Tumore al pancreas e il caso olaparib

Questo PARP inibitore si è dimostrato utile nelle persone con cancro al pancreas portatrici di mutazioni ereditarie nei geni BRCA ed è stato autorizzato come terapia di mantenimento dagli enti regolatori statunitense ed europeo, ma l’Agenzia italiana del farmaco ha deciso di non rimborsare il farmaco

Nella sua dichiarazione dello scorso 11 gennaio, l’Agenzia italiana del farmaco (AIFA) ha ribadito la sua decisione di non rendere rimborsabile il PARP inibitore olaparib per il carcinoma del pancreas metastatico, stabilendo “che il farmaco non poteva essere ammesso alla rimborsabilità in quanto non aveva dimostrato né di prolungare la sopravvivenza né di migliorare la qualità della vita dei pazienti” (così si legge in una nota dell’Agenzia). La decisione era stata presa già qualche mese fa e aveva subito generato malcontento tra le associazioni di pazienti e gli stessi medici. Tant’è che circa 230 specialisti in tutta Italia avevano firmato un appello indirizzato all’AIFA, su iniziativa della task force oncologica dell’Associazione italiana studio pancreas (AISP), che però non ha avuto i risultati sperati, vista la nuova nota dell’Agenzia del farmaco. Ne parliamo con Michele Reni, professore associato di oncologia dell’Università Vita e Salute e coordinatore dell’area oncologica IRCCS San Raffaele di Milano, nonché uno degli autori dello studio multicentrico, pubblicato nel 2019 sul New England Journal of Medicine, che ha dimostrato come olaparib abbia aumentato l’intervallo libero da progressione nei pazienti con tumore al pancreas metastatico BRCA mutati, con benefici anche sulla qualità di vita.

Michele Reni

Olaparib e sopravvivenza

«In effetti olparib non sembrerebbe offrire un beneficio statisticamente significativo sul fronte della sopravvivenza, ma è anche chiaro che molto dipende da come vengono interpretati i dati disponibili, tant’è che il farmaco ha avuto la rimborsabilità in altri Paesi europei, quali Francia, Germania, Olanda, Austria e Belgio – premette Reni -. Tornando allo studio del 2019, ci sono voluti 4 anni per concluderlo, con il coinvolgimento di un centinaio di centri in tutto il mondo che hanno sottoposto a screening più di 3000 pazienti per poi selezionarne 154 con i requisiti (tumore al pancreas metastatico con alterazioni germinali patogenetiche nei geni BRCA1 o BRCA2) per entrare nello studio. Per evidenziare un vantaggio in termini di sopravvivenza bisognerebbe andare ben oltre, seguendo più pazienti per un periodo più lungo. Ma visti i chiari benefici offerti dal PARP inibitore sarebbe come minimo poco etico trattare metà pazienti con il farmaco e metà con il placebo».

Lo studio sul New England Journal of Medicine ha infatti dimostrato che il 33% dei pazienti che ha ricevuto olaparib come terapia di mantenimento era vivo a cinque anni contro il 17% del gruppo placebo. «Avere il 16% in più di persone vive a cinque anni mi sembra un dato senza precedenti nel tumore al pancreas, laddove anche non si raggiunga una significatività statistica» osserva Reni.

L’importanza della qualità della vita

«Il beneficio clinico di un farmaco non è solo legato a una maggiore o minore sopravvivenza, ma anche a come uno vive – continua l’oncologo -. Si parla tanto di qualità di vita e poi “si cade” proprio su questo aspetto importantissimo. Se anche fosse vero che i pazienti non vivono più a lungo, ma noi con il PARP inibitore gli consentiamo di non avere rapidamente la progressione (punto su cui è d’accordo anche l’AIFA: il tempo alla progressione della malattia viene significativamente prolungato), con tutte le conseguenze che essa comporta. Mi sembra quindi che il beneficio clinico sia ugualmente evidente» fa notare Reni. La progressione del tumore provoca infatti sofferenza per il paziente perché il tumore al pancreas causa dolori molto forti, difficoltà ad alimentarsi e altre problematiche. Senza contare che ritardare la progressione, dando un farmaco che si assume per bocca (olaparib) e non peggiora la qualità di vita, significa anche ritardare la ripresa della chemioterapia e quella per il pancreas è particolarmente “pesante”.

L’aspetto economico

Attualmente in Italia olparib non è rimborsabile, ma comunque prescrivibile: il costo è di circa 4000 euro al mese, una spesa difficilmente sostenibile per i pazienti. Tuttavia se l’AIFA rivedesse la sua decisione, l’impatto per il nostro Sistema sanitario nazionale, verosimilmente, non sarebbe così rilevante. «Olaparib è indicato per i pazienti BRCA mutati che sono una minoranza rispetto al totale di quelli con tumore del pancreas. Nel tempo che è intercorso tra la pubblicazione dello studio e la decisione dell’AIFA di non rimborsarlo, sono passati poco più di due anni e in questo periodo il farmaco è stato messo a disposizione gratuitamente dalla azienda che lo produce per i pazienti con le caratteristiche di quelli arruolati nello studio. Si tratta di circa 100 pazienti, una cinquantina all’anno, quindi una popolazione non così ampia, tra l’altro in un settore in cui di fatto non abbiamo farmaci» riferisce Reni.

A questo punto la domanda che viene da porsi è quante persone competenti di pancreas fossero sedute al tavolo tecnico dell’AIFA che ha preso la fatidica decisione. «Ben 230 oncologi hanno chiesto di riaprire la discussione e altrettanto hanno fatto le società scientifiche che si occupano di pancreas e indirettamente anche l’Associazione italiana oncologi medici (AIOM) che ha aiutato a raggiungere gli specialisti che si sono poi esposti. Francia, Germania, Olanda, Austria e Belgio hanno previsto la rimborsabilità per olaparib, verrebbe da pensare che la decisione di AIFA alla fine non sia stata così oggettiva. L’obiettivo comunque non è fare polemica, ma proporre una riflessione per il bene dei pazienti che purtroppo non hanno altre alternative» conclude Reni.

Antonella Sparvoli

© 2022 Fondazione Mutagens ETS. Tutti i diritti riservati.

Leggi altre notizie