Tumore della prostata: difficoltà quotidiane per 8 pazienti su 10

tumore alla prostata

Un sondaggio della Società italiana di uro-oncologia rivela l’impatto del cancro più comune nel sesso maschile su lavoro, sessualità, sport e più in generale le difficoltà dei pazienti nel percorso di cura

Il tumore alla prostata può avere un notevole impatto sulla vita degli uomini, andando a compromettere numerose attività ordinare, dal lavoro al percorso di cura, in almeno 8 pazienti su 10. Lo rivela una recente indagine online, presentata in un webinar su Facebook, promossa dalla Società italiana di uro-oncologia (SIUrO).

Dal sondaggio, condotto su 411 malati, è emerso che circa 6 uomini su 10 hanno difficoltà sul fronte lavorativo e sul quello della sessualità, la metà sugli hobbies e quasi 3 su 10 in ambito sportivo. Non solo, molto pazienti, complice il Covid-19, hanno problemi anche nel percorso di cura: il 35% ha difficoltà a contattare il medico specialista, altrettanti fanno fatica ad accedere agli esami di controllo e il 23% trova complicato compilare i documenti sanitari. Oltre la metà dei pazienti, infine, considera insufficiente l’assistenza territoriale.

Tumore alla prostata e problematiche associate

Quello alla prostata è il tumore più frequente nella popolazione maschile nei Paesi occidentali, con una tendenza a un aumento dei casi, complici le maggiori probabilità di diagnosi. Sebbene siano disponibili sempre più terapie per curarlo con ricadute positive sulla sopravvivenza, ci sono ancora delle problematiche irrisolte, come rivela anche il sondaggio della SIUrO.

«Più del 90% dei pazienti ha riscontrato dei cambiamenti a livello psico-fisico e la neoplasia ha un impatto negativo soprattutto a livello uro-andrologico. Infatti il 21% dei malati sostiene di aver avuto problemi di impotenza, il 19% di incontinenza e l’11% d’infertilità – riferisce Alberto Lapini, presidente nazionale della SIUrO -. Ci sono poi altre controindicazioni legate ai trattamenti come perdita di capelli, disturbi gastrointestinali, dolore, astenia o depressione. Va però ricordato che sono effetti collaterali momentanei e che comunque le nuove cure garantiscono una buona qualità di vita».

Medicina personalizzata

Anche se il carcinoma della prostata è una malattia molto complessa, oggi c’è la possibilità di avere molte informazioni biologiche sulle caratteristiche di questa neoplasia e sul suo stato, a partire dal fatto che sia confinata alla sola prostata piuttosto che localmente avanzata o metastatica. Tutte queste informazioni danno la possibilità di prescrivere una terapia personalizzata. «In questo momento abbiamo già a disposizione cinque trattamenti che aumentano la sopravvivenza nei casi avanzati e si stanno affacciando, o sono già disponibili, ulteriori farmaci, come i PARP inibitori, nuovi agenti ormonali e il possibile uso di trattamenti radio-metabolici per i tumori avanzati. Va inoltre ricordato come l’utilizzo di farmaci orali al domicilio del paziente abbia rappresentato un’importante opzione terapeutica, in particolare nei momenti più difficili della pandemia, quando gli ospedali erano fortemente sotto pressione – fa notare Segio Bracarda, presidente incoming di SIUrO -. La ricerca sta inoltre progredendo per ottenere trattamenti sempre più innovativi e mirati e che tengano conto delle esigenze e aspettative di un numero crescente di malati».

Il progetto di SIUrO

Il sondaggio di SIUrO rappresenta la prima di una serie di iniziative che rientrano nel progetto “SIUrO incontra pazienti e caregiver”. Tale progetto prevende che una volta al mese gli esperti della società scientifica affrontino i diversi aspetti inerenti i tumori urologici (prevenzione, terapie, impatto sulla vita quotidiana, difficoltà burocratico-amministrative, riabilitazione) e che, a ogni evento, tenuto online sulla pagina Facebook della società, malati, caregiver e personale medico-sanitario (dagli urologi ai radioterapisti, dagli oncologi agli anatomopatologi) possano confrontarsi. «Come in tutte le neoplasie urologiche anche per il tumore prostatico la parola d’ordine deve essere multidisciplinarietà – spiega Lapini -. Questo approccio deve prevedere la collaborazione attiva tra i diversi specialisti che si occupano della gestione del paziente. I vantaggi sono notevoli come hanno dimostrato diversi studi e ricerche scientifiche. Migliorano, infatti, i risultati per il malato, si favorisce l’aderenza alle linee guida e si possono mettere in previsione i diversi trattamenti possibili. Va perciò promossa la multidisciplinarietà sull’intero territorio nazionale».

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