Integrazione psicologica per i pazienti oncologici

All’interno del 15° Rapporto FAVO, focus sull’importanza delle terapie psiconcologiche per le persone affette da cancro realizzato da Patrizia Pugliese, psicologa di IFO, e Marco Bellani, presidente della Società italiana di psiconcologia 

Quello della psiconcologia è un settore fondamentale dell’assistenza ai malati di tumore. L’attenzione al paziente dal punto di vista psicologico è aumentata progressivamente negli ultimi vent’anni fino a culminare con lo sviluppo di linee guida condivise in tutto il mondo, di standard di qualità e di integrazione del distress come “6th Vital Sign” da misurare insieme con pressione arteriosa, polso, respiro, temperatura e dolore. Lo ricordano Patrizia Pugliese, responsabile dell’Unità semplice di psicologia presso l’Istituto nazionale tumori Regina IFO-Elena di Roma e collaboratore di ricerca presso il Servizio di oncologia medica complementare dello stesso Istituto, e Marco Bellani, presidente della Società italiana di psiconcologia (SIPO) e professore associato all’Università dell’Insubria, autori di un capitolo dedicato, dal titolo esemplificativo “Come orientare pazienti, familiari (e clinici) nella scelta delle terapie psico-oncologiche”, all’interno del 15° Rapporto FAVO (Federazione italiana delle associazioni di volontariato in oncologia) sulla condizione assistenziale dei malati oncologici. Gli esperti fanno notare come oggi le Linee guida nazionali e internazionali raccomandino uno screening del distress nella pratica clinica di routine per tutti i tipi di tumori e nelle diverse fasi della malattia sin dai primi accertamenti nonché l’impiego di interventi psiconcologici mirati di provata efficacia.

Patrizia Pugliese
Marco Bellani

Integrazione dell’approccio psiconcologico nel percorso di cura

«Per assicurare nei diversi setting clinici l’integrazione della cura psiconcologica è necessaria una stretta relazione tra i servizi oncologici e quelli di assistenza psico-sociale che permette un
processo di presa in carico globale che, in ogni fase della malattia tumorale, assicura il coordinamento delle varie figure coinvolte per garantire una concreta risposta alle necessità dei pazienti» scrivono gli autori del capitolo.

Questo tipo di impostazione richiede una precoce valutazione del distress del paziente all’inizio del suo percorso di cura in modo tale da evidenziare sin da subito i soggetti a rischio a cui proporre interventi psiconcologici mirati. In questo modo lo psiconcologo può farsi portatore dei bisogni psicologici dei pazienti agli altri operatori, evidenziando i bisogni emersi nel contesto di una valutazione multidisciplinare. «Questa modalità d’intervento sensibilizza e forma gli altri operatori a riconoscere tutti i bisogni della persona, favorendo una relazione significativa ed una buona comunicazione e permettendo di modulare la scelta terapeutica sulla base delle necessità emerse – fanno notare Pugliese e Bellani -. Favorisce altresì nei pazienti e nei familiari l’accettazione della cura psico-oncologica, nella consapevolezza che questa offerta assistenziale è parte integrante della cura del cancro».

Strategia di cura psiconcologica personalizzata

I malati oncologici non sono tutti uguali, le difficoltà emotive e comportamentali associate al tumore sono infatti diverse così come può variare il grado di adattamento psicologico alla malattia. Proprio per questo motivo la scelta della terapia psico-oncologica più adatta va personalizzata, tenendo conto di numerosi fattori tra cui l’eventuale presenza di sintomi di ansia, depressione o stress post-traumatico. Una valutazione appropriata richiede quindi competenze specifiche si uno psiconcologo con una formazione mirata.

«Una volta eseguita la valutazione, il paziente dovrebbe essere informato sui vari approcci terapeutici disponibili e sui relativi vantaggi e svantaggi – segnalano Pugliese e Bellani -. Questo dovrebbe includere la descrizione dei diversi approcci utilizzati, come, ad esempio, la terapia cognitivo-comportamentale, la terapia sistemico-relazionale, la terapia psicoanalitica, gli interventi psicocorporei, le terapie supportive-espressive ed esistenzialmente orientate».
Questi approcci possono aiutare i pazienti a trovare un senso di equilibrio e benessere interiore, compatibilmente con lo stato di malattia. «È importante notare che la scelta della terapia dovrebbe essere un processo collaborativo tra il paziente e il suo team di cura» puntualizzano gli autori del capitolo.

Approccio flessibile

La terapia psiconcologica deve essere flessibile e adattabile innanzitutto a seconda della fase della malattia. Per esempio nella fase degli accertamenti diagnostici il paziente può sperimentare ansia, incertezza e paura per l’esito dei controlli. «In questa condizione sentimenti di disperazione, di angoscia e di rifiuto possono alternarsi a momenti di “anestesia emotiva” altrettanto dolorosa. L’intervento psicologico è centrato sull’accoglienza, il contenimento e il supporto emotivo» spiegano gli esperti.

Diversamente nella fase dei trattamenti (chemioterapia, radioterapia o chirurgia, ecc.) il paziente si confronta con gli effetti collaterali. In questi casi l’intervento psico-oncologico dovrebbe mirare a gestire i sintomi fisici e a fornire supporto emotivo, nonché a promuovere strategie di coping efficaci per affrontare la malattia e il trattamento.

«Nella fase terminale il paziente si confronta con una morte annunciata e sperimenta una sofferenza che non è mai solo fisica (dolore, astenia, insonnia, inappetenza, dispnea) ma anche psichica (ansia, depressione, paure) e spirituale (angoscia di morte e distress esistenziale). L’intervento psico-oncologico in questa fase mira a fornire supporto emotivo al paziente e alla sua famiglia, contenendo la loro sofferenza e l’angoscia di separazione e di morte» spiegano Pugliese e Bellani.

Altri aspetti della cura

Accanto alla flessibilità nella strategia di intervento, occorre anche una flessibilità sotto l’aspetto “logistico”. Potrebbe infatti rendersi necessario modificare il setting terapeutico e gli spazi di cura (stanza, day hospital, reparto, casa del paziente, in presenza o a distanza). «Inoltre è altrettanto importante rispettare la riservatezza (in un contesto in cui è opportuno condividere con il resto dell’equipe alcuni elementi di comprensione); rispettare i tempi interni del paziente e sapersi muovere tra livelli più concreti di aiuto (gli unici accessibili in certi casi) ed altri in cui ci sia un maggiore spazio per la mentalizzazione; mantenere la differenziazione dei ruoli» fanno notare i due esperti.

Infine, Pugliese e Bellani ricordano che, sempre nell’ottica di un approccio integrati, si può anche contare, quando opportuno, sul trattamento con farmaci mirati prescritto da psichiatri e medici specificatamente formati nella cura dei pazienti oncologici.

Antonella Sparvoli

© 2022 Fondazione Mutagens ETS. Tutti i diritti riservati.

Leggi altre notizie