Intercettare i maschi con mutazioni in geni di predisposizione al cancro

Una recente rassegna sottolinea la necessità di migliorare l’individuazione degli uomini con mutazioni BRCA e la loro presa in carico

La presenza di varianti patogenetiche nei geni BRCA nelle donne aumenta in modo considerevole il rischio di sviluppare tumori al seno e alle ovaie. Tuttavia anche gli uomini possono ereditare mutazioni in questi geni e anche nel sesso maschile la loro presenza comporta un aumento del rischio di sviluppare alcuni tumori, in particolare alla mammella e alla prostata. Sia uomini che donne BRCA mutati sono inoltre più a rischio di cancro al pancreas. Se nell’intercettazione delle donne a rischio genetico di tumore al seno e all’ovaio sono stati fatti importanti passi avanti negli ultimi anni, non si può dire altrettanto per gli uomini. Lo sottolinea anche una recente revisione pubblicata sulla rivista JAMA Oncology. Gli autori hanno scoperto che, nonostante le mutazioni BRCA siano alterazioni note su cui si può intervenire, i tassi di test genetici sono significativamente più bassi nei maschi rispetto alle femmine. Gli studiosi hanno inoltre sottolineato che l’identificazione di più portatori maschi con mutazioni BRCA potrebbe aiutare a migliorare la diagnosi precoce, la gestione del rischio e le strategie di trattamento. Ne parliamo con Sergio Bracarda, presidente della Società Italiana di Urologia Oncologica (SIUrO), coordinatore della Rete oncologica umbra e direttore del Dipartimento di Oncologia e della SC di Oncologia Medica e Traslazionale dell’Azienda Ospedaliera Santa Maria di Terni.

Sergio Bracarda

Mutazioni BRCA nel maschio: dalla terapia alla prevenzione

Da alcuni anni l’intercettazione degli uomini con varianti patogenetiche nei geni BRCA sta lentamente migliorando, in particolare da quando sono usciti i primi dati collegati alla terapia. I farmaci della classe dei PARP-inibitori stano infatti offrendo una nuova prospettiva di cura ai pazienti con tumore della prostata portatori di mutazioni dei geni BRCA 1 e 2.

«Al di là del fatto che l’identificazione di mutazioni offre opportunità di trattamento per il 10-12% dei pazienti con cancro della prostata, la cosa più importante da far capire e anche più difficile da trasmettere è la necessità che i clinici che vedono pazienti con questa neoplasia, ma anche con tumore della mammella o del pancreas, abbiano la consapevolezza che non è più soltanto una loro competenza specifica – osserva Bracarda -. Se nel momento in cui lo specialista studia la storia del paziente, non raccoglie informazioni anche sull’eventuale familiarità per patologie che non sono di sua competenza professionale, come tumori a seno, ovaio, pancreas, si rischia di perdere una grande opportunità di prevenzione. Se non scatta questo collegamento trasversale, non si coglie la possibilità che il paziente possa avere una sindrome ereditaria di predisposizione al cancro».

Come migliorare l’identificazione dei maschi mutati

«Lo sforzo importante che abbiamo fatto è quello di entrare in questo ambito con un duplice cerchio di interesse – continua Bracarda -. Da una parte miriamo a “sfondare” l’iperspecializzazione che è il limite della medicina di precisione. Dall’altro vogliamo dare rilevanza al genetista clinico che è all’apice della piramide organizzativa per identificare i portatori di varianti patogenetiche di predisposizione al cancro. Si tratta di un obiettivo cruciale che abbiamo condiviso anche con la Società Italiana di Genetica Umana (SIGU) e l’Associazione Italiana Familiarità Ereditarietà Tumori (AIFET)».

Anche se i diversi clinici possono occasionalmente interessarsi e avere competenze di genetica oncologica, i genetisti hanno un ruolo cruciale. Il problema, come segnala Bracarda, è che sono pochi e quindi si rischia di saturare le loro liste d’attesa per quesiti anche banali o non opportuni e quindi ritardare la presa in carico di pazienti che ne avrebbero bisogno.

Il modello su più livelli

«Per favorire il riconoscimento dei pazienti con sindromi ereditarie di predisposizione al cancro è fondamentale che ci siano dei filtri e che si proceda per gradi. Noi stiamo creando un modello su più livelli» riferisce Bracarda.

In prima battuta bisogna lavorare sulla formazione dello specialista che deve essere in grado di riconoscere il problema della familiarità ed essere consapevole delle scelte terapeutiche che ne derivano. Quando opportuno i pazienti vanno indirizzati al test somatico per la terapia e poi, qualora si sospetti un’ereditarietà, occorre filtrare quelli per i quali potrebbe essere giustìficata una valutazione genetica.

«Il compito del genetista è verificare se ci sono requisiti di tipo genealogico per il test genetico tenendo conto che, se fino qualche anno fa avevamo un albero genealogico che era esclusivamente femminile, oggi abbiamo una trasversalità di genere su prostata, pancreas e su diverse sindromi ereditarie, legate non solo a mutazioni BRCA, ma anche in altri geni, tra cui quelli coinvolti nella sindrome di Lynch – fa notare Bracarda -. Il genetista ha la capacità trasversale di riconoscere non solo quanto scoperto finora, ma anche quello che sta emergendo dalla ricerca altrimenti si rischia di cristallizzarsi in una situazione che è solo un’opportunità terapeutica».

Le prospettive

«Quello che abbiamo di fronte è uno scenario dinamico che va osservato da tanti punti di vista e comunicato anche al decisore, a chi organizza i sistemi sanitari regionali ma anche quello nazionale, in maniera tale che vi sia una consapevolezza della rapida evoluzione delle origini dei tumori eredo-familiari. Finora questi sono stati confinati a quote manimali, ma probabilmente cresceranno man mano che aumentano e arrivano informazioni su nuovi geni di predisposizione, tra cui quelli correlati alla sindrome di Lynch. Bisogna fare in modo che vi sia un’organizzazione sostenibile e quindi promuovere nelle diverse regioni un’omogeneità sui codici di esenzione per i percorsi per tutelare i pazienti a rischio. Va costruito un modello modulare da assemblare parte per parte, stabilendo i criteri di accesso e i percorsi da seguire» conclude Bracarda.

Antonella Sparvoli

© 2022 Fondazione Mutagens ETS. Tutti i diritti riservati.

Leggi altre notizie