Tumore al seno dopo il parto e sopravvivenza nelle donne BRCA mutate

La diagnosi di cancro mammario a distanza di meno di 10 anni dalla nascita del proprio figlio sembrerebbe associata a un rischio più elevato di morire per tutte le cause

Secondo uno studio recente, condotto da ricercatori statunitensi e inglesi, le donne con varianti germinali nei geni BRCA che ricevono una diagnosi di tumore al seno a distanza di meno di 10 anni dal parto avrebbero un rischio più elevato di morire per tutte le cause rispetto alle donne mutate che non hanno avuto figli e a quelle a cui il tumore mammario è stato diagnosticato almeno 10 anni dopo il parto. Commentiamo i nuovi dati, pubblicati sulla rivista JAMA Network Open con Elisa Picardo, ginecologa presso l’Azienda ospedaliera Citta della Salute della Scienza di Torino, Ospedale Sant’Anna e presidente di ACTO Piemonte.

Elisa Picardo

Postpartum e tumori

Alcuni studi recenti suggeriscono che il periodo postpartum possa rappresentare una finestra ad alto rischio per l’insorgenza di nuovi tumori e la rapida progressione di lesioni subcliniche verso tumori metastatici nella popolazione generale. In particolare alcuni dati hanno evidenziato che la vicinanza della diagnosi di cancro al seno al parto sia un fattore associato alla possibilità di sviluppare metastasi e alla sopravvivenza nella popolazione generale. Finora però non si avevano dati sulle donne con mutazioni germinali nei geni BRCA, le quali hanno un rischio maggiore di tumori rispetto alle donne non mutate. I ricercatori statunitensi e inglesi hanno quindi cercato di colmare questa lacuna con l’obiettivo finale di migliorare le strategie per prevenire e trattare i tumori mammari a esordio giovanile nelle portatrici di varianti BRCA della linea germinale.

Lo studio

Nel nuovo studio prospettico sono state prese in esame 903 donne con varianti patogenetiche BRCA della linea germinale a cui è stato diagnosticato un tumore al seno, in stadio da I a III, prima dei 45 anni di età, tra il 1950 e il 2021 nel Regno Unito. Scopo della ricerca era esaminare se il tempo trascorso tra il parto e la diagnosi di cancro al seno fosse associato alla mortalità in questo gruppo di pazienti.

Dall’analisi dei dati è emerso che 419 partecipanti avevano ricevuto una diagnosi di tumore mammario meno di 10 anni dopo il parto: 228 meno di 5 anni dal parto e 191 da cinque a 10 anni dopo il parto. «Rispetto alle donne nullipare, ovvero che non hanno mai partorito, e alle donne con diagnosi 10 o più anni dopo il parto, le donne con diagnosi da meno di 5 a meno di 10 anni dal parto avevano un aumento della mortalità per tutte le cause. In particolare, rispetto al gruppo nullipare, il rischio di mortalità era maggiore per le donne con tumore mammario positivo per il recettore degli estrogeni (ER) nel gruppo con diagnosi a meno di 5 anni dal parto e per le donne con malattia negativa per il recettore degli estrogeni nel gruppo con diagnosi da 5 a 10 anni dopo il parto. Inoltre per le pazienti con varianti di BRCA1 il rischio di aumento della mortalità era particolarmente significativo quando il tumore veniva diagnosticato da 5 a 10 anni dopo il parto» spiega Picardo.

Dati da confermare

«Nello studio è stato analizzato un campione di pazienti molto vario ed esteso nel tempo, a partire dagli anni ’50 del secolo scorso. Sono state quindi prese in esame anche donne che hanno avuto una diagnosi di cancro più di 50, 60 anni fa, quando i metodi di screening e le terapie erano meno accurati ed efficaci rispetto ad oggi, cosa che può aver avuto un impatto sulla sopravvivenza. Non solo, mi sembra strano che l’associazione tra tumore mammario postpartum e mortalità sia risultata significativa essenzialmente per le pazienti con varianti di BRCA1 – osserva Picardo -. Nonostante questi limiti, i nuovi dati meritano attenzione e, qualora venissero confermati, richiederebbero di rivedere le attuali strategie di consulenza genetica, prevenzione e trattamento per i portatori di varianti patogene BRCA. Tanto più che finora quasi tutti gli studi in letteratura mostrano che avere figli è un fattore protettivo nel corso della vita, perlomeno nella popolazione generale».

Gravidanza, BRCA e tumore al seno

Il nuovo studio evidenzia che le portatrici di varianti BRCA della linea germinale hanno un rischio aumentato di mortalità per tutte le cause quando il tumore mammario viene diagnosticato tra i 5 e i 10 anni dopo il parto. «L’aumentato rischio di morte nelle pazienti mutate potrebbe essere legato non tanto a un possibile “effetto collaterale” della gravidanza e del parto quanto piuttosto a un’interazione tra BRCA1 e la gravidanza che potrebbe determinare l’insorgenza di nuovi tumori o promuovere tumori subclinici già esistenti. Nel nostro ambulatorio di patologia eredo familiare dell’ospedale Sant’Anna, in cui seguiamo donne con varianti BRCA non abbiamo riscontrato un aumento di incidenza di casi tumore seno e della mortalità. Ma i nuovi dati devono portare a una riflessione. Oggi nelle portatrici di varianti BRCA che hanno un figlio e lo allattano, controlliamo il seno ogni sei mesi con l’ecografia, ma se i nuovi dati fossero confermati, magari in studi meno ampi ma concentrati nel tempo che permettano di confrontare metodiche di screening, follow-up e terapeutiche, bisognerebbe rivedere il nostro approccio. Si potrebbe per esempio suggerire di allattare al seno solo per sei mesi e quindi effettuare lo screening con la mammografia o la risonanza magnetica oppure prevedere controlli più ravvicinati negli anni successivi al parto» conclude Picardo.

Antonella Sparvoli

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