Tumore dell’endometrio: l’immunoterapia allunga la vita

L’immunoterapico dostarlimab, associato alla chemioterapia, ha le carte in regola per diventare il nuovo standard di cura per le pazienti con carcinoma endometriale primario avanzato o ricorrente, indipendentemente dallo stato del mismatch repair

Aggiungere il farmaco immunoterapico anti-PD-1 dostarlimab alla chemioterapia a base di platino di prima linea migliora in modo significativo la sopravvivenza globale rispetto alla sola chemioterapia nelle pazienti con carcinoma dell’endometrio avanzato o ricorrente. Il beneficio è stato osservato in tutte le pazienti, indipendentemente dalla presenza di un deficit del sistema di riparazione dei mismatch (deficient mismatch repair, dMMR) e di un’elevata instabilità dei microsatelliti (MSI-H). Lo rivelano i risultati della parte 1 dello studio Ruby, presentati a San Diego, negli USA, in una sessione plenaria dell’Annual Meeting on Women’s Cancer della Society of Gynecologic Oncology (SGO).

Le indicazioni attuali e il nuovo standard

Attualmente, in Italia, dostarlimab può essere utilizzato, in combinazione con la chemioterapia, per le pazienti con carcinoma endometriale primario avanzato o ricorrente che presentano dMRR/MSI-H, grazie a un programma di Expanded Access. A breve dovrebbe arrivare anche la rimborsabilità del farmaco, ma già oggi le pazienti possono accedere a questo trattamento. Alla luce dei nuovi dati emersi dallo studio Ruby, l’auspicio è che l’uso di dostarlimab possa presto essere allargato anche alle pazienti che non presentano instabilità dei microsatelliti o dedicit del mismatch repair.

L’auspicio ora è che i nuovi dati portino le autorità regolatorie ad allargare le indicazioni per dostarlimab. «Questo farmaco cambia la storia della malattia nel tumore dell’endometrio – ha affermato Domenica Lorusso, professore ordinario di ostetricia e ginecologia presso l’Humanitas University di Rozzano (Milano) -. Abbiamo scoperto che quando lo si combina con la chemioterapia all’esordio della malattia avanzata, non solo si aumenta la sopravvivenza libera da progressione (un dato già presentato in precedenza), ma anche la sopravvivenza globale, che passa mediamente da circa 28 mesi a circa 44 mesi, un risultato straordinario, che mai ci saremmo aspettati di ottenere in questa popolazione».

I benefici dell’immunoterapia

La parte 1 dello studio Ruby ha dimostrato che la combinazione dostarlimab e chemioterapia aumenta in modo significativo la sopravvivenza globale rispetto alla sola chemioterapia più placebo. In particolare, nella popolazione complessiva si è osservato un miglioramento di 16 mesi della sopravvivenza globale, con una riduzione del 31% del rischio di morte. Il beneficio è risultato maggiore nelle pazienti con instabilità dei microsatelliti o deficit del mismatch repair, ma anche quelle con un sistema di riparazione funzionante e stabilità dei microsatelliti hanno avuto un miglioramento rilevante, pari a 7 mesi nella sopravvivenza globale, con una riduzione del rischio di decesso del 21%.

«Si volta pagina perché siamo passati da una situazione nella quale non avevamo a disposizione nessun tipo di trattamento al di là della chemioterapia a base di platino, ad una situazione nella quale potevamo trattare le pazienti con l’immunoterapia solo dopo che avevano già effettuato in precedenza una chemioterapia a base di platino, alla situazione attuale, nella quale possiamo trattarle con l’immunoterapia fin dall’inizio, ottenendo così i risultati più significativi» ha rimarcato Giorgio Valabrega, coordinatore dello studio per l’Italia, professore associato di Oncologia medica dell’Università di Torino.

Promettente la combinazione con PARP inibitori

Accanto alle prospettive offerte dall’uso dell’immunoterapia, ci sono altri studi in corso che stanno aprendo la strada a nuove strategie terapeutiche. È il caso della parte 2 dello studio Ruby, i cui risultati preliminari sono stati presentati al congresso di San Diego.

Questa ricerca ha coinvolto la stessa tipologia di pazienti della parte 1, casualmente suddivisa a ricevere la chemioterapia standard seguita da un placebo o la chemioterapia più l’immunoterapia con dostarlimab, seguita dalla terapia di mantenimento con il PARP inibitore niraparib. Per ora questa combinazione si è dimostrata superiore alla sola chemioterapia in tutti i sottogruppi di pazienti, migliorando la sopravvivenza libera da progressione.

In altri tipi di tumore, a partire da quelli di seno e ovaio, i PARP inibitori hanno dato una svolta al trattamento delle pazienti con mutazioni nei geni di suscettibilità al cancro BRCA1 e BRCA2. La parte 2 dello studio Ruby è su pazienti non selezionate nelle quali la combinazione immunoterapia e PARP inibitori sta dando risultati promettenti, ma gli esperti sottolineano che bisognerà cercare di identificare quali sono i sottogruppi che possono trarre maggiore beneficio dalla terapia con niraparib.

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