La prevenzione deve diventare anche una questione maschile

Il mese di novembre è dedicato alla prevenzione maschile e in particolare alla sensibilizzazione sul tumore alla prostata, il tumore più rilevante per gli uomini, con oltre 41.000 nuove diagnosi all’anno in Italia, una patologia che colpisce un uomo su nove nel corso della vita, in prevalenza a partire dai 50 anni. Anche su tale organo la diagnosi precoce è di grande importanza, visto che la sopravvivenza alla malattia supera il 95% ed è in aumento per la maggiore efficacia delle terapie chirurgiche e oncologiche. E’ una buona occasione per approfondire il tema della prevenzione dal cancro negli uomini, una questione non abbastanza dibattuta, forse per motivazioni di carattere culturale, psicologico e sociale.

Nell’era della medicina personalizzata lo studio delle differenze di genere nello sviluppo dei tumori rappresenta una nuova sfida per ricercatori e clinici. Per troppo tempo, infatti, l’oncologia si è concentrata sull’apparato riproduttivo femminile e sul seno (la cosiddetta “sindrome del bikini”)Oggi numerose evidenze scientifiche ci mostrano molte differenze tra uomini e donne in vari tumori: dall’incidenza alla mortalità, dalla sintomatologia alla risposta alle terapie, dalla diagnosi alla prevenzione. È fondamentale individuare tutti i fattori che contribuiscono a queste differenze per poter pianificare dei percorsi di diagnosi, prevenzione e cura più mirati, anche in rapporto al genere.

I tumori sono la seconda causa di morte nel mondo e colpiscono più gli uomini che le donne. Secondo gli ultimi dati disponibili in Italia una donna su tre contro un uomo su due (+50%) hanno la probabilità di ricevere una diagnosi di tumore nel corso della vita.  Oltre ai tumori che per ragioni di anatomia possono colpire solo le donne o solo gli uomini (ovaio/tube/utero e prostata/testicoli/pene), diversi studi epidemiologici hanno dimostrato che altri tipi di cancro colpiscono diversamente maschi e femmine. Ad es. il melanoma ha un’incidenza e una mortalità maggiore negli uomini, mentre le donne hanno un rischio ridotto di sviluppare la malattia e solitamente sono interessate da forme meno aggressive. Vi sono differenze nella localizzazione del tumore: le donne sono colpite spesso negli arti inferiori mentre negli uomini il melanoma è più frequente al tronco. Anche il tumore del colon retto – una delle maggiori cause di morte nel cancro – ha un’incidenza maggiore negli uomini rispetto alle donne. Nelle donne si sviluppa principalmente nel tratto destro ascendente, una posizione generalmente associata a una forma più aggressiva e che potrebbe rendere meno affidabile lo screening tramite la ricerca del sangue occulto nelle feci. Nel cancro della vescica l’incidenza maggiore negli uomini è di ben quattro volte superiore rispetto alle donne, a causa di una maggiore esposizione a fattori di rischio ambientali e comportamentali. Un’altra neoplasia in cui si osserva una marcata differenza di genere è il tumore al polmone. L’incidenza e la mortalità di questo cancro sono infatti maggiori negli uomini rispetto alle donne, sebbene negli ultimi decenni ci sia stata una crescita esponenziale nelle donne, a causa di un aumento del consumo di tabacco nella popolazione femminile.  

Uno degli elementi chiave per spiegare le differenze di genere nell’incidenza e mortalità dei tumori è la diversità di impatto ed esposizione ai fattori di rischio. La trasformazione cellulare associata allo sviluppo di un tumore è infatti in prevalenza causata da mutazioni epigenetiche, provocate da fattori ambientali e comportamentali come fumo, alcol, sovrappeso e obesità, dieta, sedentarietà, esposizione al sole, inquinamento atmosferico, esposizione ad agenti chimici.  Gli uomini, almeno storicamente, sono più soggetti a tali fattori di rischio (alcol, fumo, stupefacenti) e sono meno virtuosi delle donne per quanto riguarda l’alimentazione e l’attività fisica. Inoltre, sono più spesso esposti a inquinanti ambientali per motivi prevalentemente professionali (ad es. polmone, vescica, melanomi, linfomi, tiroide).

Le donne, inoltre, pare dispongano di un meccanismo di difesa dal cancro in più rispetto agli uomini, grazie ai due cromosomi X, uno dei quali viene sempre inattivato. L’inattivazione avviene in modo casuale e indipendente in ogni cellula durante i primi mesi di vita, facendo sì che nell’organismo siano presenti cellule con un diverso patrimonio genetico (mosaicismo). In alcuni tipi di cancro si sono osservate mutazioni a carico dei geni localizzati sul cromosoma X: poiché le donne possiedono due copie di questi geni sarebbero più protette dagli effetti di eventuali mutazioni rispetto agli uomini, con conseguente minore incidenza del cancro. Anche gli ormoni sessuali possono spiegare una diversa progressione di alcuni tipi di tumore. Gli ormoni maschili, come il testosterone, sono stati associati ad una maggiore crescita e aggressività del tumore, mentre gli estrogeni femminili svolgono un ruolo prevalentemente protettivo, tranne che per il carcinoma mammario, per il quale rappresentano invece un fattore di maggiore rischio. Lo stesso sistema immunitario, probabilmente per ragioni biologiche, può contribuire a spiegare una minore suscettibilità al cancro delle donne. Infatti, nelle donne si osservano risposte immunitarie più forti ed efficaci rispetto agli uomini e questo potrebbe determinare una loro maggiore capacità di contrastare la replicazione delle cellule tumorali. In sintesi, volendo rimandare anche all’antropologia di genere, potremmo affermare che per compensare il loro sacrificio nella procreazione e nella cura della prole, madre natura ha voluto donare alle donne una “migliore protezione” della loro salute. Con la conseguenza che gli uomini, senza tale “dono”, sono più predisposti biologicamente alla malattia in generale e al cancro in particolare, benché si sia sempre parlato di loro come del “sesso forte” (attributo da riconsiderare anche in questa prospettiva biologica).

Andando oltre le differenze biologiche, esistono poi altri fattori – psicologici, sociali e culturali – che influenzano la percezione di genere del proprio corpo e l’attenzione alla salute, con condizioni diverse tra uomini e donne. Gli uomini tendono a essere meno attenti ai segnali del proprio corpo rispetto alle donne. Ciò si traduce in una minore attenzione ai sintomi e in una tendenza a ignorare segnali di malessere o problematiche di salute. Questa differenza può essere legata alla loro educazione: in molte culture, specie in quella occidentale, agli uomini viene insegnato fin da piccoli a reprimere le emozioni e a non mostrare vulnerabilità. Questo atteggiamento può influire sulla propensione a riconoscere e dare importanza a segnali come dolore, disagio e sensazioni. Inoltre, gli uomini tendono tra loro a percepirsi come forti e autosufficienti e chiedere aiuto o ammettere di non sentirsi bene può essere visto dagli altri come un segno di debolezza. Addirittura, in alcuni contesti culturali, la mascolinità è associata a un comportamento rischioso (“voglio una vita spericolata”, cantava Vasco Rossi) e a una certa indifferenza verso la cura di sé. Questo stereotipo può scoraggiare gli uomini dal prendersi cura del proprio corpo, dall’ammettere di avere paura di una malattia o dall’adottare abitudini salutari. Per contro, in termini di gioco di ruolo, alle donne viene attribuita la responsabilità di “guardiane della salute familiare”, il che le porta a essere più attente non solo alla propria salute ma anche a quella dei loro cari, con il risultato che i maschi tendono per reazione a disinteressarsene. Questa minore attenzione alla salute da parte degli uomini può portare a diagnosi tardive di malattie, compresi i tumori, con conseguente peggioramento delle prognosi. Spesso gli uomini si recano dal medico solo quando i sintomi diventano molto evidenti o gravi, riducendo così le possibilità di trattamenti precoci e più efficaci.

Ecco perché affrontare a più livelli il tema della prevenzione nella popolazione maschile è un’ottima opportunità per discutere di salute per la famiglia e per tutti i cittadini, anche per i single, sempre più numerosi nella civiltà contemporanea. E da quanto abbiamo esposto finora i “single uomini” presentano dei profili di rischio ancora maggiore delle “single donne”, che sono più abituate a preoccuparsi della propria salute. La buona notizia, che arriva dalla Regione Lombardia è che dal 1 novembre è stato avviato, in via sperimentale, un nuovo programma di screening gratuito per la diagnosi precoce del tumore alla prostata, sulla base di una recente raccomandazione della Commissione Europea che si auspica venga recepita anche da altre regioni e dallo stesso Ministero della Salute, per un suo inserimento nei LEA (come già avviene per lo screening di popolazione sulla mammella, la cervice uterina e il colon-retto). Inizialmente saranno reclutati i cittadini lombardi che hanno compiuto 50 anni e progressivamente la platea sarà estesa a tutta la popolazione maschile fino a 70 anni. Il percorso si basa sulla misurazione del PSA (Antigene Prostatico Specifico) attraverso un semplice esame del sangue. Sulla base del rischio individuato tramite i valori del PSA e un questionario sono previsti ulteriori approfondimenti diagnostici come la visita urologica, la risonanza magnetica e la biopsia prostatica.

La Fondazione Mutagens, insieme a Europa Uomo, ha avanzato alla Direzione Prevenzione della Regione Lombardia una formale richiesta per l’estensione di tale percorso di prevenzione ai soggetti portatori di sindromi di predisposizione genetica al tumore alla prostata (sindrome HBOC-BRCA, LYNCH, varianti patogenetiche più rare), i quali dovrebbero sulla base delle linee guida nazionali e internazionali, avviare la sorveglianza intensificata già a partire dai 40 anni di età. Tale richiesta, qualora accolta, sarebbe la prima occasione per un intervento di sanità pubblica rivolto ad una specifica popolazione ad alto rischio, come viene raccomandato nel Piano Europeo di Lotta contro il Cancro e nel Piano Oncologico Nazionale 2023-2027. Siamo fiduciosi perché, al di là dei benefici immediati per la diagnosi precoce, tale iniziativa può acquisire anche una valenza culturale di sensibilizzazione nella popolazione maschile a prendersi maggior cura della propria salute. Come già affermato, le differenze nell’attenzione alla salute tra uomini e donne non sono solo il risultato di fattori biologici, ma anche di profonde influenze personali, sociali e psicologiche. Quindi, promuovere un cambiamento di atteggiamento che incoraggi una maggiore consapevolezza della salute maschile potrebbe aiutare a ridurre queste disparità e migliorare la prevenzione e il trattamento delle malattie, a beneficio di tutte le famiglie e di tutti i cittadini italiani, oltre che del nostro sistema sanitario nazionale.

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