie. Ad oggi, l’esenzione D99 è stata deliberata solo in 10 Regioni. È quindi necessario che venga riconosciuta in modo uniforme sul territorio, per ridurre la disparità di accesso alla prevenzione con il rischio di una diagnosi tardiva. Chiediamo, inoltre, che entrambe le chirurgie di riduzione del rischio sia senologica che ginecologica siano inserite nei LEA».

La piattaforma Olivia per aiutare le pazienti

Il recente congresso ha rappresentato l’occasione per la presentazione della versione italiana della piattaforma Olivia da parte dell’Ovarian Cancer Commitment, una coalizione promossa da AstraZeneca insieme a ESGO e alla Rete Europea dei Gruppi di Advocacy sul Cancro Ginecologico (ENGAGe)

«La versione in inglese di Olivia fu lanciata nel 2022 per rispondere alle difficoltà delle pazienti e dei familiari nella ricerca di informazioni certificate – spiega Fagotti -. In questi anni sono state realizzate versioni in altre lingue, che hanno riscosso grande apprezzamento, e da oggi la piattaforma è disponibile anche in italiano. Olivia può trasformare l’esperienza della malattia, aiutando non solo le pazienti e i caregiver, ma anche i clinici».

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