L’impatto positivo dei PDTA sugli esiti dei pazienti oncologici

Un’analisi delle esperienze internazionali e italiane mostra che l’approccio multidisciplinare che contraddistingue i percorsi diagnostico terapeutici assistenziali può migliorare la gestione del cancro

Negli ultimi decenni, il Percorso diagnostico terapeutico assistenziale (PDTA) è diventato uno dei pilastri fondamnetali dell’organizzazione sanitaria, specialmente in oncologia, dove la complessità delle neoplasie richiede strategie terapeutiche integrate e personalizzate. Le esperienze internazionali e nazionali mostrano che i PDTA contribuiscono a migliorare la qualità dell’assistenza sanitaria con ricadute positive per i pazienti. Lo sottolinea anche un capitolo dedicato al tema all’interno dell’ultimo Rapporto FAVO (Federazione delle associazioni di volontariato in oncologia) sulla condizione assistenziale del malato oncologico, a cura di Lucia Mangone, Antonino Neri e F. Morabito dell’Azienda USL-IRCCS di Reggioe Emilia. Ne riprendiamo i punti salienti in questo approfondimento.

Gli obiettivi del PDTA

«L’obiettivo principale del PDTA – si legge nel capitolo del Rapporto FAVO – consiste nell’incrementare il livello di qualità dell’assistenza sanitaria, migliorando gli esiti terapeutici e garantendo la sicurezza del paziente attraverso l’utilizzo di risorse appropriate. Dal punto di vista del paziente, il PDTA si configura come il documento che traccia il percorso terapeutico individuale, delineando la sequenza ottimale di interventi necessari per raggiungere gli obiettivi di salute e superando i tradizionali compartimenti settoriali».

Per garantire il raggiungimento di questi obiettivi, gioca un ruolo fondamentale il team multidisciplinare che garantisce la collaborazione sinergica tra i vari specialisti e professionisti sanitari coinvolti nel percorso del paziente per offrirgli il trattamento più idoneo al momento opportuno.

L’approccio multidisciplinare nei PDTA

A livello internazionale la presenza di team multidisciplinari nell’ambito dei PDTA ha dimostrato un impatto positivo sugli esiti oncologici, riducendo le recidive e migliorando la sopravvivenza. Per esempio alcuni studi internazionali suggeriscono che questo tipo di approccio possa contribuire a ridurre le recidive nel cancro della mammella e del retto e a diminuire la mortalità nel carcinoma polmonare. Inoltre sono state raccolte esperienze positive anche in pazienti con altri tumori come quelli di testa-collo, esofago e ovaio.

Anche l’esperienza italiana conferma la validià di PDTA e team multidisciplinari in diversi contesti clinici. Il tumore della prostata, per esempio, è stato gestito con successo attraverso team multidisciplinari capaci di migliorare il percorso chirurgico e radioterapico. Uno studio condotto a Torino ha evidenziato come l’intervento del team multidisciplinare abbia portato a modificare il piano terapeutico in quasi la metà dei pazienti con tumore alla prostata avanzato, in un terzo di quelli con malattia metastatica e in un quarto di quelli con tumore localizzato. Un altro studio condotto dall’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano ne ha invece documentato l’impatto rilevante nella gestione personalizzata dei tumori del distretto testa-collo.

Vantaggi e sfide nell’implementazione dei PDTA in Italia

Sebbene siano numerose le esperienze positive italiane, esistono ancora delle difficoltà nell’applicazione uniforme del modello PDTA e team multidisciplinari in Italia. Una delle criticità, come suggerisce uno studio sulla gestione del tumore al polmone, condotto presso l’Istituto Nazionale Tumori di Napoli, riguarda la tempistica di comunicazione delle decisioni terapeutiche del team multidisciplinare. Per evitare ritardi nei trattamenti, la decisione finale andrebbe comunicata entro 24 ore dalla riunione, cosa che non sempre accade.

Un’ulteriore criticità riguarda le disparità regionali nella disponibilità di PDTA e team multidisciplinari. Mentre nel Nord Italia si riscontrano soprattutto problemi di tempistica nella discussione dei casi clinici, nelle regioni del Centro-Sud la carenza di percorsi regolari rappresenta una sfida più ampia.

Per superare queste criticità logistiche e organizzative, segnalano gli autori del capitolo, bisognerebbe agire su più fronti attraverso la standardizzazione dei processi, una più ampia formazione degli operatori sanitari e una collaborazione costante tra le strutture sanitarie, senza dimenticare l’importanza di una buona comunicazione all’interno dei team e con il paziente.

Antonella Sparvoli

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