Test genomici e genetici nella medicina di precisione per il seno

Grazie allo studio del patrimonio genetico del paziente e delle caratteristiche molecolari delle cellule tumorali oggi è possibile caratterizzare molto meglio i tumori, con importanti implicazioni. Facciamo il punto sull’uso e le potenzialità di queste analisi nel carcinoma della mammella insieme a Giampaolo Bianchini, responsabile della Patologia oncologica mammaria al San Raffaele di Milano e membro del Comitato Scientifico di Mutagens

Le recenti scoperte sulle caratteristiche molecolari dei tumori hanno dato grande impulso alla medicina personalizzata in oncologia. L’uso di vari tipi di profilazione genomica del tumore, insieme ai test genetici per verificare la presenza di una predisposizione ereditaria, stanno aprendo enormi prospettive nello studio e nella gestione clinico-terapeutica del tumore al seno. Ne parliamo in questa intervista con Giampaolo Bianchini, responsabile della Patologia oncologica della mammella presso il Dipartimento di Oncologia medica dell’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano e membro del Comitato Scientifico di Mutagens.

Come si applica il concetto di medicina di precisione nel tumore al seno?

Nel tumore della mammella ci sono diversi modi per cercare di applicare il concetto di medicina di precisione. Quest’ultima presuppone un’identificazione più precisa del paziente che ha bisogno di un particolare tipo di proposta, non solo terapeutica, ma anche diagnostica, di screening o di follow-up. Molti confondono infatti la medicina di precisione con un approccio mirato alla terapia, ma in realtà le implicazioni vanno ben oltre, come dimostra il caso della sindrome ereditaria del tumore al seno e all’ovaio (HBOC) legata alla presenza di mutazioni patogenetiche nei geni BRCA1 e BRCA2.

All’interno di questa modalità di applicazione del concetto di medicina di precisione emerge la nostra capacità di caratterizzare dal punto di vista molecolare il tumore su diversi piani: studiando il DNA della cellula tumorale oppure analizzando il patrimonio genetico dell’individuo affetto dal tumore, alla ricerca di mutazioni germinali che possono averlo favorito e potrebbero predisporre anche ad altre neoplasie.

C’è inoltre anche la possibilità di studiare le caratteristiche molecolari del tumore guardando all’mRNA delle cellule tumorali. Questi test, che nell’ambito del tumore al seno possono aiutare a definire strategie terapeutiche più precise, vengono chiamati per convenzione test genomici, ma il termine corretto sarebbe test di espressione genica.

Ancora, nella pratica clinica del tumore della mammella oggi è possibile analizzare anche le proteine prodotte dal tumore attraverso esami di immunoistochimica. E’ il caso per esempio del tumore triplo negativo, il cui nome deriva dal fatto che in questo specifico tipo di tumore al seno, a differenza di altri tumori mammari, le cellule non possiedono sulla loro superficie la proteina HER2, né i recettori per gli estrogeni e per il progesterone.

Quali implicazioni derivano dall’uso dei test di espressione genica?

Una delle esigenze più importanti che abbiamo nel tumore della mammella è quella di identificare, all’interno della popolazione di donne operate, quindi guaribili, quali sono quelle che possono avere bisogno o meno di una chemioterapia per ridurre il rischio di recidiva. La chemioterapia, pur essendo generalmente tollerata, è pur sempre gravata da effetti collaterali, ma soprattutto ha un impatto importante sulla qualità di vita della donna, sull’impegno, sulla gestione del lavoro e della famiglia. I test di espressione genica, che vengono eseguiti su un campione di tessuto tumorale, possono aiutarci a distinguere le donne che possono davvero trarre beneficio dalla chemioterapia da quelle in cui non apporta vantaggi, evitando loro un trattamento inutile e gravoso. Questi test trovano applicazione in particolare nei tumori con recettori positivi per l’estrogeno (ER+) e negatività per il recettore HER2, che rappresentano circa il 70 per cento dei tumori complessivamente diagnosticati e operati (dei circa 52 mila nuovi casi di tumore al seno in Italia, circa 34 mila appartengono a questo tipo). Una parte di questi tumori, con caratteristiche tranquillizzanti, può essere curata solo con la terapia endocrina, un’altra parte ha caratteristiche tali che rendono la chemioterapia sicuramente necessaria. Ma c’è anche una zona grigia in cui sussiste un’incertezza sulle indicazioni terapeutiche. In questi casi i test di espressione genica ci consentono di identificare con più precisione le donne che davvero possono beneficiare della chemioterapia da quelle nelle quali i benefici sono assenti o marginali secondo quando emerso dagli studi disponibili. L’assenza di efficacia non è necessariamente legata alla presenza di un tumore a basso rischio di recidiva, può infatti anche essere dovuta ad una scarsa responsività del tumore al trattamento chemioterapico.

Attualmente sono in commercio diversi tipi di test di espressione genica, ognuno dei quali va ad analizzare molecole di mRNA diverse. Il più noto è Oncotype DX, che ha dimostrato di essere non solo prognostico (identifica le donne che non traggano beneficio dalla chemioterapia perché a basso rischio), ma anche predittivo (identifica le donne che non traggono beneficio dalla chemioterapia perché il tumore non risponde al trattamento). Tra gli altri test di espressione genica rientrano MammaPrint, Prosigna, EndoPredict e Prosigna.

In Italia al momento attuale questi test sono rimborsati dal Sistema sanitario solo in alcune regioni (Lombardia, Toscana e Provincia Autonoma di Bolzano, dove i test sono finanziati da fondi regionali). Tuttavia, il Governo – con la Legge di Bilancio 2021 – ha istituito un Fondo di 20 milioni di euro e ne sta valutando la rimborsabilità a livello nazionale con l’inserimento nei LEA (Livelli Essenziali di Assistenza). Non va però dimenticato che queste indagini richiedono alla classe medica-oncologica una sfida importante perché per analizzarne i risultati occorrono competenze interpretative più specifiche e sofisticate.

In cosa consistono invece i test genetici e quali sono le loro indicazioni?

Il test genetico, che richiede un semplice prelievo di sangue periferico, serve per capire se all’origine del tumore sia presente una mutazione in specifici geni che possano predisporre la persona al suo sviluppo. BRCA1 e BRCA2 sono i geni più noti e diffusi che, se mutati, aumentano le possibilità che si sviluppi un tumore mammario, ma risultano associati anche al rischio di sviluppare altre neoplasie (tra cui ovaio, pancreas, prostata, endometrio). La capacità e la riduzione dei costi legati al sequenziamento dei geni ci ha permesso di individuare anche altri geni associati a un rischio significativo di tumore al seno, tra cui PTEN, CHEK2, ATM, PALP2 e CDH.

Ad oggi il test genetico per i geni BRCA1 e 2 è quello a cui si ricorre in prima battuta. L’individuazione di mutazioni patogenetiche in questi geni ha implicazioni importantissime sia per la donna che ha giù sviluppato il cancro al seno sia per i soggetti sani a rischio. Per esempio ci può indirizzare verso una diagnostica precoce individualizzata e strategie di riduzione del rischio (per esempio mastectomia o annessiectomia profilattiche).

Non solo, in caso di malattia tumorale diagnosticata, sapere di essere portatori di una mutazione germinale in uno dei geni BRCA può avere implicazioni terapeutiche in quanto identifica una specifica suscettibilità del paziente a particolari classi di farmaci come i PARP-inibitori e i derivati dei sali di platino.

Ad oggi, i PARP inibitori vengono impiegati in presenza di malattia avanzata (metastatica). In questo momento, Olaparib è l’unico PARP inibitore rimborsato dal Sistema Sanitario Nazionale, nel carcinoma triplo negativo avanzato in pazienti BRCA1 o BARCA2 mutate. D’altro canto ci sono dati emergenti che mostrano l’efficacia dei PARP inibitori anche nel tumore mammario triplo negativo ed ER+/HER2- operato (non metastatico), sempre nelle pazienti ad alto rischio genetico. Si tratta di osservazioni con un impatto importantissimo, che verranno presentate nella sessione plenaria del congresso ASCO di inizio giugno, perché spostano l’impiego di questi farmaci nel setting precoce con un intento guaritivo.

L’indicazione ad eseguire i test genetici per la ricerca di mutazioni germinali si basa su criteri che guardano il contesto familiare, il tipo di tumore e l’età di insorgenza, nonché il rischio. Tuttavia l’importanza crescente delle alterazioni genetiche pone il quesito se non sia necessario ripensare i criteri di accesso a questi test, estendendoli a tutte le donne in cui ci possa essere una rilevanza clinico-terapeutica, indipendentemente dalla probabilità a priori che abbiano un’alterazione genetica. L’indicazione ad eseguire il test genetico in base a criteri di probabilità potrebbe essere riconsiderata alla luce dell’importanza che questa informazione ha per il singolo paziente, ma a catena anche per l’ambiente familiare, a cui potrebbe essere esteso il test qualora venisse identificata la mutazione.

Un altro ambito su cui lavorare riguarda l’estensione dell’analisi genetica anche agli altri geni implicati nell’ereditarietà del tumore al seno. Sebbene le alterazioni in questi geni siano molto più rare, le ricadute cliniche di una loro identificazione sono rilevanti.

Accanto ai test di espressione genica e a quelli genetici che mirano a individuare specifiche mutazioni germinali, esistono anche test per lo studio delle mutazioni somatiche che caratterizzano il tumore. Di che cosa si tratta e quali benefici possono offrire?

La maggior parte dei tumori è correlata alla presenza di mutazioni genetiche somatiche che, a differenza delle varianti patogenetiche ereditabili (mutazioni germinali), non sono trasmissibili alla prole. Queste mutazioni somatiche, che possono essere individuate con test genomici sul DNA tumorale circolante (biopsia liquida) oppure sul tessuto tumorale, possono influenzare l’insorgenza del tumore, lo sviluppo di metastasi o la resistenza/risposta a un trattamento. La possibilità di usare questi test genomici estesi che permettono di identificare tutte le alterazioni molecolari all’interno di un tumore (Whole exome sequencing che analizza fino a 21mila geni) o le alterazioni molecolari nei geni principali legati alla tumorigenesi (Target sequencing che analizza fino a 400 geni) potrà avere nel prossimo futuro un ruolo sempre più importante. Al momento, nel tumore mammario queste indagini genomiche rappresentano occasioni di ricerca e di conoscenza perché consentono di identificare alterazioni molecolari passibili di eventuali terapie mirate. Nel nostro Paese queste indagini non sono ancora entrate nella pratica clinica benché le recenti linee guida ESMO sull’uso dei test genomici nei tumori solidi raccomandino che i centri di eccellenza e di ricerca utilizzino queste metodiche nel modo più ampio possibile. L’obiettivo è quello di espandere e rendere concreta la possibilità di una medicina di precisione ora che i farmaci a bersaglio molecolare specifico stanno aumentando sia per numero sia per efficacia. Nel futuro potrebbero diventare complementari agli altri test di espressione genica e genetici. Ad esempio, proprio di recente si è visto che le pazienti con alterazioni somatiche nei geni BRCA rispondono ai PARP inibitori come le pazienti che hanno le stesse mutazioni nella linea germinale.

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