Che cosa sono e come possono essere studiate le VUS

L’identificazione di varianti di significato incerto (VUS) è un fenomeno abbastanza comune in chi si sottopone a test genetici eseguiti per verificare la predisposizione ereditaria al cancro. Sono però in corso ricerche per capirne meglio il significato. Ne parliamo con Paolo Radice, direttore dell’Unità di “Medicina predittiva: basi molecolari del rischio genetico e test genetici” dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano

Delle grandi quantità di varianti genetiche identificate in geni noti per predisporre allo sviluppo di tumori, una parte sostanziale viene definita come variante di significato incerto (VUS ovvero variant of uncertain significance). Ognuno di noi presenta nel proprio patrimonio genetico migliaia di varianti geniche, senza esserne a conoscenza. Ma quando una di queste varianti viene rinvenuta dopo un test genetico eseguito per capire se il tumore che ci ha colpito è legato a una mutazione in un gene noto per essere associato al rischio di cancro, le cose si complicano. Il rilevamento di tali varianti introduce infatti ulteriore incertezza per il paziente e potenzialmente per il medico perché una VUS non  può (e non deve) essere usata nel processo decisionale clinico. Molti gruppi di ricerca sono però all’opera per capire meglio il significato di queste varianti e classificarle in modo chiaro. Ne parliamo con Paolo Radice, direttore dell’Unità di “Medicina predittiva: basi molecolari del rischio genetico e test genetici” dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano e membro dello Steering committe del Consorzio internazionale ENIGMA (Evidence-based Network for the Interpretation of Germline Mutant Alleles).

I test genetici possono chiarire se una familiarità per tumori può essere causata da una mutazione in geni che predispongono al cancro. Ma cosa succede se il test evidenzia la presenza di una variante di significato incerto?

Da diversi anni sono entrati nella pratica clinica test genetici in grado di identificare mutazioni in una serie di geni che sappiamo essere associati a un aumento del rischio di cancro. Quando per la prima volta si riscontra una mutazione germinale patogenetica in un individuo (probando) di una famiglia in cui si sospetta un rischio genetico, poi è possibile andare a testare la presenza di questa stessa mutazione nel suoi familiari. Queste analisi a cascata offrono una serie di vantaggi per la valutazione del rischio del singolo individuo e la possibilità poi di adottare delle misure per ridurre le possibilità di ammalarsi. Il problema è che non necessariamente tutte le varianti genetiche che troviamo sono associate a un rischio aumentato di tumore. Se la mutazione causa la mancata produzione della proteina o ne altera la funzione può evidentemente essere la causa, o una delle concause, della patologia che può essere ereditata. Tuttavia la stragrande maggioranza delle variabili che si trovano nel DNA umano non ha una rilevanza dal punto di vista clinico (varianti benigne). C’è però anche una terza categoria di varianti che noi studiamo: le varianti di significato incerto o VUS.

E’ molto importante poter avere informazioni sul significato della singola variante perché se si sbaglia a interpretarne il ruolo rispetto alla malattia, si finisce per intervenire in modo errato, per esempio indicando interventi di prevenzione (che possono essere anche aggressivi come la mastectomia profilattica o l’annessiectomia profilattica nel caso di mutazioni nei geni BRCA1 o BRCA2) laddove non sono necessari e magari escludendoli dove sarebbe corretto eseguirli.

Alcune varianti sulla base della loro natura possono essere immediatamente definibili come varianti patogenetiche o benigne. Per esempio noi siamo in grado di leggere il DNA in modo tale da riuscire a stabilire sin da subito se una variante di un certo tipo è in grado di abolire la produzione della proteina associata a quel gene ed è quindi da considerare patogenetica.

Il test genetico che viene effettuato per trovare una mutazione in geni associati a un rischio aumentato di cancro, come possono esserlo BRCA 1-2 o altri geni collegati a un maggior rischio di cancro del colon, talvolta può però non essere informativo perché non sappiamo se il risultato indichi la presenza di un rischio o meno. Quindi occorre passare a indagini di secondo livello, come analisi bioinformatiche, test di laboratorio, analisi genetico-epidemiologiche. Si tratta di approcci che un normale laboratorio diagnostico non è in grado di effettuare. Esistono però dei laboratori di ricerca, tra cui il nostro, che si occupano di classificare le varianti di significato incerto.

Come è possibile analizzare in modo più approfondito le VUS?

Questo lavoro viene fatto per la maggior parte a livello di consorzi internazionali. Per quanto riguarda i geni BRCA1 e BRCA2 e altri geni associati a un aumento del rischio di cancro della mammella e qualche volta anche dell’ovaio, esiste un consorzio che si chiama ENIGMA (Evidence-based Network for the Interpretation of Germline Mutant Alleles). Questo consorzio riunisce laboratori e ricercatori, ciascuno esperto in un determinato settore di ricerca che può essere utilizzato per studiare queste varianti. Come accennato, si va da laboratori con competenze soprattutto di tipo bioinformatico a centri con esperienza in ambito funzionale, patologico, genetico-epidemiologico. Il passo successivo è integrare le informazioni raccolte sulla singola variante con i diversi approcci, per ottenere una classificazione finale in relazione alla patogenicità o meno della variante. Io stesso, con il mio gruppo di ricerca, partecipo al tale consorzio in qualità di rappresentante nazionale per l’Italia. Da qualche anno ho lanciato un’iniziativa per organizzare la collaborazione dei laboratori e dei centri di genetica medica che in Italia si occupano dei soggetti con predisposizione ereditaria al cancro della mammella e dell’ovaio. Ho organizzato questa rete per far confluire tutta la massa di dati che questi centri e laboratori sono in grado di raccogliere sui pazienti nei quali vengono identificate VUS. Tutti questi dati vengono raccolti e utilizzati per gli studi eseguiti all’interno del consorzio ENIGMA.

Per capire su quali VUS, che sono un numero enorme (diverse migliaia per ogni gene associato al cancro), focalizzare gli sforzi si usano analisi bioinformatiche, dette in silico. Queste analisi ci aiutano a capire a priori la probabilità che una variante sia o meno patogenetica e quindi a stabilire qual è la variante il cui studio ha maggiori probabilità di portare a un risultato informativo.

Scoprire se una variante è patogenetica, a parte l’impatto psicologico, ci permette di mettere in atto tutta una serie di misure preventive e di diagnosi precoce. Laddove l’informazione non c’è, non c’è nemmeno il razionale per poter procedere tranquillamente anche facendo interventi particolarmente aggressivi (chirurgia profilattica). Se viene individuata una VUS, il test genetico non risulta diagnostico e non si ha la possibilità di studiare questa variante nei test a cascata nei parenti o lo si può fare solo a scopo di ricerca.

Sapere che variante è patogenetica permette anche di usufruire di quei farmaci a target genetico, come i Parp inibitori nel caso di BRCA. Se, al contrario, la mutazione non è patogenetica il paziente non è immediatamente eleggibile a questo tipo di approccio.

Come è nata la collaborazione con Mutagens?

Forti dell’esperienza che abbiamo acquisito in anni di lavoro sulle VUS, ha preso vita una collaborazione con Mutagens, basata sulla rivalutazione degli esiti dei test diagnostici nelle persone BRCA mutate, con le quali possiamo entrare in contatto attraverso l’associazione, in cui sono state rilevate VUS. L’obiettivo è rianalizzare queste varianti alla luce dei progressi fatti nel loro studio. Una variante che oggi è classificata come VUS, domani potrebbe, alla luce di tali ricerche, trovare una sua collocazione più precisa. E’ importante nel tempo rivalutare queste classificazioni delle VUS per verificare se ci siano delle novità e vedere se alcune mutazioni siano eleggibili per ulteriori analisi. A questo riguardo va osservato che, laddove è stato possibile giungere ad una classificazione di una VUS, nella maggior parte dei casi quest’ultima è risultata non essere correlata con un rischio di cancro. Ad esempio, un recente studio del consorzio ENIGMA ha osservato che, su 1.395 VUS identificate nei geni BRCA1-2, solo 94 (6,7%) sono risultate patogeniche contro 447 (32%) classificate come benigne. Sulla scorta di questi dati, anche in presenza di una VUS, la scelta di proseguire le indagini diagnostiche, esaminando ulteriori fattori genetici, potrebbe risultare giustificata.

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