Sindrome di Li-Fraumeni: sorveglianza personalizzata

Una recente indagine sottolinea l’importanza di strategie di counseling e di sorveglianza per favorire l’aderenza dei pazienti e aiutarli psicologicamente a far fronte a questa rara malattia che predispone a diversi tumori


Convivere con la sindrome di Li-Fraumeni non è facile. Questa rara malattia genetica predispone infatti, già in giovane età, a una lunga serie di tumori, tra i quali osteosarcomi, sarcomi dei tessuti molli, leucemie, linfomi, tumori del seno in soggetti giovani, tumori del cervello e tumori della corteccia surrenale. Per fronteggiare lo stress e le difficoltà legate alla consapevolezza di essere affetti da questa sindrome ereditaria potrebbero però essere d’aiuto offrire ai pazienti un counseling più efficiente così come un programma di sorveglianza standardizzato interdisciplinare, facilmente accessibile e ben organizzato. A suggerirlo è una recente indagine condotta in Germania, oggetto di uno studio pubblicato sulla rivista Cancer (https://acsjournals.onlinelibrary.wiley.com/doi/full/10.1002/cncr.33004).

La sindrome e l’indagine

In circa il 70 per cento delle famiglie con la sindrome di Li-Fraumeni è stata identificata una mutazione germinale del gene TP53, situato sul cromosoma 17, dal quale, in condizioni normali, dipende la sintesi di una proteina oncosoppressore (P53), che contribuisce a regolare i processi di replicazione delle cellule, impedendo lo sviluppo di cellule tumorali. I pazienti Li-Fraumeni ereditano in genere una copia mutata o deleta del gene TP53 e una copia normale e funzionante. Tuttavia questi pazienti, anche in giovane età, possono subire un’alterazione dell’unica copia sana di TP53 e così sviluppare precocemente una neoplasia. Il rischio di sviluppare un tumore in un soggetto portatore di una mutazione del gene TP53 è del 15 per cento a 15 anni, dell’80 per cento nelle donne a 50 anni e del 40 per cento negli uomini della stessa età.
Nello studio tedesco sono stati presi in considerazione 49 partecipanti, portatori di una mutazione germinale nel gene TP53. Ai soggetti è stato chiesto di compilare un dettagliato questionario per raccogliere dati sociodemografici, sulla storia di tumore, sulla partecipazione a protocolli di sorveglianza nonché su possibili ragioni di non aderenza ai controlli, stress e preoccupazioni legate alla malattia. Nel complesso ben l’88 per cento dei pazienti (43) ha riferito di aver aderito ai programmi di sorveglianza sia durante sia prima dello studio. La volontà di sottoporsi alla sorveglianza si è rivelata dipendere dal grado di soddisfazione della consulenza genetica e del counseling in generale. Tuttavia circa un terzo dei partecipanti ha riferito alcune difficoltà logistiche legate alle frequenti visite mediche, alla pianificazione dei controlli nonché agli spostamenti necessari per raggiungere il centro in cui svolgere la consulenza.

Possibili soluzioni

Per semplificare la vita ai pazienti e migliorare i programmi di sorveglianza e supporto psicologico si può agire su vari fronti, suggeriscono gli autori dello studio.
“I frequenti appuntamenti, che richiedono l’iniziativa personale e che spesso vengono programmati presso centri di assistenza lontani dal proprio domicilio, causano un onere per i pazienti che potrebbe essere potenzialmente evitato utilizzando le moderne tecnologie, per esempio applicazioni per telefoni cellulari in grado di monitorare e riassumere gli appuntamenti, di fornire aggiornamenti e raccomandazioni” fanno notare gli autori. “Interventi standard, come esami del sangue e indagini diagnostiche come la colonscopia, potrebbero inoltre essere eseguiti in centri locali, mentre altre tipologie di visite che richiedano competenze specifiche sulla sindrome di Li-Fraumeni (come la risonanza magnetica total body) potrebbero essere offerte da centri oncologici specializzati che conducono ricerche traslazionali”. Studi attualmente in corso stanno sempre più puntando a sviluppare programmi di screening e sorveglianza personalizzati in base al proprio profilo di rischio, senza dimenticare le implicazioni psicologiche che comporta per i pazienti convivere con questa sindrome eredo-familiare

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