All’Istituto dei Tumori di Milano si sta studiando un test mininvasivo sul sangue che sembrerebbe in grado di rilevare lesioni precancerose al colon-retto nei pazienti con sindrome di Lynch e potrebbe aiutare a personalizzare i controlli
Avviato a giugno 2023 all’Istituto Nazionale dei Tumori (INT) di Milano, il progetto BioLynch è ora entrato nel vivo, dopo l’arruolamento di oltre 100 pazienti e le prime valutazioni dell’innovativo esame di biopsia liquida che analizza una caratteristica peculiare dei tumori associati alla sindrome di Lynch, ovvero l’instabiltà dei microsatelliti. Approfondiamo il tema con Marco Vitellaro, responsabile dell’Unità dei tumori ereditari dell’apparato digerente di INT e coordinatore del progetto, e Mattia Boeri, il biologo ricercatore del Dipartimento di oncologia sperimentale che ha messo a punto il test e lo sta perfezionando.

Personalizzazione della sorveglianza dei soggetti a rischio
I soggetti portatori di mutazioni nei geni associati alla sindrome di Lynch (geni del mismatch repair MLH1, MSH2, MSH6, PMS2) vengono coinvolti in programmi di sorveglianza, con controlli che variano in relazione all’organo a rischio di cancro. Per il colon-retto, oggi la sorveglianza si basa essenzialmente sulla colonscopia. «Le linee guida internazionali raccomandano di eseguire una colonscopia ogni 1-3 anni a seconda del gene mutato – premette Vitellaro -. In realtà per una stratificazione migliore del rischio è necessario considerare anche la storia familiare, l’età a cui si è ammalato il parente più giovane e quindi iniziare la sorveglianza endoscopia cinque anni prima rispetto all’età di insorgenza del cancro nella famiglia. Allo stesso tempo, in famiglie in cui si registra l’insorgenza in età giovanile, si raccomanda di fare coloscopie un po’ più ravvicinate. Questo approccio introduce una certa incertezza perché le variabili da prendere in considerazioni sono diverse. Non solo, a ciò si associa il fatto che la colonscopia è un esame fastidioso, che richede una preparazione specifica, con il rischio che alcuni soggetti dopo diversi anni abbandonino i continui controlli. Su rischiesta dei pazienti stessi, abbiamo allora pensato a una strategia non invasiva che permttesse di stratificare meglio la necessità di eseguire le colonscopie».

Il test per l’instabilità dei microsatelliti
L’instabilità dei microsatelliti è un evento estremamente precoce nel meccanismo di cancerogenesi, motivo per cui i ricercatori dell’INT hanno pensato che potesse rappresentare un valido marcatore predittivo, capace di individuare eventuali lesioni pretumorali.
«Il test che abbiamo messo a punto, permette, attraverso un semplice esame del sangue, di valutare l’instabilità dei microsatelliti in campioni con bassissime quantità di materiale biologico (DNA tumorale circolate) – spiega Boeri -. Inizialmente abbiamo condotto uno studio retrospettivo, che ha evidenziato che nei soggetti nei quali alla colonscopia era stata identificata una lesione del colon, poi risultava esserci una modifica di questo marcatore. Nel progetto BioLynch stiamo validando questi risultati in modo prospettico. I 109 pazienti che abbiamo arruolato hanno già fatto questo esame di biopsia liquida al basale e ne abbiamo analizzato gli esiti che confermano quando già osservato nel precedente studio retrospettivo, ovvero che i pazienti che presentavano una lesione al momento della colonscopia, avevano in media livelli più alti dei marcatori di instabilità microsatellitare. Il test sembrerebbe in effetti in grado di discriminare tra soggetti con e senza lesioni colorettali precancerose o cancerose».
L’analisi dei dati
Ora i ricercatori dell’INT stanno analizzando meglio i dati e cercando di individuare l’algoritmo migliore per valutare gli esiti della biopsia liquida. «Inoltre – aggiunge Boeri – stiamo cercando di passare il test su una piattaforma più performante adatta ad alti numeri di campioni da analizzare contemporaneamente, per ridurre costi e tempi di esecuzione, e continuando il follow up dei pazienti attraverso un prelievo ogni tre mesi. Sta per anche finire il secondo round di colonscopie e presto potremo capire come il marcatore si modula nel tempo e quindi chiarire l’intervallo tra il segnale del marcatore e l’insorgenza di adenoma o cancro del colon-retto».
Anche se per ora si sta studiando l’applicazione della biopsia liquida nella sorveglianza del colon-retto, potrebbero emergere dati anche in relazione ad altri tumori associati alla sindrome di Lynch, come quelli dell’endometrio e delle vie urinarie.
Le prospettive
«Quello che ci auguriamo è di poter disporre di un test semplice da poter proporre a tutti i portatori della sindrome di Lynch, a prescindere l’età e dalla variante patogenetica implicata, per poter poi decidere quali individui indirizzare alla colonscopia e quali tenere in sorveglianza, in modo tale da ridurre quell’incertezza di informazione che doveva essere costruita attraverso la storia familiare di tumori, l’età di insorgenza e il gene mutato. Nella vita reale questa stratificazione risulta spesso anche più complessa per una serie di variabili che possono intervenire, per questo motivo i ricercatori dell’INT stanno cercando, con un marcatore e un esame del sangue, di semplificare il percorso, rendendo meno necessaria e più appropriata la colonscopia» conclude Vitellaro.
Lo studio terminerà nell’estate del 2026, mentre a breve partirà un progetto di un consorzio europeo su individui con sindrome di Lynch, nel quale si studieranno anche altri test con marcatori differenti, sempre con l’obiettivo di personalizzare la sorveglianza dei soggetti a rischio ereditario.
Antonella Sparvoli