Armonizzazione nazionale delle politiche sanitarie e attuazione a livello regionale: un’integrazione necessaria nelle sindromi ereditarie

Nei giorni scorsi, a conclusione di un iter lavorativo durato oltre un anno, AGENAS (Agenzia Nazionale per i servizi sanitari) – per conto dell’Osservatorio per il Monitoraggio e la valutazione delle Reti Oncologiche -, ha inviato alle Direzioni Salute e alle Reti Oncologiche Regionali le prime “Linee di indirizzo per la definizione del Percorso Diagnostico Terapeutico Assistenziale (PDTA) per i Tumori su base ereditaria: colon, endometrio, mammella, ovaio, pancreas, prostata”. Tale iniziativa è stata promossa dalla Fondazione Mutagens e dal Gruppo di Lavoro Tumori Ereditari di FAVO (Federazione Italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia), composto da undici organizzazioni di pazienti, in rappresentanza dei portatori di sindromi ereditarie di predisposizione ai tumori (HBOC-BRCA, LYNCH, altre Sindromi Rare). Alla base di tale richiesta vi era una tuttora evidente disomogeneità nella presa in carico dei soggetti ad alto rischio genetico nelle varie Regioni/PA italiane, causata dalla limitata e differenziata approvazione dei PDTA Eredo-Familiari (specie per la Sindrome di Lynch e le altre Sindromi Rare) e dall’assenza di linee di indirizzo e linee guida nazionali. In generale, la mancanza e/o le carenze dei PDTA Regionali non consentono alle Reti Oncologiche di coordinare in modo efficace ed efficiente i percorsi di cura sul proprio territorio: PDTA Regionali validi e aggiornati fungono da cornice e catalizzatore per quelli aziendali e interaziendali (Ospedali Hub & Spoke), offrono maggiori certezze ai pazienti e riducono la mobilità intra-regionale, interregionale e nazionale. 

Con l’approvazione delle “Linee di Indirizzo Eredo-Familiari” – elaborate da un Gruppo di Lavoro AGENAS composto da rappresentanti di Società Scientifiche, Istituzioni Sanitarie Nazionali, Reti Oncologiche Regionali, Organizzazioni di Pazienti – è stato compiuto un primo passo importante a favore della popolazione ad alto rischio genetico, stimata nel nostro Paese in oltre 1.250.000 soggetti, in prevalenza ancora sani e non ancora identificati, a causa delle forti carenze nello screening a cascata dei familiari dei pazienti affetti. Ora spetterà alle Regioni, attraverso le Reti Oncologiche, attuarle diligentemente e tempestivamente, adattandole alle proprie specificità territoriali: popolazione ed epidemiologia, organizzazione dei servizi sanitari, caratteristiche delle strutture ospedaliere e sanitarie. Una delle maggiori sfide per le Regioni e le Reti Oncologiche sarà il coinvolgimento nei PDTA Eredo-Familiari della Medicina Territoriale, che potrebbe svolgere un ruolo fondamentale sia nella identificazione dei portatori – grazie alla conoscenza delle famiglie con casistiche suggestive per la presenza di tumori ereditari -, sia nell’attuazione più sistematica e capillare dei percorsi di follow-up e di sorveglianza finalizzati alla diagnosi precoce. Infatti, specie per tale popolazione – in massima parte composta da soggetti sani, pur se ad alto rischio –  non è possibile scaricare la presa in carico totalmente sulle strutture ospedaliere: a maggior ragione perché sono relativamente poche e non omogeneamente diffuse sul territorio nazionale quelle dotate delle competenze specialistiche (genetica medica, biologia molecolare, chirurgia oncologica e profilattica avanzata, oncologia di precisione, consulenza psicologica, nutrizionale, su infertilità e pianificazione familiare), necessarie a garantire le migliori opportunità di cura alle persone affette da un tumore ereditario. Contemporaneamente, sia per i pazienti già affetti sia e soprattutto per i familiari sani a rischio, è necessario creare in parallelo rispetto ai PDTA aziendali e interaziendali dei “percorsi di sorveglianza territoriali”, che offrano al maggior numero di persone a rischio gli esami diagnostici e le visite specialistiche previsti dai protocolli. Infatti, per tali prestazioni, gli ospedali, specie quelli di riferimento nazionale e regionale, saranno sempre più in difficoltà a fronteggiare le crescenti richieste, a maggior ragione per le loro tempistiche precise e ravvicinate (minimo ogni anno, talvolta ogni sei/tre mesi, per alcuni soggetti a partire dai 25 anni). 

Per tale motivo nelle scorse settimane la Fondazione Mutagens e FAVO hanno proposto al Ministero Salute e ad alcune Regioni un’altra iniziativa, denominata PREVEN-ERE (Prevenzione e Sorveglianza di Precisione nei soggetti sani portatori di Sindromi Ereditarie) per l’attuazione di un intervento di Sanità Pubblica di Prevenzione con un respiro nazionale e regionale. PREVEN-ERE, grazie al coinvolgimento dei Dipartimenti di Prevenzione e Screening Regionali – quelli che si occupano di vaccinazioni e di screening oncologici di popolazione generale -, dovrebbe a sua volta coordinarsi con i PDTA Eredo-Familiari (focalizzati maggiormente sulle strutture ospedaliere e sui pazienti affetti), in modo da configurare a livello regionale una complessiva presa in carico di tutti i soggetti portatori, affetti e sani a rischio. Anche per tale iniziativa abbiamo richiesto al Ministero Salute di svolgere nei confronti delle Regioni/PA un ruolo di indirizzo, pianificazione e controllo, per facilitarne l’attuazione omogenea in tutto il Paese e per creare le opportune sinergie tra le diverse istituzioni sanitarie nazionali e regionali e i diversi soggetti coinvolti, pubblici e privati convenzionati.

In entrambe le iniziative descritte – PDTA Regionali Eredo-Familiari e Prevenzione e Sorveglianza di Precisione per soggetti sani ad alto rischio genetico – il modello proposto risiede nell’attuazione di ampie e diffuse “reti collaborative” tra Istituzioni Sanitarie Nazionali e Regionali, Strutture Ospedaliere Primarie (Centri Riconosciuti con PDTA e GOM Eredo-Familiari in fase di progressivo inserimento sul sito della Fondazione Mutagens) e Medicina Territoriale (ASL/ATS, Ospedali e Case di Comunità, Medici di Medicina Generale). Siamo consapevoli che si tratta di una sfida complessa ma la riteniamo necessaria per garantire la sostenibilità del nostro Sistema Sanitario Nazionale e fornire prestazioni di qualità ai cittadini, il più possibile vicino al loro domicilio e con il miglior rapporto costi/benefici. Solo a titolo di esempio, per alcune prestazioni diagnostiche ordinarie (esami di laboratorio e visite specialistiche) si possono coinvolgere Ambulatori Pubblici e Privati convenzionati, Laboratori di Analisi e le stesse Farmacie, ampiamente disponibili sul territorio, anche nel Centro-Sud. Un modello collaborativo sul territorio è quindi possibile ed è anche previsto dalle recenti normative approvate a seguito dell’esperienza del COVID, che ha dimostrato l’insufficienza e inadeguatezza di un “modello ospedale-centrico”, specie nei percorsi di prevenzione. È però necessario che si creino, a livello regionale, dei “tavoli di coordinamento” per pianificare e controllare tali processi, istituendo anche dei meccanismi premiali a favore delle strutture che ottengono i migliori risultati, nell’accessibilità e nella qualità delle prestazioni offerte. 

Ma non basta: anche a livello nazionale occorre creare degli “organi di indirizzo, pianificazione e monitoraggio” delle politiche di sanità pubblica, specie per le patologie più severe e costose (malattie croniche, tumori, malattie rare) e per tutte le prestazioni previste dai LEA (Livelli Essenziali di Assistenza, obbligatori per tutte le Regioni/PA), nelle quali le Istituzioni Sanitarie Nazionali conservano una responsabilità sui Diritti di Salute di tutti i cittadini, garantiti dall’art. 32 della Costituzione. Per tale motivo la Fondazione Mutagens auspica che sia per i PDTA Regionali Eredo-Familiari sia per PREVEN-ERE si possano realizzare compiutamente le funzioni del CRO (Coordinamento Nazionale Reti Oncologiche, in seno al Ministero della Salute), non solo per monitorare l’attuazione delle normative esistenti (Piano Oncologico Nazionale, Piano Nazionale Prevenzione, Piano Nazionale Genomica, Molecular Tumor Board Regionali, ecc.) e l’utilizzo delle risorse sanitarie prelevate dalla fiscalità generale, ma anche per favorire una maggiore collaborazione tra le regioni e le strutture sanitarie/ospedaliere, diffondere le migliori pratiche, creare sinergie a vari livelli, ridurre gli sprechi e le prestazioni non appropriate.

In un precedente editoriale (maggio 2024) avevamo sostenuto la necessità di un maggiore coordinamento nazionale delle politiche sanitarie, in presenza di un sistema sanitario regionalizzato non certamente in discussione. In particolare, ci eravamo soffermati sul nodo della “governance sanitaria”, offrendo un contributo al dibattito tuttora aperto sulla legge dell’Autonomia Regionale, che coinvolge in modo rilevante proprio il sistema sanitario. Avevamo evidenziato come i PDTA regionali – e a cascata quelli aziendali, interaziendali e territoriali – e i Percorsi di Sorveglianza possano diventare lo strumento fondamentale per la presa in carico dei pazienti e per la prevenzione nei soggetti sani. Nell’ambito delle Sindromi Eredo-Familiari, le Linee di Indirizzo AGENAS e l’iniziativa PREVEN-ERE, con la collaborazione delle Istituzioni Sanitarie Nazionali e Regionali, possono diventare una grande opportunità per la sperimentazione di un nuovo modello virtuoso, che preveda la collaborazione di tutti gli stakeholder, per la finalità comune del miglioramento della Salute dei pazienti e dei cittadini.  

La Fondazione Mutagens e FAVO ovviamente vigileranno sulla loro attuazione completa ed omogenea, in tutte le Regioni/PA, incalzando le istituzioni sanitarie e coinvolgendo i diversi stakeholder: società scientifiche, strutture ospedaliere primarie, reti cliniche e di ricerca, aziende farmaceutiche e delle scienze della vita, strutture di ricerca in ambito sanitario. Riteniamo che alle Organizzazioni di Pazienti debba essere finalmente riconosciuta la partecipazione formale e organica alla “governance sanitaria”, a maggior ragione negli ambiti in cui sono esse stesse “agenti di cambiamento” per rafforzare il sistema sanitario. L’auspicio è che le nostre iniziative nell’ambito Eredo-Familiare possano diventare una sorta di “modello pilota” su cui andare a sperimentare soluzioni innovative che nel tempo potranno essere estese anche ad altri pazienti, altre patologie e agli stessi cittadini sani, per l’attuazione di percorsi di cura e prevenzione sempre più personalizzati e sostenibili.

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