Tumore al seno: il vissuto delle pazienti e le esigenze più sentite

Una ricerca promossa da Onda per il mese di ottobre, dedicato al cancro mammario, ha fotografato i bisogni delle donne con malattia HER+

Informazione, sostegno emotivo, prevenzione e percorsi diagnostico-terapeutici sono i principali ambiti su cui bisognerebbe intervenire per assecondare i bisogni delle donne con cancro mammario HER+, un tumore molto aggressivo che rappresenta il 20% di tutte le neoplasie al seno, con una stima di circa 11.000 nuovi casi l’anno. È quanto emerge dall’indagine “Il vissuto delle pazienti con tumore al seno HER2+” di Fondazione Onda – Osservatorio nazionale sulla salute della donna e di genere, realizzata dall’Istituto di ricerca Elma Research, con il contributo non condizionato di Daiichi-Sankyo e AstraZeneca.

Il vissuto e i bisogni delle pazienti

La ricerca, presentata da Onda in occasione di un evento organizzato per il mese di ottobre dedicato al cancro mammario, ha coinvolto complessivamente 132 donne con una diagnosi di tumore al seno HER2+, con diverse storie di malattia, per la maggior parte in trattamento attivo, un’età media 53 anni e, per lo più, con partner stabile e figli. Obiettivo primario dell’indagine è stato quello di investigare il percorso di cura e la qualità di vita delle pazienti per capirne il vissuto e i bisogni per poter in futuro agire con progetti mirati in grado di rispondere alle esigenze di queste donne.

Complessivamente i dati raccolti evidenziano che il rapporto con la malattia assume connotazioni differenti a seconda dei tratti caratteriali, del livello socioculturale e della presenza di una rete familiare, da cui derivano diversi livelli di consapevolezza, atteggiamenti più o meno proattivi e motivazione nell’affrontare il proprio percorso. Le pazienti coinvolte hanno tuttavia vissuti simili sotto alcuni aspetti, per esempio per tutte la scoperta della malattia ha determinato una rottura con la vita precedente e, nel caso di esordio metastatico, il senso di precarietà prosegue senza risolversi mai.

Le criticità

L’indagine ha fatto emergere quattro principali criticità per queste donne: la necessità di ricevere sostegno emotivo, il bisogno di maggiore informazione, il valore e l’attenzione alla prevenzione, la necessità di una migliore organizzazione del percorso diagnostico-terapeutico.

Più nel dettaglio, per il 35% delle intervistate è necessario un supporto a livello psicologico, attraverso la presenza costante della figura dello psiconcologo durante il percorso di assistenza. Per affrontare meglio la malattia il 23% delle pazienti ritiene utili anche corsi per la gestione dello stress e tecniche rilassamento e il 19% gruppi discussione tra pazienti.

Per molte pazienti, l’avvio al percorso diagnostico-terapeutico risulta travagliato, senza una reale visione d’insieme di quello che sarà l’iter da affrontare. Anche l’intervento chirurgico rappresenta un passaggio complicato che alimenta ansia e paura del cambiamento fisico. L’influenza negativa della malattia va ad intaccare in maniera importante la percezione di sé, del proprio aspetto esteriore (peggiorato per il 75% delle intervistate) e la sfera sessuale (peggiorata per l’81%). Altre sfere di vita che subiscono un forte impatto della malattia e della terapia sono: la socialità, la relazione di coppia, la maternità e la sfera lavorativa. Dopo la diagnosi una donna su 4 smette di lavorare e il 60% rinuncia alla possibilità di avere figli.

Senso di spaesamento

«Dal momento della diagnosi c’è uno stravolgimento totale nella vita delle pazienti a livello fisico e psicologico, poiché la donna viene colpita sia nella sua femminilità sia nelle prospettive di futuro, modificandosi la vita di coppia, quella familiare e quella lavorativa – osserva Francesca Merzagora, presidente di Fondazione Onda -. Il senso di spaesamento e confusione che accomuna i vissuti di queste donne, sottolinea la necessità di inquadrare chiaramente la patologia e il suo percorso di cura. Di fondamentale importanza anche i temi della prevenzione – nella maggior parte delle pazienti intervistate emerge una scarsa sensibilità alla prevenzione – e dell’informazione: esiste un gap comunicativo su ciò che ruota intorno a terapia, servizi assistenziali, stile di vita, impatto della malattia sulla vita quotidiana».

Una intervistata su tre ritiene che, per aiutare a colmare il senso di confusione e vuoto sia necessaria una figura di riferimento che possa dare una visione di insieme degli step da seguire. Non solo, anche una migliore comunicazione e collaborazione tra medici di medicina generale e specialisti che si occupano di tumore al seno, sarebbe auspicabile per migliorare il vissuto delle pazienti, facilitando la pianificazione di visite e controlli.

Supporto psicologico per tutta la famiglia

Molto sentito infine è la necessità di un supporto psiconcologico capillare e continuativo per accettare la convivenza con la patologia e tutto ciò che essa comporta. «La malattia coinvolge l’intero sistema familiare e sociale della persona – fa notare Chiara Marzorati, psicologa psicoterapeuta della Divisione di psiconcologia dell’Istituto Europeo di Oncologia di Milano. Pensieri ed emozioni contrastanti affliggono sia la paziente sia il caregiver durante l’intero iter di cura, spesso modificandone le dinamiche relazionali e comunicative. È dunque fondamentale prevedere programmi di supporto rivolti a tutto “l’ecosistema famiglia” che possano favorire l’adattamento ad una realtà in continua trasformazione».

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