Tumore alla prostata localizzato: sì al monitoraggio attivo

I risultati dello studio ProtecT mostrano che dopo 15 anni i pazienti con carcinoma localizzato in sorveglianza attiva presentano gli stessi elevati tassi di sopravvivenza dei compagni sottoposti alla radioterapia o alla chirurgia

In presenza di un tumore alla prostata localizzato sono diverse le opzioni che si possono prendere in considerazione: sorveglianza attiva, trattamento radioterapico o chirurgia. Ebbene secondo i risultati dello studio ProtecT, presentati di recente a Milano al congresso annuale dell’European Association of Urology e pubblicati in contemporanea sulle riviste New England Journal of Medicine e New England Journal of Medicine Evidence (Nejm Evidence), i tre approcci garantiscono gli stessi elevati tassi di sopravvivenza dopo 15 anni. Dopo una diagnosi di cancro alla prostata a rischio basso o intermedio non occorre dunque prendere decisioni affrettate, ma al contrario valutare bene insieme ai medici la scelta che più si addice alle proprie esigenze.

Lo studio

Lo studio, finanziato dal National Institute for Health and Care Research, è stato condotto da ricercatori delle Università di Oxford e Bristol in 9 centri del Regno Unito ed è il più lungo studio in corso nel suo genere. Nella ricerca sono state valutate tre principali opzioni terapeutiche per i pazienti con carcinoma prostatico localizzato: monitoraggio attivo, chirurgia (prostatectomia radicale) e radioterapia associata a terapia ormonale. Nel complesso sono stati coinvolti più di 1600 uomini di età compresa tra i 50 e i 69 anni i quali sono stati suddivisi in tre gruppi e assegnati in modo casuale ai tre trattamenti: 545 al monitoraggio attivo, 553 alla prostatectomia radicale (553) e 545 alla radioterapia radicale. I pazienti sono stati quindi seguiti per una media di 15 anni, per misurare i tassi di mortalità, la progressione e la diffusione del tumore e l’impatto dei trattamenti sulla qualità della vita.

Risultati rassicuranti per la sorveglianza attiva

Il 97% degli uomini ai quali era stato diagnosticato il cancro alla prostata era ancora vivo 15 anni dopo la diagnosi, indipendentemente dal trattamento ricevuto. I pazienti di tutti e tre i gruppi hanno riportato una qualità di vita complessiva simile, in termini di salute fisica e mentale generale.

Sebbene gli uomini sottoposti a sorveglianza attiva abbiano avuto maggiori possibilità di progressione o diffusione del tumore rispetto a quelli degli altri gruppi, questo non si è tradotto in una minore sopravvivenza. Inoltre circa il 25% degli uomini del gruppo monitoraggio attivo non aveva ancora dovuto ricorrere a nessun trattamento invasivo per il cancro dopo 15 anni. Diversamente nei soggetti trattati con radioterapia o chirurgia si è visto che gli impatti negativi dei trattamenti sulle vie urinari e la funzione sessuale sono rimasti presenti più a lungo di quanto si pensasse in precedenza, ovvero fino a 12 anni.

Scelta più serena

«Pazienti e medici ora dispongono delle informazioni sugli effetti collaterali a lungo termine dei trattamenti necessarie per comprendere meglio il bilanciamento tra i loro benefici e danni – osserva Jenny Donovan dell’Università di Bristol, una delle autrici dello studio -. Quando si decide sul trattamento, non bisogna più prendere in considerazione la sopravvivenza, perché è la stessa per tutte e tre le opzioni. Ora gli uomini con una diagnosi di carcinoma prostatico localizzato possono basarsi sui propri valori e priorità quando si trovano di fronte alla difficile decisione su quale trattamento scegliere».

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