Nuove Cliniche della Salute per intercettare il cancro nei portatori di sindromi ereditarie

Nella seconda metà del 1800 le teorie di Charles Darwin e Gregor Mendel hanno gettato le basi per la comprensione dell’evoluzione della specie e della trasmissione ereditaria dei caratteri biologici negli organismi viventi e negli esseri umani. Ci vorrà quasi un secolo, verso gli anni ’50 del 1900, perché il vuoto delle conoscenze tra i geni (genotipo) e i caratteri biologici (fenotipo) venga colmato dalle proteine, che possono essere ormai considerate i veri “mattoni” funzionali dell’organismo. Con la scoperta della doppia elica del DNA e del mRNA (RNA messaggero) la genetica trova finalmente una evidenza molecolare e offre la risposta definitiva alla relazione tra genotipo e fenotipo, grazie ad un processo biochimico a due fasi: la trascrizione della stringa di DNA in mRNA e la traduzione dell’mRNA in proteine. Alla fine degli anni ’60, con lo sviluppo della genetica molecolare, la biologia acquisisce un corpo teorico solido e omnicomprensivo e assume un rilievo primario nella gerarchia delle scienze, ponendosi al di sopra della chimica e della fisica. Tale primo traguardo scientifico mise in ombra transitoriamente il darwinismo classico: il ruolo in precedenza assegnato all’ambiente nell’evoluzione degli organismi venne attribuito in prevalenza al genoma, salvo le specifiche eccezioni degli agenti mutageni (raggi X, agenti chimici). 

Questo principio riduzionistico viene rimesso in discussione dall’avvento dell’epigenetica (“oltre la genetica”). Infatti, secondo molti scienziati non era possibile che tutte le cellule dotate dello stesso patrimonio genetico si manifestassero in modo così differenziato nei diversi organi (sangue, cuore, polmoni, apparato gastro-intestinale, cervello, pelle, ecc.). Dovevano esserci altre forze “extra-geniche” a spiegare la morfogenesi, cioè il processo attraverso cui si sviluppano gli esseri viventi: differenziazione cellulare, migrazione cellulare, formazione di tessuti e organi. Inoltre, diversi esperimenti avevano già evidenziato che individui con lo stesso genotipo – ad es. i gemelli omozigoti – possono sviluppare caratteri biologici (fenotipi) diversi, specie se esposti a contesti ambientali differenti. In tal modo l’interpretazione della morfogenesi si complica ulteriormente: accanto al ruolo dei geni si scoprono una serie di fattori epigenetici che, pur non alterando la struttura del DNA, ne regolano l’espressione genica attivando o inibendo, aumentando o riducendo i processi di sintesi proteica dal DNA ai geni e dai geni ai caratteri biologici. Come conseguenza l’epigenetica ha rivalutato il ruolo dell’ambiente nel processo di evoluzione biologica, fino a farlo diventare un fattore essenziale, benché sempre in combinazione con l’ereditarietà genetica. La vera sfida oggi è comprendere quale possa essere il perimetro dell’”ambiente epigenetico” che può contribuire a modificare la morfogenesi: certamente, oltre agli agenti mutageni e all’inquinamento ambientale, è ampiamente acquisito che l’alimentazione e l’esercizio fisico hanno un ruolo fondamentale, insieme all’assunzione abituale di sostanze nocive come alcol, fumo, stupefacenti e altre condizioni a rischio come l’anoressia o il sovrappeso. Ma diversi studi hanno dimostrato l’impatto sulla morfogenesi anche di fenomeni psicologi e sociali: dallo stress individuale alle relazioni interpersonali, familiari, affettive, dal contesto socio-lavorativo, agli stati emotivi (ottimismo, felicità), fino addirittura alle pratiche olistiche, all’ascolto della musica, alla fruizione dell’arte, della cultura e al rapporto con la natura. Questi ultimi potrebbero sembrare ambiti a prima vista distanti dalla nostra dimensione biologica e quindi dalla salute degli individui, ma che al contrario, anche nell’esperienza della vita reale di tutti noi, si stanno rivelando sempre più importanti nel miglioramento o nel peggioramento delle nostre condizioni di salute, fisica e mentale.

L’integrazione tra genetica ed epigenetica sta producendo un notevole salto di qualità anche nella comprensione dei meccanismi di innesco e di sviluppo dei tumori. La grande novità degli ultimi anni è che, dopo avere dimostrato che alla base dei tumori vi sono delle mutazioni somatiche, oggi disponiamo di tecniche evolute di sequenziamento del genoma (NGS) per identificarle in modo puntuale, creando allo stesso tempo le condizioni per poter intervenire direttamente su di esse. Quindi, accanto agli approcci di cura tradizionali (chemioterapia e radioterapia) si sono sviluppati nuovi protocolli terapeutici basati su farmaci innovativi a bersaglio molecolare – medicina di precisione e medicina personalizzata -, in grado di agire esclusivamente sulle cellule malate, inibendone il processo di crescita. Un’altra affascinante opportunità di cura in forte sviluppo è quella dell’immunoterapia che consente di riabilitare il nostro sistema immunitario per riconoscere e attaccare solo le cellule tumorali, grazie alla inibizione dei “freni immunitari” indotti dallo stesso tumore. La combinazione delle terapie a bersaglio molecolare e dell’immunoterapia hanno aperto una vera e propria rivoluzione copernicana nella lotta contro i tumori, benché la complessità di tali nuove conoscenze diagnostiche e terapeutiche richiederà ancora del tempo perché possa essere resa disponibile alla maggior parte dei malati di cancro.

Il sequenziamento del genoma, sviluppato inizialmente sul tessuto tumorale per la identificazione dei “bersagli terapeutici”, si sta estendendo anche sul sangue (biopsia liquida), alla ricerca di biomarcatori tumorali, in grado di monitorare l’evoluzione delle terapie, identificare precocemente eventuali meccanismi di resistenza, selezionare nuovi farmaci più efficaci. Oggi, l’analisi del DNA circolante (cell-free DNA o cfDNA) si sta diffondendo nella pratica clinica e la biopsia liquida rappresenta una fonte per rintracciare il DNA tumorale nei casi in cui non sia disponibile tessuto tumorale o questo risulti inadeguato per l’analisi mutazionale. Inoltre, la biopsia liquida è una metodica non invasiva, relativamente poco costosa, che consente di poter ripetere l’analisi nel tempo e, quindi, di monitorare sistematicamente la risposta alla terapia e l’evoluzione molecolare del tumore. 

E qui si apre un altro entusiasmante scenario per la lotta contro i tumori: proprio attraverso la biopsia liquida in prospettiva sarà possibile passare dalla sola diagnostica tumorale alla identificazione dei fattori causali dei tumori, denominata Cancer Driver Interception. Analogamente a quanto avviene nelle patologie cardiache, che vengono affrontate precocemente con farmaci per il controllo dell’ipertensione e del colesterolo, anche l’insorgenza dei tumori potrà essere prevenuto grazie all’utilizzo di agenti che contrastino i processi patologici in corso. Con la Cancer Driver Interception in primo luogo vengono identificati a livello molecolare una serie di marcatori genetici ed epigenetici che precedono l’innesco dei tumori, come l’instabilità genomica – ad es. quella dei microsatelliti nel caso di tumore del colon, o quella del sistema di ricombinazione omologa nel caso di tumori a ovaio, seno e prostata -, gli squilibri nel sistema immunitario e nel microbioma, l’accorciamento dei telomeri e altri. Si ipotizza che il “vantaggio di tempo” tra la identificazione di tali fattori molecolari e la manifestazione della malattia con le tecniche diagnostiche attuali (biomarcatori presenti nel sangue e in altri fluidi organici, imaging) possa andare dai 5 ai 10-15 anni. In secondo luogo, identificati tali fattori causali, vengono definiti dei percorsi preventivi volti a contrastarli, grazie al ricorso di specifici agenti biologici. Oggi già esistono alcuni farmaci di prevenzione dal cancro, come il tamoxifene (tumore al seno) e l’aspirina (tumore al colon), ma vengono usati prevalentemente su soggetti già affetti. I farmaci di prevenzione ideali, invece, saranno in futuro quelli destinati alle persone sane, possibilmente privi di tossicità, che possano agire direttamente sui processi in corso ma prima che la malattia si sia manifestata. Solo a titolo di esempio si stanno sperimentando i benefici di composti naturali o biologici noti da tempo, come la melatonina (cancro al seno), la curcumina (cancro al colon, pancreas, seno, prostata, polmone, mielomi), acidi grassi omega3 (cancro al colon, stomaco, esofago), probiotici (cancro al colon). 

La prospettiva diagnostica e terapeutica della Cancer Driver Interception si presenta come una enorme opportunità per tutta la popolazione, in un momento storico in cui è necessario destinare maggiori risorse alla prevenzione delle malattie in generale e dei tumori in particolare, non solo per migliorare la salute dei cittadini ma anche per garantire la sostenibilità economica del sistema sanitario, con una popolazione che invecchia e un aumento costante delle patologie croniche. Esistono già, a livello internazionale, in USA e in alcuni Paesi Europei, alcune esperienze pilota di “Cliniche della Salute” in ambito oncologico, che si prendono carico di persone sane asintomatiche, applicando alcune delle pratiche sopra menzionate e sperimentandone di nuove. I portatori di sindromi ereditarie, sia quelli sani asintomatici, sia quelli affetti con altri organi a rischio, sono i migliori candidati a poter beneficiare di tale nuovo approccio, per le seguenti ragioni:

  • In tali soggetti il rischio di malattia è molto superiore agli altri individui – da 4 a 40 volte -, quindi il rapporto costi/benefici di tale medicina di intervento è certamente più favorevole rispetto alla popolazione normale;
  • Essi possono essere identificati in modo oggettivo, grazie a test genetici volti a selezionare all’interno delle famiglie tutti i membri portatori, per i quali sono appropriati percorsi di sorveglianza più personalizzati;
  • I portatori di sindromi ereditarie hanno in genere più organi a rischio ma comunque limitati, di conseguenza i marcatori da monitorare – tramite biopsia liquida – sono circoscritti e con notevoli vantaggi per le analisi molecolari;
  • Nonostante nelle strutture ospedaliere e nelle istituzioni sanitarie manchi la necessaria predisposizione culturale e urgenza alla prevenzione – la salute viene ancora vista solo come una risposta alle patologie e non anche un bene da tutelare contrastandole -, su tale popolazione ad alto rischio esiste una buona base di conoscenza sulle opportunità di un approccio proattivo e preventivo;
  • Le persone portatrici di sindromi ereditarie hanno una grande consapevolezza del loro livello di rischio, sanno che rispetto alle altre persone devono scontare un “handicap” e quindi sono i soggetti ideali su cui andare a sperimentare strategie innovative di prevenzione primaria.

La Fondazione Mutagens è già attiva da tempo sul fronte della Prevenzione di Precisione e della Diagnosi Precoce dei portatori di sindromi ereditarie (Progetto PREVEN-ERE), con l’obiettivo di estendere la applicazione dei protocolli esistenti al maggior numero dei soggetti portatori, in particolare a quelli sani asintomatici. Ma certamente la sperimentazione anche nel nostro Paese, in alcune strutture pubbliche e private pilota, del modello della “Clinica della Salute” e della Cancer Driver Interception può costituire una valida opportunità di ricerca e sperimentazione che successivamente potrebbe essere estesa ad un numero più ampio di beneficiari e in una fase successiva ad altre popolazioni a rischio alto e moderato. Siamo consapevoli che una tale “visione” possa apparire velleitaria e distante da una realtà in cui non si riesce neppure ad offrire i test genetici alla maggior parte delle persone che ne avrebbero diritto. Come organizzazione di pazienti riteniamo doveroso continuare ad impegnarci sia per obiettivi di breve termine, per migliorare nell’immediato la salute e la qualità della vita della nostra community, ma anche per quelli di medio-lungo termine, contribuendo ad elaborare una “nuova visione della salute”, coerentemente con tutte le opportunità che la scienza ci può offrire in questo ambito. Insieme con le strutture ospedaliere, le istituzioni sanitarie territoriali e nazionali, le aziende biotech e farmaceutiche, gli scienziati, i clinici, potremo contribuire all’innovazione del sistema sanitario, tenendo sempre al centro il bene supremo della salute per tutti i cittadini. 

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