15 Marzo 2023Una nuova alleanza tra organizzazioni di pazienti e società scientificheL'Editoriale La sanità italiana è in un momento critico: la crisi pandemica ha prodotto in tutti la consapevolezza dell’importanza della salute e della necessità che questa sia garantita, secondo il dettato costituzionale, a tutti i cittadini, senza alcuna discriminazione geografica, di classe di reddito, di condizione clinica. Il solo tema delle lunghe liste di attesa e della possibilità di accorciarle solo attivando il canale solventi dimostra, specie per i malati cronici come quelli oncologici, quanto ci sia da fare per migliorare l’efficacia, l’efficienza e l’equità del sistema sanitario nazionale (SSN). Ma come possono contribuire a tale obiettivo le società scientifiche e le organizzazioni di pazienti? Le società scientifiche, che raggruppano gli specialisti di patologia e di branca disciplinare (oncologi, genetisti, senologi, ginecologi, gastroenterologi, urologi, patologi, radiologi, ecc.) sono da sempre le depositarie del sapere scientifico e clinico. Il loro parere è fondamentale nella elaborazione di linee guida e raccomandazioni relative ai protocolli clinici, dei PDTA (Percorsi Diagnostici Terapeutici e di Assistenza) di Patologia delle Reti Oncologiche Regionali, di richieste e proposte da sottoporre alle istituzioni sanitarie nazionali e regionali (AIFA, AGENAS, ISS) in merito agli esami diagnostici e alle nuove terapie.Oggi gli specialisti ospedalieri e le società scientifiche hanno l’esigenza di ripensarsi, sia in termini di competenze sia in rapporto alla collaborazione con le organizzazioni di pazienti, finalizzata ad una maggiore e più efficace interazione con le istituzioni sanitarie. La loro grande sfida, ancora nelle sue fasi iniziali, è quella della multidisciplinarietà. La medicina in generale e l’oncologia in particolare stanno facendo dei progressi enormi, che stanno mettono sempre più in discussione gli approcci tradizionali. Le Breast Unit, in Europa e ora anche in Italia, hanno dimostrato che solo la presenza di un team multidisciplinare garantisce alle pazienti con tumori al seno la migliore cura e la migliore prevenzione. Certamente la gestione di team multidisciplinari è un onere aggiuntivo per specialisti e strutture ospedaliere, ma gli indicatori di performance dimostrano che tale approccio consente di avere una “visione competa” dei pazienti e quindi di attuare un “modello di presa in carico” più personalizzato, più efficace e più efficiente rispetto al modello tradizionale. Ad es. evitando o interrompendo terapie non necessarie o inutili, prevenendo altre neoplasie o diagnosticandole in una fase più precoce, gestendo al meglio gli effetti collaterali di interventi e cure. Nei pazienti malati portatori di sindromi ereditarie, data la presenza di un elevato rischio su più organi, l’approccio multidisciplinare – attraverso i GOM (Gruppi Oncologi Multidisciplinari) di Sindromi Ereditarie (HBOC, LYNCH, sindromi rare) – è un passaggio obbligato. A maggior ragione lo è per i loro familiari sani a rischio di malattia i quali, non avendo ancora manifestato una patologia, necessitano di un “approccio di prevenzione multiorgano” e necessariamente multidisciplinare. Il modello multidisciplinare, oltre ad amplificare le conoscenze e competenze dei singoli specialisti, avvicina maggiormente tali team integrati alla prospettiva dei pazienti, che talvolta lamentano di essere gestiti solo per la propria specifica patologia, per il loro organo malato, piuttosto che come persone con un bisogno di salute a 360 gradi. In questo percorso verso la multidisciplinarietà e verso la prospettiva dei pazienti si stanno creando enormi potenzialità nel rapporto tra i medici specialisti, le società scientifiche e le organizzazioni di pazienti. Queste ultime, pur non disponendo delle competenze scientifiche e cliniche dei medici ospedalieri, sono perfettamente a conoscenza delle problematiche concrete e quotidiane dei pazienti. Talvolta i clinici non si rendono conto che la “presa in carico” dei pazienti non dipende esclusivamente dagli aspetti strettamente medico-professionali, ma anche da quelli organizzativi e gestionali della struttura ospedaliera e delle istituzioni sanitarie ai vari livelli. Ad esempio, un ritardo di qualche mese di un esame diagnostico o di una visita, o peggio ancora di un intervento chirurgico o nell’avvio di una terapia efficace possono avere implicazioni severe sulla prognosi e talvolta mettere a rischio la stessa vita di quelle persone. La mancanza della esenzione dal pagamento del ticket per i soggetti sani ad alto rischio ereditario – che devono sottoporsi annualmente a diversi controlli su vari organi – può spingere molte persone che non si possono permettere di pagare i ticket a rinunciare alla prevenzione e ciò va a limitare le opportunità di diagnosi precoce. I pazienti conoscono bene queste problematiche, i portatori di sindromi ereditarie ancora meglio in quanto possono capitalizzare l’esperienza di più persone nello stesso nucleo familiare. Medici e pazienti insieme possono quindi diventare alleati preziosi per interloquire con le istituzioni sanitarie, in modo da affrontare e soddisfare i bisogni non soddisfatti, in generale dei cittadini e in particolare di questa specifica popolazione ad alto rischio di malattia. L’alleanza tra medici specialisti – rappresentati dalle società scientifiche – e pazienti – rappresentati dalle organizzazioni di pazienti – dovrebbe tradursi in una progettualità propositiva di carattere più sistematico e con una visione di medio-lungo termine. E’ naturale che di volta in volta possano essere affrontati anche temi specifici e urgenti quali l’accesso ai test genomici per la verifica della validità o meno della chemioterapia nei tumori alla mammella o l’approvazione di specifici farmaci per alcune categorie di pazienti. Ma occorrerebbe creare dei “tavoli di lavoro” più strutturali e permanenti, in cui insieme medici specialisti e pazienti facciano il punto sulla condizione clinica dei pazienti, mettendo a fattore comune i loro punti di vista, per giungere a formulare proposte concrete di miglioramento ai vari livelli della gestione sanitaria: la singola struttura ospedaliera, l’unità sanitaria territoriale, la Regione, il Ministero. Tale approccio può portare medici, pazienti e istituzioni sanitarie a promuovere buone pratiche di presa in carico clinica, gestionale e organizzativa, che possano essere diffuse alla maggior parte delle strutture ospedaliere nel nostro Paese. Inoltre, un altro terreno di lavoro comune tra medici specialisti e pazienti può essere quello di favorire un rapporto più sistematico e strutturato con la medicina di territorio, cioè con i medici di medicina generale e le Case di Comunità, che potranno certamente contribuire a migliorare il servizio sanitario nazionale grazie alla integrazione tra le risorse mediche disponibili e ad una maggiore continuità tra fase clinica ed extra-clinica, per ottimizzare la gestione della patologia e la qualità della vita dei pazienti.La Fondazione Mutagens, nel suo ambito specifico delle sindromi ereditarie, ha già posto in essere fin dai suoi esordi una collaborazione con le società scientifiche e anche direttamente con i clinici delle strutture ospedaliere primarie, al momento circa un centinaio in una ventina di centri in tutto il Paese. Dopo tre anni di vita sentiamo ora l’esigenza di fare un salto di qualità anche su questo fronte. Stiamo chiedendo alle società scientifiche con cui abbiamo delle relazioni e alle stesse strutture ospedaliere di rafforzare e rendere più strutturata la nostra collaborazione: verificando insieme lo stato dell’arte della presa in carico clinica e assistenziale di tale popolazione e concordando specifici obiettivi ed azioni a favore dei pazienti, siano essi malati o sani a rischio di malattia. Certamente l’oggetto principale di tali iniziative sono i PDTA aziendali-ospedalieri Alto Rischio eredo-familiare, che sono in grave ritardo nella loro formalizzazione e completa attuazione, anche all’interno delle strutture primarie (Hub), a maggior ragione in quelle più periferiche (Spoke). Ma attorno ai PDTA Alto Rischio ci sono altre questioni aperte, di rilevanza nazionale, come quella delle esenzioni, della rimborsabilità delle prestazioni, dell’accesso rapido ai test genetici e genomici, la cui soluzione potrà certamente contribuire al miglioramento della condizione dei pazienti e del contesto operativo del personale sanitario. Ovviamente siamo aperti e disponibili a valutare idee, proposte e progetti provenienti dalle società scientifiche, dalle strutture ospedaliere e anche dai singoli medici specialisti, per ampliare la nostra rete collaborativa – l’Ecosistema Mutagens – e per accelerare tale percorso nell’interesse dei pazienti e di tutti i cittadini.Condividi sui socialFacebookLinkedInTwitter
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