Sindromi tumorali ereditarie: uno strumento visivo per intercettarle

Individuare una variante genetica predisponente ai tumori può avere implicazioni rilevanti in termini di programmi preventivi personalizzati, terapie mirate e test a cascata per i familiari

Per aiutare i medici a intercettare le persone che potrebbero avere una sindrome tumorale ereditaria, indirizzandole verso gli opportuni approfondimenti e con l’obiettivo di creare consapevolezza, un gruppo di ricercatori italiani ha messo a punto uno strumento visivo immediato e di facile utilizzo, pubblicato sulla rivista Genes. Ne parliamo con Mattia Garutti, coordinatore del progetto e medico oncologo presso la Struttura operativa complessa di Oncologia Medica e Prevenzione Oncologica dell’IRCCS CRO di Aviano, diretta dal professor Fabio Puglisi. Il lavoro, inoltre, ha visto la collaborazione del professor Alberto Zambelli.

Mattia Garutti

Il nuovo strumento visivo

Si stima che fino ad una persona su 30 sia potenzialmente predisposta allo sviluppo di neoplasie, un numero enorme se replicato su scala sociale. La diffusione di questo fenomeno va però in cortocircuito con la constatazione che fino al 50% di queste persone non sia a conoscenza di avere una predisposizione ereditaria allo sviluppo di neoplasie. Ed è proprio partendo da questo presupposto che è nata l’idea dei ricercatori del CRO di Aviano di fare qualcosa che possa aiutare gli operatori sanitari ad essere più consapevoli sul tema e offrire uno strumento che gli possa consentire di essere più puntuali nelle proprie valutazioni. «In pratica – spiega Mattia Garutti – abbiamo realizzato uno strumento visivo molto semplice da usare. Si tratta di una sorta di tabella, dove sulle colonne sono indicate le diverse sindromi che predispongono allo sviluppo di tumori e sulle righe le neoplasie associate a quella sindrome. Incrociando le righe con le colonne, è possibile farsi un’idea del rischio di una persona di avere una data sindrome genetica rispetto ad un’altra sulla base della storia oncologica personale e familiare e così essere in grado di indirizzare i pazienti ai centri dove effettuare ulteriori approfondimenti. Ovviamente si tratta di uno strumento orientativo per i clinici, non si sostituisce né al genetista né a qualunque altro esperto di sindromi di predisposizione».

Perché è importante riconoscere la predisposizione al cancro

Nei soggetti con sindromi tumorali ereditarie lo sviluppo di tumori non è inevitabile, si può infatti agire su più fronti per ridurre il rischio o addirittura azzerarlo in alcuni casi.

«La sensibilità nel riconoscere una predisposizione genetica e nell’individuarla con i test genetici ha ricadute pratiche poiché possiamo intervenire a diversi livelli – spiega Garutti -. Per esempio, possiamo mettere in atto strategie di prevenzione terapeutica con farmaci o interventi chirurgici profilattici in grado di ridurre in maniera significativa o anche azzerare il rischio di alcuni tumori. Questo permette di trasformare ciò che prima era un rischio in una difesa. Basta pensare ad interventi come la mastectomia profilattica e soprattutto l’ovariectomia, in grado di offrire un vantaggio in termini di salute e vita enorme».

L’opzione della chirurgia profilattica

Come riportato anche nelle linee guida AIOM, le donne con predisposizione legata a mutazioni nei geni BRCA che si sottopongono alla mastectomia profilattica e all’ovariectomia hanno un’aspettativa di vita sostanzialmente sovrapponibile a quella di chi non ha una predisposizione. «Questa – puntualizza Garutti – è la dimostrazione formale che sapere di avere una sindrome ereditaria tumorale non è una conoscenza fine a se stessa, bensì un’informazione che può essere utilizzata per migliorare davvero la vita delle persone».

Screening e sorveglianza

Quella della chirurgia profilattica è solo una delle opzioni per ridurre il rischio di sviluppare neoplasie nei soggetti predisposti. Ce ne sono infatti anche altre, a partire dalla diagnosi precoce.

«Per rimanere nell’ambito delle varianti BRCA e del rischio di tumore mammario, oggi c’è la possibilità di eseguire lo screening anche con la risonanza magnetica mammaria, oltre che con la mammografia e l’ecografia. Questa strategia facilita la diagnosi precoce e l’applicazione di terapie curative meno invasive» fa notare l’esperto.

La prevenzione attraverso lo stile di vita

Accanto agli approcci di tipo interventistico e di diagnosi precoce, c’è un terzo grande pilastro che è quello dello stile di vita. «Lo stile di vita ha un ruolo importante – sottolinea Garutti -. Sono sempre più numerose le evidenze sui numerosi fattori che possono proteggere dallo sviluppo dei tumori, quali l’attività fisica, l’alimentazione, l’esposizione ai raggi solari, ma anche l’inquinamento e la gestione del sonno. Ci sono inoltre dati sulla gestione delle infezioni e delle vaccinazioni. Per esempio, intercettare e curare l’infezione da Helicobacter Pylori a livello gastrico in chi ha una predisposizione genetica potrebbe essere un aspetto importante su cui agire a livello prevenzione dei tumori gastrici».

Coinvolgimento attivo della persona

La persona con una sindrome tumorale ereditaria ha quindi degli strumenti, dalla dieta all’attività fisica, per potenziare la sua salute, una risorsa in più da affiancare, per esempio, ai pilastri terapeutici e di diagnosi precoce.

«Le indicazioni relative allo stile di vita non devono però essere trasmesse con ansia o apprensione, bensì in un’ottica di benessere generale della persona. È importante integrare l’edonismo all’interno della prevenzione: non ha senso forzare la persona in diete estreme che tolgano la gioia o la socialità, amplificando le responsabilità e lo stress – osserva Garutti -. Fare prevenzione significa guadagnare in salute inglobando anche aspetti come qualità di vita, leggerezza e piacere. Tutti questi elementi dovrebbero essere anch’essi parte di un percorso alimentare e di movimento che va gestito con l’aiuto di professionisti attenti alle evidenze scientifiche e alle pratiche migliori, ma che strizzino l’occhio anche al piacere che la vita può e deve dare alle persone. Prevenire non significa negare ma agire con benevola consapevolezza».

Sensibilizzazione e indicazioni pratiche

«Conoscere le pratiche migliori sullo stile di vita forse, però, non basta – continua l’oncologo medico -. Tutti sappiamo che fumare fa male, ma come mai in Italia un adulto su quattro fuma? E perché solo il 7% degli italiani consuma le 5 porzioni di frutta e verdura al giorno raccomandate? È evidente che esiste un gap tra conoscenza ed applicazione: questo è uno snodo cruciale su cui agire».

Per promuovere cambiamenti dello stile di vite è dunque fondamentale promuovere una maggiore sensibilizzazione e dare indicazioni pratiche. Tra le possibili strategie che possono essere messe in atto da medici e operatori sanitari c’è anche quella di ricorrere a modelli psicologici pragmatici, come il modello transteorico di Prochaska e DiClemente. «Questo modello spiega gli stadi e i processi che sono alla base del cambiamento, sottolineando l’importanza della motivazione. Un approccio di questo tipo facilita il cambiamento e permette di applicare e assorbire nella propria vita buone abitudini. Non basta dire cosa fare, ma anche mostrare come farlo».

Prevenzione sul singolo e sui familiari a rischio

Accanto alle numerose strategie che si possono mettere in atto per ridurre il rischio di sviluppare neoplasie nei soggetti in cui viene identificata una variante patogenica predisponente, c’è anche l’ampio capitolo dei test a cascata sui familiari. «Una persona che effettua il test genetico e risulta positiva per una predisposizione genetica ha la possibilità di agire come catalizzatore di salute nel suo nucleo familiare, permettendo di far accedere al test genetico i suoi parenti. Questa da un lato è una risorsa potente per allargare a macchia d’olio la salute che possiamo aggiungere alla vita delle persone. D’altro canto è anche una sfida, a cui forse culturalmente non siamo ancora preparati come società, anche a causa della paura o della paucità di informazioni. Non è raro vedere come l’esecuzione a cascata di questi test genetici si interrompa e troppi pochi familiari completino i percorsi diagnostici. Bisogna ancora lavorare su questo fronte, dando maggiori informazioni alle famiglie e accompagnandole in questo percorso. In questo ambito può giocare un ruolo importante anche il supporto psicologico. Ci sono persone che possono avere bisogno di questo servizio per apprendere strategie di coping per gestire meglio certe informazioni o eventi della vita. Inoltre, anche le associazioni hanno un ruolo chiave nel propagare conoscenza di valore nel tessuto sociale» conclude Garutti.

Antonella Sparvoli

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