Tumore ovarico: le donne aiutano le donne

Al via la campagna di sensibilizzazione “Tumore Ovarico. Manteniamoci informate!” per promuovere una maggiore conoscenza di questa insidiosa neoplasia, anche grazie al confronto tra le pazienti

Imparare a conoscere il tumore ovarico, i possibili campanelli d’allarme, i test genetici per orientare le terapie e la prevenzione, i centri di riferimento, i percorsi di cura e le novità sul fronte della chirurgia. Sono questi i principali obiettivi della campagna di sensibilizzazione “Tumore Ovarico. Manteniamoci informate! Da donna a donna”, ideata e realizzata da Pro Format Comunicazione e Mad Owl in collaborazione con le Associazioni ACTO, LOTO, Mai più sole e aBRCAdabra onlus, e sponsorizzata in esclusiva da GSK.

Dai videomessaggi alle card illustrate

L’iniziativa, giunta alla terza edizione, continua a promuovere l’informazione alle pazienti con tumore ovarico e ha scelto di farlo dando direttamente la parola alle donne. Le pazienti delle associazioni promotrici della campagna condividono consigli ed esperienze sul percorso di cura attraverso videomessaggi “da donna a donna”. Si tratta di otto brevi video dedicati ad aspetti chiave come la scoperta della malattia, il rapporto con i medici, le risorse che aiutano a ritrovare la propria qualità di vita.

Accanto ai videomessaggi, nel corso dei prossimi mesi saranno organizzati alcuni eventi sul territorio, attività d’informazione negli ambulatori onco-ginecologici, campagne informative digital e social con card illustrate dal visual designer Gaetano Di Mambro per raccontare in modo nuovo alcuni momenti del percorso di cura delle pazienti con tumore ovarico.

Conoscere e riconoscere il tumore ovarico

In Italia il cancro ovarico colpisce circa 5200 donne ogni anno, soprattutto nella fascia di età tra i 40 e i 60 anni. Purtroppo la diagnosi è tardiva in circa sette casi su dieci. Per questo motivo è importante conoscerlo e saper cogliere eventuali segni d’allarme, come sottolinea Nicoletta Cerana, presidente nazionale di ACTO (Alleanza contro il tumore ovarico). «Solo una buona conoscenza di questo tumore e dei suoi sintomi può facilitare una diagnosi tempestiva: se sintomi come sensazione di sazietà anche a stomaco vuoto, difficoltà di digestione, fitte addominali, gonfiore e tensione addominale, diarrea o stipsi improvvise sono frequenti e perdurano a lungo, occorre rivolgersi subito al proprio ginecologo per una visita ginecologica e un’ecografia transvaginale e, in caso di sospetto, prendere contatti con un Centro di riferimento». Diagnosticare e trattare un carcinoma ovarico all’interno di uno dei numerosi Centri di eccellenza per tale patologia, per la paziente è infatti una garanzia di qualità e sicurezza. Sul sito di ACTO (www.acto-italia.org), come ricorda Nicoletta Cerana, è possibile trovare tutti i riferimenti utili per individuare nella propria regione la struttura più vicina al proprio domicilio.

L’importanza dei test genetici sul tessuto e sul sangue

Circa il 25% dei tumori dell’ovaio è su base famigliare ed è da attribuire a mutazioni in specifici geni, tra cui spiccano i ben noti geni BRCA1 e 2. Il test su tessuto tumorale permette di sapere se una donna è portatrice o meno di una mutazione in questi geni di predisposizione ai tumori ma, secondo un’indagine GSK eseguita su 50 oncologi italiani, il 40% delle pazienti risultate positive per mutazioni nei geni BRCA non esegue il secondo test, quello sul sangue, fondamentale per capire se l’alterazione è soltanto somatica oppure germinale, e quindi ereditaria.

«È importante ricordare che il test BRCA ha sempre una duplice valenza: terapeutica e preventiva. I test BRCA che abbiamo a disposizione da diversi anni servono sia per meglio indirizzare le terapie oncologiche delle donne con tumore ovarico che per impostare programmi di prevenzione nei loro familiari» fa notare Liliana Varesco, medico genetista del Centro tumori ereditari, IRCCS Ospedale San Martino di Genova.

Le novità sul fronte delle terapie

Negli ultimi anni sono stati fatti notevoli progressi nelle terapie di mantenimento che permettono di allontanare le ricadute dopo la chemioterapia. «Le terapie di mantenimento hanno dimostrato di migliorare la sopravvivenza libera da progressione, cioè il tempo in cui la paziente vive senza avere ritorno della malattia e non determinano un impatto negativo sulla qualità di vita – dichiara Nicoletta Colombo, direttore della Ginecologia oncologica medica dell’Istituto europeo di oncologia di Milano – i farmaci utilizzati nelle terapie di mantenimento, i PARP-inibitori, agiscono su un meccanismo di riparazione del DNA. Questo tipo di terapia si è dimostrato molto efficace soprattutto nelle pazienti portatrici di mutazioni genetiche BRCA 1 e 2, che predispongono all’insorgenza del tumore ovarico. Però si è visto che anche chi non ha la mutazione genetica può rispondere bene a questi farmaci e averne un beneficio. Questo è legato al fatto che circa il 50% dei carcinomi ovarici presenta un difetto del meccanismo di riparazione della doppia elica del DNA, chiamato ricombinazione omologa».

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