Mastectomia preventiva e rischio genetico

Riprendiamo la testimonianza al Ministero della salute di Silvia Mari De Santis, portatrice di una mutazione germinale del gene BRCA2, una delle prime donne in Italia a sottoporsi alla chirurgia profilattica sul seno

Nei giorni scorsi, al Ministero della Salute si è tenuto un evento in cui si è parlato del Registro nazionale degli impianti protesici mammari con l’obiettivo di diffondere il valore di tale registro nell’ambito di una nuova governance sanitaria. L’iniziativa internazionale ha visto il coinvolgimento di molti stakeholders, tra cui le istituzioni governative regionali, gli ordini e le società scientifiche, gli operatori economici coinvolti nel settore delle protesi mammarie e le associazioni di pazienti. In occasione della manifestazione, Silvia Mari De Santis, giornalista dell’agenzia Dire, ha lasciato una preziosa testimonianza della sua esperienza familiare con il tumore al seno e della scelta di sottoporsi alla mastectomia preventiva, quando ancora in l’argomento era sconosciuto e tabù.

Silvia Mari De Santis

La scelta della mastectomia preventiva

La vita di Silvia è cambiata quando il test genetico conferma quello che aveva a lungo sospettato per i diversi casi di tumore nella famiglia materna, ovvero di avere una mutazione germinale del gene BRCA2, mutazione diventata poi nota anche al pubblico italiano, nella variante BRCA1, dopo la testimonianza di Angelina Jolie. Nel maggiore del 2013, l’attrice e regista americana, all’età di 37 anni aveva scelto di sottoporsi alla mastectomia profilattica. Ma la scelta di Silvia è avvenuta prima: era infatti il 2008, a soli 28 anni, decide di sottoporsi alla mastectomia preventiva bilaterale, con una ricostruzione mammaria contestuale.

«È stata una scelta, nonostante la mia giovane età, affrontata in solitudine – racconta Silvia -. Mi ero documentata molto, avevo fatto molte ricerche e avevo, direi disperatamente, cercato una strada perché ero molto spaventata non tanto e non solo dalla malattia, che mi aveva comuneque strappato via gli affetti più cari, a partire da mia mamma, morta giovanissima a 36 anni. Ero spaventata dall’idea di rimanere inerte, di non fare tutto ciò che fosse nelle mie possibilità per mettermi in sicurezza».

La scarsa conoscenza

Quando Silvia si è sottoposta al test genetico e poi alla chirurgia profilattica mammaria, in Italia era ancora piuttosto insolito. La sua fortuna è stata quella di trovare dei medici capaci di accogliere la sua domanda di salute. «Quella scelta era la mia, la più giusta per me. Ho dovuto sfidare qualche perplessità, forse anche qualche pregiudizio culturale, era un po’ un tabù, ma ho potuto esprimere quella scelta di libertà, la scelta migliore per la mia salute, per il mio benessere, per il proseguo della mia vita perché la prevenzione secondaria (screening mammario) a cui mi sottoponevo era psicologicamente ed emotivamente molto difficile da sopportare».

La ricostruzione mammaria

Dopo l’intervento, la vita di Silvia è radicalmente cambiata, si è sentita sganciata da un macigno che la portava a fondo. «Senza la ricostruzione mammaria non avrei mai affrontato questa scelta –puntualizza Silvia -. La ricostruzione mi ha permesso di rimanere integra, di riconoscermi, di avere un corpo intero, completo, salvaguardato nella sua femminilità. Nel corso degli anni non sono mai stata abbandonata, attraverso il Sistema sanitario nazionale ho potuto sostituire le mie protesi quando hanno avuto bisogno di essere sostituite e affrontare ogni criticità. Questo l’ho potuto fare perché nel nostro Paese è garantito il diritto alla salute fino a questa profondità. Ci tengo a sottolinearlo perché è un tesoro che dobbiamo proteggere, di cui dobbiamo essere profondamente consapevoli»

La situazione attuale

Oggi le cose sono profondamente cambiate rispetto a più di 15 anni fa. La chirurgia profilattica è diventata un’opzione da dare alle persone e la ricostruzione mammaria è sentita come parte della cura. «Sicuramente c’è stato, anche grazie a delle testimonianze importanti di persone famose, uno sdoganamento culturale di questo tema. Ci sono ancora donne che non si fanno ricostruire, c’è ancora una percentuale da considerare e da approfondire, ma certamente è parte delle possibilità che una donna ha e questo mi rende felice. Se penso al mio passato, alle donne della mia famiglia che hanno vissuto un altro tempo della medicina, credo che questa sia un po’ una vittoria per tutte» conclude Silvia.

La scelta di uscire allo scoperto

Silvia non ha mai fatto mistero della sua storia e del percorso che ha scelto di seguire. La testimonianza, data nei giorni scorsi al Ministero della Salute, l’“averci messo ancora di più la faccia” vuole essere innanzitutto un contributo all’informazione e alla consapevolezza per le persone che si trovano in situazioni simili, ma anche un riconoscimento del valore del nostro Sistema sanitario nazionale universalistico, nonostante i suoi limiti e la profonda crisi che lo sta colpendo

«Sono fiera di vivere in un Paese in cui non ho dovuto pagare nulla per l’intervento di mastectomia e ricostruzione del seno, grazie al nostro sistema sanitario pubblico. Penso che sia necessario difendere in tutti i modi questo sistema e il nostro diritto alla salute» conclude Silvia.

Antonella Sparvoli

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