Tumori ereditari: progressi e criticità

Le conoscenze sulle sindromi ereditarie di predisposizione al cancro si sono arricchite negli ultimi anni, ma c’è ancora molto da fare per passare dalla teoria alla pratica, come segnala un capitolo dedicato contenuto nell’ultimo Rapporto FAVO

La recente presentazione del 16° Rapporto FAVO (Federazione italiana delle associazioni di volontariato in oncologia) sull’assistenza al malato oncologico è stata l’occasione per fare il punto sulle sindromi e neoplasie ereditarie, a cui è dedicato un capitolo all’interno del documento. Salvo Testa, presidente Fondazione Mutagens, Maurizio Genuardi, presidente AIFET (Associazione Italiana Familiarità ed Ereditarietà dei Tumori) e direttore Genetica medica all’IRCCS Policlinico Gemelli di Roma, e Francesco Perrone, presidente AIOM e direttore Sperimentazioni cliniche all’IRRCS Istituto nazionale dei tumori Pascale di Napoli, sono i firmatari del capitolo. Ognuno di loro analizza aspetti diversi ma complementari, nell’ottica comune di rendere possibile e sostenibile una medicina e una prevenzione di precisione per i soggetti ad alto rischio eredo-familiare.

I numeri dei tumori ereditari

Fino a non molti anni fa si stimava che i tumori ereditari incidessero per circa il 5% di tutti i nuovi casi di cancro. Studi recenti però valutano la loro quota fino al 15-17% del dato complessivo, quindi tra 50.000 e 70.000 in Italia su un totale di circa 400.000 casi all’anno. Se invece si prendono in considerazione i portatori di sindromi ereditarie di predisposizione ai tumori, questi sono almeno 1.250.000, di cui circa 387.000 con varianti patogenetiche nei geni BRCA1 e BRCA2, 625.000 con varianti in altri geni del sistema di ricombinazione omologa (HR), 215.000 con difetti nei geni del mismatch repair (MMRd) tipici dei portatori della sindrome di Lynch, 25.000 con altre sindromi più rare (Li Fraumeni, Cowden, FAP, VHL, Peutz-Jeghers, ecc.), queste ultime ancora fortemente sottostimate. «Una grande criticità è che ad oggi almeno l’80-85% di tali soggetti ad alto rischio genetico, con una probabilità di ammalarsi in alcuni organi nell’arco della vita da 4 a 40 volte in più della popolazione normale, non ne sono consapevoli, per non essere stati ancora sottoposti ad un test genetico volto ad accettarne la presenza. Da qui la necessità di implementare l’accesso ai test genetici per favorirne l’intercettazione» fa notare Salvo Testa.

La questione dei test genetici

Oggi grazie alle nuove tecnologie NGS (Next Generation Sequencing), i costi e i tempi di esecuzione dei test genetici sono drasticamente diminuiti e si stanno ampliando sempre più le loro indicazioni. Basta pensare alle recenti nuove raccomandazioni sui criteri di accesso ai test genetici della linea germinale nelle pazienti con cancro al seno, redatte dagli esperti della Società americana di oncologia medica (ASCO) e della Società di chirurgia oncologica (SSO). Esse prevedono un’estensione dei test genetici alle donne con nuova diagnosi di cancro alla mammella con un’età di insorgenza fino ai 65 anni, rispetto ai 40 anni fino ad oggi considerati, e in alcuni casi specifici anche oltre tale età (tumori triplo negativi, casistica familiare suggestiva di predisposizione ai tumori e di possibile ricorso a terapie personalizzate, per esempio con PARP-inibitori).

«L’espansione dell’offerta dei test genetici, siano essi finalizzati alla terapia o alla prevenzione nei soggetti ad alto rischio, ha come conseguenza l’incremento delle diagnosi di sindrome tumorale ereditaria – osserva Maurizio Genuardi -. L’effetto è quindi senz’altro positivo, poiché si riesce, almeno in teoria, a raggiungere un maggior numero di persone a rischio che possono trarre beneficio dall’applicazione di strategie di prevenzione mirate. Tuttavia, allo stato attuale sono ancora presenti diversi ostacoli che possono ridurre tali benefici: questi sono sostanzialmente di natura organizzativa, legati sia all’esigenza di un’adeguata programmazione improntata a massimizzare le opportunità di prevenzione, sia alla carenza di risorse economiche».

PDTA per i soggetti ad alto rischio più omogenei e diffusi

Qualora nei prossimi anni si riuscisse a estendere i criteri di accesso ai test genetici per il seno, così come per altri organi a rischio (ovaio, prostata, pancreas, colon-retto, ecc.), sarà altrettanto importante migliorare e rendere più omogenei i PDTA regionali e ospedalieri, che vedono tuttora una situazione molto frammentata, con disparità tra le diverse regioni e grande variabilità a seconda della sindrome ereditaria che si considera.

«Su questo fronte la buona notizia è la recente costituzione, in seno ad AGENAS, all’interno dell’Osservatorio sulle Reti oncologiche regionali, del Gruppo di Lavoro (GdL) sui PDTA Regionali per soggetti ad alto rischio eredo-familiare. Il team, composto da funzionari dell’agenzia sanitaria specialisti clinici e scientifici e da rappresentanti di pazienti, sta elaborando un documento di raccomandazioni destinato a tutte le Reti oncologiche regionali, volto a diffondere in tutte le aree del Paese una presa in carico efficace, completa ed omogenea per tale popolazione specifica – segnala Salvo Testa, che ha promosso e fa parte del GdL -. Tale percorso sarà facilitato dall’imminente pubblicazione, dopo oltre due anni di lavoro, delle prime Linee guida nazionali sui Tumori Ereditari, inizialmente limitate ai soggetti portatori di varianti patogenetiche in BRCA1-BRCA2, che offrono finalmente una visione univoca e condivisa tra tutti gli stakeholder istituzionali (società scientifiche, organizzazioni di pazienti, istituzioni sanitarie nazionali e regionali) dei protocolli da adottare sui soggetti con alterazioni genetiche costituzionali».

Il progetto di AIFET per il monitoraggio dei centri dedicati

Sempre nell’ottica di migliorare i PDTA dedicati alle sindromi tumorali ereditarie è in campo un progetto per identificare indicatori di monitoraggio delle performance, come spiega Genuardi. «L’Associazione Italiana Familiarità ed Ereditarietà dei Tumori (AIFET) ha avviato nel 2023 il progetto “Indicatori per il monitoraggio e la valutazione dell’attitudine dei vari ospedali italiani alla gestione della patologia tumorale ereditaria”, e ha individuato recentemente un Comitato Tecnico-Scientifico che avrà il compito di portare a termine il lavoro, raccogliendo ed elaborando i dati provenienti dai diversi Centri che hanno aderito all’iniziativa. Indicatori di performance sono anche raccolti su base annuale dalla rete europea GENTURIS (GENetic TUmor RIsk Syndromes), collocata nell’ambito degli European Reference Networks (ERN), cui partecipano nove Centri italiani. Tra i compiti di GENTURIS vi è anche l’elaborazione di linee guida per sindromi tumorali eredo-familiari; sul sito web è possibile consultare le linee guida ad oggi disponibili; in tutte queste è evidenziata la necessità di team multidisciplinari (TMD)».

Nella gestione delle persone con alto rischio di tumori su base eredo-familiare è infatti di primaria importanza avere un approccio multidisciplinare che prevede la partecipazione di diverse figure professionali, mediche (genetista medico, oncologo, ginecologo oncologo, chirurgo di varia specializzazione, anatomo-patologo, gastroenterologo, radiologo, ecc.) e non mediche (genetista di laboratorio, care manager, psiconcologo).

Il punto di vista di AIOM

«A distanza di un anno dall’ultimo rapporto FAVO, il panorama globale della conoscenza sulle sindromi ereditarie si è arricchito – premette Perrone -. Sempre di più diventa importante avere sia documenti di indirizzo, come linee guida e raccomandazioni di società scientifiche, sia strategie di implementazione che garantiscano la possibilità di accedere ai test che servono, in maniera tempestiva e all’interno del SSN».

Il presidente AIOM ha sottolineato l’importante approvazione a fine 2023 della rimborsabilità da parte di AIFA del PARP inibitore olaparib (come terapia adiuvante nel cancro della mammella con varianti patogenetiche nella linea germinale BRCA1-BRCA, stadio iniziale ad alto rischio, HER2-negativo, precedentemente trattati con chemioterapia neoadiuvante o adiuvante) così come l’interesse degli oncologi a estendere i test genetici sui familiari nell’ottica di favorire per i portatori la messa in atto di strategie di prevenzione dei tumori nei diversi organi a rischio.

Come gli altri autori del capitolo, Perrone ha anche mostrato preoccupazione sul fronte della sostenibilità economica dei test genetici e genomici, evidenziando il rischio di disequità tra le diverse regioni italiane. «Tutti temi che riconducono alla necessità di disporre di una visione progettuale su scala nazionale da parte del Ministero della Salute, condivisa con i tecnici della materia, e da calare in maniera efficiente nell’articolazione regionale del SSN» conclude il presidente AIOM.

Antonella Sparvoli

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