Oncofertilità nelle donne affette da cancro o a rischio di svilupparlo

Di recente la collaborazione pubblico-privato tra il Centro di medicina della riproduzione Biogenesi presso gli Istituti Clinici Zucchi di Monza e l’Ospedale Manzoni di Lecco ha permesso a una paziente oncologica di accedere ai trattamenti di preservazione della fertilità. L’importanza della rete Hub & Spoke nella preservazione della fertilità in pazienti oncologici

Le competenze specialistiche per la cura di patologie complesse non possono essere assicurate in modo capillare in tutto il territorio, motivo per cui è stato creato il modello Hub & Spoke, grazie al quale possono essere erogate, in collaborazione con altre strutture, prestazioni specialistiche non disponibili nel centro in cui il paziente è seguito. È proprio grazie a questo tipo di organizzazione che di recente il Centro di Medicina della Riproduzione Biogenesi, presso gli Istituti Clinici Zucchi di Monza del Gruppo San Donato, e l’Ospedale A. Manzoni di Lecco hanno potuto lavorare in sinergia per consentire a una paziente oncologica in età fertile di accedere ai trattamenti di preservazione della fertilità. Grazie a questa collaborazione è stato possibile garantire la crioconservazione di ben 30 ovociti, che la paziente potrà impiegare in futuro nell’ambito di procedure di procreazione assistita.

Abbiamo analizzato con Mario Mignini Renzini, professore di Ginecologia e Ostetricia presso l’Università degli Studi di Milano Bicocca e Responsabile di Biogenesi, le peculiarità di questo tipo di collaborazione e, più in generale, il tema della preservazione della fertilità nelle donne con malattia oncologica e ad alto rischio di tumori eredo-familiari.

Mario Mignini Renzini

La vicenda

«Come centro privato convenzionato, Biogenesi collabora già da tempo con diversi centri di riferimento oncologico (tra cui l’Ospedale San Gerardo di Monza, l’IEO, l’Istituto dei tumori di Milano, ecc) che non hanno al loro interno un reparto di medicina della riproduzione – spiega Mignini Renzini -. In genere la collaborazione prevede che la paziente, dopo la diagnosi di tumore e la pianificazione delle terapie nel centro oncologico, venga dimessa in attesa delle cure. Ed è proprio in questo frangente che, se la donna è in età riproduttiva, la si invita a cansultare un centro per fertilità per valutare la possibilità di crioconservare gli ovociti. La paziente ricoverata all’Ospedale Manzoni non poteva essere dimessa a causa delle sue condizioni di salute, ma grazie alla collaudata collaborazione tra le due strutture (Manzoni e Biogenesi) e, in questo caso, tra i reparti di ginecologia di Biogenesi e dell’Ospedale Manzoni di Lecco e l’onco-ematologia, è stato possibile attivare comuque le procedure per la presevazione della fertilità tramite trasferimenti tra i due ospedali».

In pratica la paziente ricoverata nel reparto di onco-ematologia dell’ospedale lecchese è stata seguita dai ginecologi di Lecco per la fase di monitoraggio ecografico e la terapia di induzione della crescita follicolare, per poi essere trasferita presso il Centro di Medicina della Riproduzione Biogenesi degli Istituti Clinici Zucchi di Monza per eseguire il prelievo ovocitario ecoguidato e la crioconservazione degli ovociti recuperati. Al termine della procedura, dopo un periodo di osservazione di alcune ore, la paziente è tornata nel reparto di onco-ematologia di Lecco dove ha potuto proseguire le terapie oncologiche.

Tumori e fertilità

L’infertilità associata alle terapie oncologiche è un problema importante per le donne che sviluppano un tumore in età riproduttiva. Per questo motivo le pazienti andrebbero sempre informate tempestivamente circa la possibilità di sottoporsi a procedure per la preservazione della fertilità. 

«La legge vigente (Legge 40) prevede l’accesso alle procedure di preservazione della fertilità alle donne, anche non in coppia, nel momento della diagnosi di tumore, dopo un appropriato counseling mutidisciplinare (oncologo, esperto della fertilità, ecc.) – spiega Mignini Renzini -. Le procedure per la preservazione fertilità possono essere eseguite solo in centri di medicina della riproduzione. In tutta Italia, tra pubblico e privato, sono più di 350 le strutture in grado di farlo e in linea di massima in ogni regione esiste una rete con almeno un centro, che svolge questa attività in convenzione con il Sistema sanitario nazionale».

Oncofertilità e sindromi ereditarie

Il tema della preservazione della fertilità, come ha più volte sottolineato la stessa Fondazione Mutagens, è molto importante per le persone con sindromi ereditarie di predisposizione ai tumori e riguarda non solo la persona portatrice della mutazione germinale al momento della diagnosi di cancro, ma anche i soggetti sani ad altro rischio.

«Un counseling personalizzato è sempre fondamentale quando si parla di preservazione della fertilità, a maggior ragione qualora si abbia a che fare con donne ad alto rischio ereditario di tumore, tenendo conto che spesso hanno bisogno di sottoporsi il prima possibile a interventi profilattici sugli organi riproduttivi (utero, ovaio). In questi casi un’adeguata e tempestiva pianificazione del percorso riproduttivo può infatti salvaguardare la loro fertilità futura» osserva l’esperto.

Le questioni da risolvere

Oggi solo le pazienti con diagnosi di tumore hanno diritto alla preservazione della fertilità con la copertura dei costi da parte del sistema sanitario, quelle sane ad alto rischio devono pagare di tasca propria. Ma ci sono anche altre problematiche aperte, come fa notare Mignini Renzini. «Se una donna ad alto rischio eredo-familiare effettua la crioconservazione anticipata degli ovociti, verosimilmente anche gli ovociti saranno mutati (in teoria nel 50% dei casi). La donna va quindi attentamente informata perché sta “mettendo via” cellule che possono contenere la mutazione. Non solo, nei casi ina cui la donna si sottoponga a una chirurgia profilattica radicale sull’apparato genitale, togliendo sia ovaie sia utero, a quel punto non sarà più possibile una gravidanza». 

La diagnosi genetica preimpianto può venire in soccorso delle donne che abbiano deciso di crioconservare gli ovociti per una gravidanza futura in quanto permette di individure alcni alterazioni genetiche dell’embrione prima di trasferirlo nell’utero. Tuttavia, anche in questi casi, l’accesso a carico del sistema sanitario è limitato a qualche regione o contesto specifico. «Non solo, le procedure di fecondazione assistita sono complesse e sono diversi i fattori, anche non genetici, che possono comprometterne il successo. Si tratta di un percorso non semplice e le coppie devono esserne consapevoli» conclude Mignini Renzini.

Antonella Sparvoli

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