Tumore del colon-retto: bisogna intensificare test universale ed esami genetici

Nonostante le raccomandazioni delle linee guida, è ancora carente lo screening per la sindrome di Lynch nei pazienti con una neoplasia intestinale

I deficit del mismatch repair, un particolare meccanismo di riparazione del DNA, sono presenti in circa il 10-15% dei tumori sporadici del colon e circa il 5% di questi è associato alla sindrome di Lynch, in cui un’alterazione di uno dei geni del mismatch repair è trasmessa in modo ereditario.

Nonostante oggi le linee guida internazionali, le raccomandazioni AIOM e i decreti di alcune regioni in Italia raccomandino che chiunque venga operato per un tumore del colon-retto (e all’endometrio) venga sottoposto al test universale con lo scopo di identificare un deficit del mismatch repair e, in caso di positività, inviato alla consulenza genetica e al test genetico per identificare la sindrome di Lynch, l’utilizzo di queste strategie di screening risulta ancora molto carente. Lo segnala uno studio, pubblicato di recente su JAMA Network Open, che ha fotografato la situazione in due coorti di pazienti negli Stati Uniti, per un totale di circa 65 mila individui a cui era stata fatta una diagnosi di tumore del colon-retto tra il 2017 e il 2020. Sebbene non esistano dati italiani analoghi, la situazione nel Belpaese non sembrerebbe molto diversa, con ricadute negative non solo sul fronte della gestione terapeutica del paziente stesso, ma anche dell’identificazione dei soggetti con sindrome di Lynch e dei familiari sani a rischio e quindi della loro presa in carico. Ne parliamo con Maria Grazia Tibiletti, genetista presso l’Anatomia patologica dell’ASST dei Sette Laghi; con Luigi Laghi, professore associato di gastroenterologia all’Università di Parma e ricercatore del Laboratorio di gastroenterologia molecolare della Piattaforma di ricerca congiunta Istituto Humanitas e Università di Parma e con l’oncologa Francesca Negri dell’Unità operativa complessa di gastroenterologia ed endoscopia digestiva dell’Azienda ospedaliero-universitaria di Parma.

Maria Grazia Tibiletti

Il test universale e lo screening genetico

«Il test universale è un’analisi che viene fatta di prassi (o quanto meno dovrebbe) insieme all’esame istologico al momento della diagnosi di cancro del colon-retto o dell’endometrio (perché la sindrome di Lynch conferisce anche un alto rischio di tumori dell’endometrio) – premette Tibiletti -. Si tratta di un esame immunoistochimico, poco costoso ed eseguibile da tutte le anatomie-patologiche, che valuta l’espressione di quattro proteine (MSH2, MSH6, MLH1 PMS2) e quando almeno una di queste è assente, ci troviamo di fronte a un campanello di allarme per la sindrome di Lynch. È infatti possibile che il paziente presenti questa condizione ereditaria di predisposizione ai tumori. Proprio per questo motivo, se il test delle proteine indica l’assenza di almeno una di queste il paziente va indirizzato alla consulenza genetica. Durante la consulenza genetica, il genetista valuta la storia familiare del paziente e l’opportunità di eseguire il test genetico sul sangue, per accertare la presenza delle specifiche alterazioni genetiche germinali che diagnosticano la sindrome di Lynch».

Luigi Laghi

Il punto della situazione in Italia

«Sebbene non esistano dati italiani corrispettivi a quelli statunitensi, la sensazione è che la situazione nel nostro Paese non si discosti molto da quella americana, con un sottoutilizzo del test universale e soprattutto degli step successivi per lo screening genetico della sindrome di Lynch – commenta Tibiletti –. Penso che questo sia in gran parte legato all’assenza di percorsi codificati: sono ancora pochi i centri in cui c’è un iter ben avviato. Inoltre, seppure il test universale sia ormai utilizzato in molti ospedali, ci sono ancora carenze importanti nella consulenza genetica e nel test genetico».

«Il nuovo studio statunitense ha diverse analogie con una ricerca , condotta sempre negli USA e pubblicata nel 2018 su JAMA Oncology. In questo lavoro si parlava solo di test universale ed era emerso chiaramente che la massima aderenza, intorno al 40% nel 2012, si evidenziava nelle istituzioni accademiche. Questo per dire che l’aderenza al test universale è da tempo estremamente variabile a seconda dei centri che si considerano – fa notare Luigi Laghi -. L’iter di screening viene seguito soprattutto nelle strutture di un certo livello dove esistono percorsi codificati. Non abbiamo dati italiani, però ci sono regioni che hanno introdotto il test tra gli elementi di qualità del referto anatomopatologico per il tumore del colon-retto, di fatto rendendolo obbligatorio, prima tra tutte la Lombardia, e altre meno in cui invece si procede più a macchia di leopardo».

Intensificare lo screening universale

«Per migliorare l’aderenza allo screening universale sarebbe innanzitutto utile valutare le casistiche regionali e creare uno sorta di registro in modo tale da creare una sinergia e poi mettere in atto strategie mirate» sostiene Laghi.

«Negli ultimi anni AIFET, l’Associazione italiana familiarità ed ereditarietà dei tumori, si è adoperata molto per promuovere il test universale – osserva Tibiletti -. Nel 2020 è stato redatto un position paper per sollevare la questione e poi, dalla collaborazione di AIOM, SIGU e AIFET, sono nate delle raccomandazioni per ribadire la necessità del test universale e definire il percorso da seguire. Purtroppo non tutti seguono queste raccomandazioni. Talvolta ci si sofferma sulla terapia e non si dà abbastanza importanza al fatto che la positività al test immunoistochimico per i deficit del mismatch repair sia un campanello di allarme per la sindrome di Lynch. La conseguenza è che così facendo si blocca lo screening genetico non solo del paziente stesso, ma anche dei familiari e quindi non si attuano le importanti strategie di prevenzione disponibili. Bisogna codificare i percorsi e promuoverne di più la messa in atto. Per esempio nel nostro centro per favorire la consulenza genetica abbiamo organizzato un percorso ad hoc. In pratica quando i chirurghi, insieme ai gastroenterologi, agli oncologi e agli anatomo-patologici discutono un caso, in automatico viene già programmata la visita per la consulenza genetica. In questo modo tutti i pazienti che hanno un’alterazione delle proteine del mismatch repair vanno direttamente alla consulenza. Il percorso così strutturato funziona bene e abbiamo una compliance molto alta sia per quanto riguarda sia i tumori del colon sia per quelli dell’endometrio».

Francesca Negri

Le ricadute sulla terapia

Sapere di avere la sindrome di Lynch ha implicazioni terapeutiche importanti per il paziente, ma anche ricadute sui familiari a rischio per la messa in atto di strategie di prevenzione primaria e secondaria.

«Oggi sappiamo che i tumori con un deficit del mismatch repair rispondono meno alla chemioterapia standard, ma soprattutto è sempre più chiaro che conoscere lo stato del mismatch repair nelle forme di cancro del colon-retto localmente avanzate ha un impatto fortissimo nella risposta all’immunoterapia, come rivelano i risultati dello studio NICHE-2, presentati di recente all’ESMO» premette l’oncologa Francesca Negri.

Lo studio NICHE-2 ha infatti dimostrato che quattro settimane di immunoterapia neoadiuvante consentono di ottenere una risposta patologica maggiore (10% o meno di cellule tumorali vitali nel pezzo operatorio) nel 95% dei pazienti affetti da tumore del colon localmente avanzato con deficit di riparazione del mismatch e una risposta patologica completa del 67% (assenza di cellule tumorali vitali sia nel tumore primitivo sia nei linfonodi asportati), senza un ritardo nella chirurgia e con una buona tollerabilità al trattamento. «Chiaramente bisognerà attendere i dati di sopravvivenza a lungo termine, ma è evidente che si sta profilando uno scenario importante con un cambio di paradigma terapeutico – continua Negri -. Si potrà iniziare a parlare di strategie di non surgery, ovvero che non prevedano soltanto la chirurgia up-front, nel cancro del colon, analogamente a quello che è successo nel retto».

La prevenzione dei sani a rischio

Fare il test universale può quindi avere un impatto notevole per la migliore scelta terapeutica. Ma sono notevoli anche le ricadute della consulenza genetica e del test genetico per la sindrome di Lynch sia sul paziente stesso per la scelta della terapia e la messa in atto di strategie di prevenzione secondaria sia per i test a cascata sui famigliari e la loro presa in carico in programmi mirati di sorveglianza. «Identificare i soggetti sani delle famiglie con la sindrome di Lynch che devono entrare in un protocollo intensivo diventa davvero importante: fare una colonscopia a 30 anni può salvare la vita ad alcune persone» chiosa Tibiletti.

Antonella Sparvoli

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