Novità per la malattia di Von Hippel-Lindau

La Commissione Europea ha approvato un nuovo farmaco che permetterà di ridurre il ricorso alla chirurgia nei pazienti adulti con tale sindrome ereditaria di predisposizione al cancro

Grazie all’approvazione, da parte della Commissione Europea, del farmaco belzutifan si aprono nuove prospettive per le persone che soffrono della malattia di Von Hippel-Lindau (VHL), una rara sindrome ereditaria che aumenta il rischio di sviluppare tumori benigni e maligni e cisti che possono interessare diversi organi e tessuti, ma in modo particolare il sistema nervoso, i reni, l’occhio e il pancreas. Approfondiamo il tema con Alfonso Massimiliano Ferrara, endocrinologo referente del Programma di sorveglianza della malattia di Von Hippel-Lindau dell’Unità Tumori Ereditari dell’IRCCS IOV di Padova.

Alfonso Massimiliano Ferrara

La malattia di Von Hippel-Lindau

La malattia di Von Hippel-Lindau è causata da varianti patogenetiche del gene VHL, che sopprime i tumori (oncosoppressore), implicato nel controllo della crescita e morte cellulare e nella regolazione dello sviluppo dei vasi sanguigni. Un genitore che presenta una copia mutata di uno dei due geni VHL ha un rischio del 50% di trasmetterla ai figli, tuttavia in rari casi la malattia può comparire anche in seguito a una mutazione del novo, che avviene cioè spontaneamente in un individuo che non ha un genere portatore. La sindrome, che interessa circa una persona su 50 mila, può manifestarsi clinicamente a qualunque età.

«All’Istituto Oncologico Veneto (IOV), dal 2003 a oggi, abbiamo seguito 331 pazienti colpiti dalla malattia di Von Hippel-Lindau, appartenenti a 178 diverse famiglie provenienti da tutte le regioni d’Italia, e siamo uno dei pochi centri italiani con percorsi specifici per le persone con tale sindrome» riferisce Ferrara.

Le manifestazioni

Così come avviene in altre sindromi tumorali eraditarie, chi è portatore di una mutazione del gene VHL è più predisposto a sviluppare alcuni tipi di tumore ad una età media molto più precoce rispetto a quella in cui si verificano di solito gli stessi tumori. Il tumore benigno più spesso associato alla sindrome è l’emangioblastoma.

«L’emangioblastoma è un tumore benigno del sistema nervoso centrale ma, poiché si forma in uno spazio ristretto, cioè la scatola cranica se riguarda il cervelletto o il canale vertebrale se colpisce il midollo spinale, può causare complicazioni importanti, fino anche alle tetraplegie. Similmente, anche alcuni angiomi (emangioblastomi) della retina se non prontamente trattati possono condurre alla cecità – spiega Ferrara -. Negli organi viscerali, come rene e pancreas, si possono formare lesioni cistiche che hanno, per lo più, un comportamento benigno oppure tumori maligni, come il carcinoma a cellule renali o il tumore neuroendocrino del pancreas».

L’intercettazione

Si può arrivare alla diagnosi della malattia di Von Hippel-Lindau attraverso tre vie diverse. «Se c’è un familiare di primo grado affetto, il test genetico può confermare la presenza di una variante germinale del gene VHL e aprire la strada a un percorso di sorveglianza mirato – spiega Ferrara -. Altre volte si fa diagnosi di malattia grazie alla combinazione delle manifestazioni tipiche (la cosiddetta diagnosi clinica), ad esempio: due emangioplastomi del sistema nervoso centrale o un emangioma del sistema nervoso centrale più una manifestazione addominale (carcinoma a cellule chiare del rene, tumore neuroendocrino del pancreas o feocromocitoma). Infine, si deve indirizzare in maniera concreta a fare il test genetico chi scopre di avere un emagioblastoma del sistema nervoso centrale, un angioma retinico, un tumore del sacco endolinfatico (una parte dell’orecchio medio) o un tumore a cellule chiare del rene in giovane età, un feocromocitoma o un cistoadenoma papillare del testicolo. Basta uno di questi criteri per accedere alla consulenza genetica e successivamente al test genetico. La presenza della malattia è molto probabile anche in quei pazienti che presentano angiomi multipli della retina oppure tumori del sacco endolinfatico bilaterali. Anche in questi casi si procede comunque con la conferma con il test genetico».

L’importanza della sorveglianza

Sapere di essere portotore di una variante patogenetica del gene VHL permette di accedere a un percorso di sorveglianza mirato, scandito dall’età del soggetto, che permette di individuare i tumori tipici della sindrome in fase precoce quando è più facile gestirli.

«Gli esami di laboratorio e le diverse indagini radiologiche raccomandate dalle attuali linee guida possono essere diverse e con tempistiche differenti a seconda dell’età del paziente – riferisce l’esperto -. La sorveglianza diventa più intensa con la maggiore età. In linea di massima una volta l’anno si fa una risonanza magnetica cerebrale, spinale e dell’addome; un esame delle urine per lo screening del feocromocitoma; l’audiometria per lo screening dei tumori del sacco endolinfatico e, una tantu, per il maschio, un’ecografia dello scroto. Questi esami si fanno periodicamente fino a una determinata età, poi subentrano il giudizio del team multidisciplinare e la storia del paziente per definire se per un distretto o un altro si può terminare la sorveglianza».

Grazie all’evoluzione dei programmi di sorveglianza è aumentata notevolemente la sopravvivenza mediana dei pazienti, complice anche il miglioramento delle strategie chirurgiche, grazie a interventi molto precisi e raffinati.

La terapia chirurgica e il nuovo farmaco

Il trattamento della malattia di Von Hippel-Lindau va sempre personalizzato e dipende dalla natura e dalla gravità delle lesioni benigne o maligne. Nella maggior parte dei casi il primo approccio è costituito dalla chirurgia per rimuovere tumori e cisti.

«I pazienti, avendo sino a 10 diversi tipi di tumori fra benigni e maligni, vengono sottoposti a innumerevoli interventi chirurgici e può capitare che, a un certo punto, il carico psicologico sia tale che qualcuno arrivi a “gettare la spungna” – fa notare Ferrara –. L’approvazione di belzutifan da parte della Commissione Europea potrebbe fare la differenza. Pensare di avere a disposizione, per alcune manifestazioni della malattia, un farmaco che si prende per bocca diventa, dal punto di vista di approccio psicologico alla malattia, qualcosa di molto importante. L’arrivo di belzutifan, quando il farmaco sarà approvato dall’Agenzia italiana del farmaco (AIFA), rivoluzionerà l’approccio alla malattia nelle sue diverse manifestazioni, in particolare in quesi casi in cui il trattamento chirurgico o locoregionale non può essere eseguito».

Come funziona la nuova terapia

«La malattia di Von Hippel-Lindau è legata a una mutazione che inattiva il gene VHL, con conseguente mancanto funzionamento della proteina codificata da questo gene. Ciò comporta una maggiore espressione di un’altra proteina, chiamata fattore 2 alfa inducibile dall’ipossia (HIF-2α) – spiega Ferrara -. Belzutifan blocca questa proteina e in questo modo viene ridotta l’espressione di una serie di geni a valle responsabili del manifestarsi dei diversi tumori legati alla sindrome. Attraverso questo meccanismo, il nuovo farmaco permette una buona risposta in termini di stazionarietà delle dimensioni dei tumori o, in alcuni casi, addiruttura di riduzione degli stessi. Belzutifan è il primo farmaco applicato alla malattia di Von Hippel-Lindau che contemporanemente riesce ad agire su diversi aspetti della sindrome grazie allo specifico bersaglio molecolare».

Le indicazioni

Belzutifan è un inibitore orale di HIF-2α, approvato, sulla base sui risultati dello studio LITESPARK-004, in monoterapia per il trattamento di pazienti adulti affetti dalla malattia di Von Hippel-Lindau che necessitano di terapia per carcinoma a cellule renali localizzato, per emangioblastomi del sistema nervoso centrale o per tumori neuroendocrini del pancreas e per i quali le procedure locali non sono adeguate. Belzutifan ha ottento inoltre, sulla base dello studio e LITESPARK-005, l’approvanzione per il trattamento di pazienti affetti da carcinoma del rene a cellule chiare avanzato, progredito dopo due o più linee di terapia – che includevano un inibitore del recettore di morte programmata di tipo 1 (PD-1) o del ligando di morte programmata di tipo 1 (PD-L1) – e almeno due terapie mirate verso il fattore di crescita endoteliale vascolare.

Antonella Sparvoli

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