Tumore del colon-retto: a chi può giovare l’aspirina

Sono sempre di più gli studi che segnalano le potenzialità dell’antinfiammatorio nella prevenzione di alcuni tumori, soprattutto dell’apparato gastrointestinale. Nonostante ciò il suo impiego in ambito oncologico è poco diffuso

Ad oggi sono stati condotto moltissimi studi (più di 1000) sul ruolo dell’aspirina nella prevenzione oncologica, la maggior parte dei quali evidenzia come una terapia regolare con questo farmaco antinfiammatorio possa contribuire a ridurre il rischio di sviluppare alcuni tumori del tratto gastrointestinale, in particolare del colon-retto, ma non solo. I benefici sono stati evidenziati sia nella popolazione generale (tumori sporadici) sia in presenza di condizioni genetiche (tumori eredo-familiari), come la sindrome di Lynch che espone i portatori di specifiche mutazioni genetiche germinali a un alto rischio di sviluppare tumori del colon-retto e altre neoplasie. Nonostante la grande mole di dati, l’uso dell’arpirina rimane però poco diffuso. Approfondiamo il tema con Lucio Bertario, consulente presso l’Istituto europeo di oncologia, già responsabile dell’Unità tumori ereditari colorettali dell’Istituto nazionale dei tumori di Milano, pioniere della ricerca in questo ambito.

Lucio Bertario

Aspirina e prevenzione del cancro

«Negli ultimi 30 anni sono stati condotti almeno 3000-4000 studi sull’impiego dell’aspirina a scopo preventivo in ambito sia cardiovascolare sia oncologico – premette Bertario -. Abbiamo casistiche di milioni di persone e le evidenze sono forti, anche se sono emerse problematiche metedologiche. Per esempio, non tutti i database tengono conto di fattori che potrebbero migliorare o peggiorare la risposta a questo farmaco. Nonostante ciò, parlando dei tumori del colon-retto, l’aspirina offre un’importante opportunità di prevenzione tanto più se si condidera che gli screening con il sangue occulto o la colonscopia hanno un’aderenza limitata: non tutte le persone candidate si sottopogono a tali indgaini, c’è una grande varibailità tra aree geografiche».

In questa luce l’aspirina ha quindi un grande potenziale, magari in associazione alla sorveglianza endoscopica, ma a frenare il suo utilizzo è spesso il timore di effetti collaterali, soprattutto a carico dell’apparato digerente (emorraggie gastriche) e cerebrali.

La paura di effetti collaterali

Nessun farmaco è privo di effetti collaterali, ma nel caso dell’aspirina, a maggior ragione se assunta a basse dosi, il bilancio tra rischi e benefici appare altamente favorevole. «Nello studio CAPP2, condotto in soggetti con sindrome di Lynch, l’aspirina è stata utilizzata a un dosaggio di 600 mg al giorno e non sono emersi effetti indesiderati maggiori rispetto a chi non aveva assunto il farmaco. Piuttosto si è visto che, a questo dosaggio, l’aspirina è in grado di ridurre il rischio di cancro del colon, ma funziona nel tempo, non nei primissimi anni. Motivo per cui ha preso il via lo studio CAPP3, ancora in corso, per valutare anche altri dosaggi (300 mg e 100 mg). Per ora, sulla base di dati farmacologici in vitro e degli studi clinici sui tumori sporadici del colon-retto, sembrerebbe che l’effetto preventivo possa essere ottenuto già con il dosaggio di 100 mg (quello della cosiddetta cardioaspirina)» spiega Bertario.

Aspirina per i soggetti a rischio

L’aspirina a basse dosi rappresenta sicuramente un’opzione valida per i soggetti più a rischio di tumore del colon-retto. «Le principali linee guida interazionali promuovono la possibilità di colloqui informativi con le persone con sindrome di Lynch, ad alto rischio genetico di tumori del colon-retto, al fine di valutare l’accettabilità del trattamento preventivo con aspirina a basse dosi. L’intervento dovrebbe durare almeno due anni in associazione alla sorveglianza standard» segnala Bertario.

Ma l’aspirina può trovare indicazione, come sottolineano studi recenti, anche per la prevenzione dei tumori del coloon spordici nei soggetti che presentano fattori di rischio aggiuntivi, come il sovrappeso e il fumo. In tutti casi la decisione di iniziare il trattamento va presa dopo un’adeguata discussione e valutazione rischi/benefici per identificare gli individui che possano trarne maggiori benefici e che abbiano meno probabilità di sperimentare eventi avversi dovuti all’assunzione del farmaco.

Scarsa adesione

Nonostante l’indicazione dell’aspirina nella sindrome di Lynch sia consolidata, in Italia il suo utilizzo non è ancora così diffuso. E la situazione è ancora più critica quando si parla di prevenzione dei tumori sporadici. «A mio parere manca una presa di posizione delle Istituzioni che dovrebbero promuoverne l’impiego sulla base dei numerosi studi pubblicati finora – dice Bretario -. La conseguenza è la ridotta diffusione di questo approccio preventivo e la mancanza di adesione da parte dei pazienti, anche perché spesso gli stessi medici di medicina generale sono poco convinti. L’aspirina esplica la sua anzione preventiva attraverso tanti meccanismi diversi, costa poco e può agire in sinergia con altre strategie, dall’alimentazione alla sorveglianza. La sua efficacia può essere maggiore o minore, a seconda delle categorie di pazienti, ma è indubbia. Inoltre esiste anche la possibilità di avere un effetto multi-target. Prima ancora di avere un effetto sulla prevenzione dei tumori del colon, l’aspirina ha infatti un ruolo di rilievo nella prevenzione delle malattie cardiovascolari».

La prevenzione delle recidive

Accanto all’impiego nella prevenzione dei tumori del colon-retto, l’aspirina a basse dosi offre nuove prospettive anche nella prevenzione delle recidive in chi ha già sviluppato il cancro. Secondo uno studio molto recente, presentato al congresso della Società americana di oncologia dedicato ai tumori gastrointestinali, la somministrazione di aspirina a basse dosi per tre anni ha permesso di ridurre del 55% le recidive nei pazienti con tumori che presentano mutazioni nel percorso di segnalazione PI3K, presenti in circa un terzo dei casi.

«Si tratta di dati molto interessanti da consolidare. Quello che è certo è che l’aspirina soddisfa alcuni importanti requisiti: è efficace, a basso rischio, facile da somministrare e poco costosa. Bisogna stratificare le categorie di pazienti che possono beneficiarne e quindi promuoverne l’assunzione» conclude Bertario.

Antonella Sparvoli

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