Al via in Lombardia screening per il tumore alla prostata

Da novembre solo in questa Regione partirà un programma basato sull’esame del PSA, un test la cui efficacia è considerata dubbia dagli esperti, ma che può comunque essere utile

A partire da novembre prenderà il via in Lombardia un programma di screening gratuito per la diagnosi precoce del tumore della prostata. Tutti i cinquantenni lombardi saranno invitati ad accedere al Fascicolo sanitario elettronico per aderire allo screening attraverso l’esame del PSA. Nel tempo verranno poi coinvolti i soggetti delle altre fasce di età fino ai 69 anni.

Si tratta del primo progetto in Italia che segue le raccomandazioni della Commissione Europea e dei documenti nazionali di indirizzo in tema di screening oncologici. Il protocollo approvato da Regione Lombardia delinea gli indirizzi tecnico organizzativi da seguire.

Pro e contro del test del PSA

L’esame per lo screening prevede la misurazione nel sangue dei livelli di PSA (Antigene prostatico specifico). Un valore elevato di PSA può indicare la presenza di un tumore alla prostata, ma anche condizioni non cancerose come l’ipertrofia prostatica benigna o infezioni prostatiche. Si tratta quindi di un test che non è diagnostico di per sé, ma può comunque risultare utile per individuare i soggetti che meritano di essere sottoposti a ulteriori indagini prima di decidere se e come intervenire.

A fronte di un PSA elevato, è fondamentale associare l’esame ad una visita urologica e, in caso di dubbi, effettuare ulteriori accertamenti come la risonanza multiparametrica della prostata e la biopsia prostatica.

Le indicazioni

In generale il test del PSA è consigliato agli uomini dai 50 anni in su, ma in alcune circorstanze andrebbe anticipata la sua esecuzione. Per esempio è utile eseguire il test negli uomini di età superiore ai 40 anni con una storia familiare di tumore alla prostata; nei soggetti di origine africana dai 45 anni di età nonché negli uomini portatori di mutazioni genetiche BRCA2 a partire dai 40 anni di età. In base ai risultati e alla storia personale e medica del soggetto, sarà poi lo specialista a stabilire quanto spesso dovrà essere ripetuto nel tempo e l’indicazione ad eseguire altre indagini.

Il test del PSA permette dunque di intercettare un tumore alla prostata in una fase precoce che può essere trattato più efficacemente, bisogna però fare attenzione al rischio di sovradiagnosi e di sovratrattamento, cioè di considerare il test sufficiente a stabilire se è presente un tumore e se sia opportuno un eventuale intervento.

Tumore della prostata e rischio genetico

Negli uomini con mutazioni nei geni BRCA, in particolare nel gene BRCA2, la possibilità nel corso della vita di sviluppare il tumore della prostata può raggiungere il 27%. In questi casi occorre dunque particolare attenzione e attualmente sono in corso studi per la sorveglianza dei pazienti a rischio genetico. In particolare all’Istituto Humanitas è in corso uno studio, finanziato da AIRC, su pazienti di età compresa tra i 35 e i 69 anni, portatori di mutazioni genetiche sia dei geni BRCA (in particolare BRCA2), sia di altri geni di riparo del DNA, che predispongono allo sviluppo del tumore alla prostata. Questi pazienti vengono sorvegliati con una visita urologica annuale, durante la quale viene dosato il PSA ed il PHI (Prostate Health Index), un esame nuovo che sembra più attendibile rispetto al PSA nell’identificazione di una malattia prostatica in stadio precoce. Se questi esami risultano alterati il paziente viene sottoposto a indagini di secondo livello, tra cui la risonanza magnetica multiparametrica della prostata e, in caso di lesioni, una biopsia.

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