Sindromi ereditarie: strategia per individuarle

All’VIII Incontro Nazionale del Gruppo Italiano di Patologia Molecolare e Medicina Predittiva della SIAPEC-IAP focus sulle patologie oncologiche ereditarie. Maggiori possibilità di scoprirle attraverso pannelli multigene

Oggi è sempre più evidente che i pazienti con una patologia oncologica con un’impronta eredo-familiare sono molto più numerosi di quanto non si sia pensato fino a qualche tempo fa. Peccato però che molti casi non vengono riconosciuti se si seguono solo gli attuali criteri dettati dalle linee guida. Tuttavia qualcosa sta cambiato e i criteri si stanno allargando, complici nuove scoperte e l’avanzamento nelle tecniche di sequenziamento del DNA. Lo hanno ricordato gli esperti intervenuti all’VIII Incontro Nazionale del Gruppo Italiano di Patologia Molecolare e Medicina Predittiva della SIAPEC-IAP (Società Italiana di Anatomia Patologica e Citopatologia-International Acadamey of Phatology) in una sessione dedicata alle patologie oncologiche eredo-familiari. Ne parliamo con Fiamma Buttitta, professore ordinario di anatomia patologica all’Università G. D’Annunzio di Chieti-Pescara e coordinatrice del Gruppo sui tumori eredo-familiari della SIAPEC, che ha moderato la sessione e tenuto uno speech sul tema, e Salvo Testa, presidente della Fondazione Mutagens, che ha partecipato alla sessione, evidenziato il punto di vista dei soggetti, malati e sani a rischio, portatori di sindromi ereditarie. 

Fiamma Buttitta

Analisi mutazionale su tessuto e varianti actionable

«Di norma gli esami genetici sul tessuto tumorale vengono richiesti all’anatomopatologo con l’obiettivo di identificare varianti genetiche definite actionable, ovvero bersaglio di trattamenti specifici – premette Fiamma Buttitta -. Talvolta tuttavia queste varianti possono avere implicazioni anche sul fronte della prevenzione primaria e secondaria, in particolare quando hanno origine germinale».

L’analisi del tessuto tumorale può infatti portare alla luce non solo alterazioni che si sviluppano nel tumore, ma anche difetti germinali, quindi presenti in tutte le cellule, associati a sindromi ereditarie di suscettibilità ai tumori. Analizzando il sangue in un secondo momento, il genetista può confermare se tali mutazioni riguardino effettivamente anche la linea germinale.

Il caso BRCA

Per anni i geni BRCA1 e 2 sono stati al centro dei riflettori per il loro ben noto legame con i tumori ereditari della mammella e dell’ovaio. Nel tempo si è però scoperto che varianti patogenetiche germinali in questi geni possono essere associate anche ad altri tumori, in altri organi (prostata, pancreas, colon, stomaco, ecc.). «Quando individuiamo mutazioni nei geni BRCA sul tessuto tumorale non sappiamo a priori se queste siano somatiche o germinali – puntualizza Buttitta -. Ma ciò non toglie che la loro presenza, per esempio nel tumore ovarico, renda la paziente eleggibile al trattamento mirato con PARP inibitori, a prescindere che la variante sia somatica o geminale. Ma se l’alterazione è germinale – cosa che può confermare il genetista con i test sul sangue periferico – le implicazioni vanno oltre la terapia. In questi casi si possono infatti mettere in atto strategie per prevenire altri tumori in quella stessa paziente, nonché attivare gli screening a cascata sui familiari sani a rischio di malattia».

Tumori con impronta eredo-familiare

Le patologie oncologiche possono essere suddivise in due categorie principali: quelle note per essere associate a possibili alterazioni ereditarie (mammella, utero, ovaio, pancreas, stomaco, prostata, colon, endometrio), per le quali esistono linee guida per i test genetici sulla linea germinale; nonché tumori per i quali non sono previsti test genetici per la ricerca di varianti patogenetiche germinali, e per questo definiti “orfani” di linee guida, tra cui rientrano per esempio le neoplasie di polmone, vescica, encefalo, esofago e altri. «Studi recenti hanno evidenziano che anche nelle neoplasie orfane di linee guida può emergere un’impronta eredo-familiare, solo che allo stato attuale non viene cercata. Non solo, accanto alle varianti patogenetiche nei geni BRCA, ce ne possono essere in numerosi altri geni, meno comuni e conosciuti, ma non per questo da sottovalutare» fa notare Buttitta.

«Solo una piccola quota dei soggetti con sindromi ereditarie, sia tra i pazienti già affetti sia tra i loro familiari sani, oggi viene intercettata sulla base delle linee guida esistenti, basate prevalentemente sulla storia familiare e sui test genetici sul sangue periferico – conferma Salvo Testa -. Lo sviluppo e l’estensione, soprattutto per scopi terapeutici, dei test somatici sul DNA tumorale (medicina di precisione e immunoterapia) realizzati dai patologi offre l’opportunità di identificare mutazioni somatiche potenzialmente presenti anche nella linea germinale e quindi di ampliare lo screening dei soggetti malati portatori di sindromi ereditarie, da inviare alla consulenza oncogenetica per la conferma della presenza di alterazioni genetiche costituzionali».

Ampliare gli orizzonti

Studi recenti, hanno evidenziato che quasi il 7% dei tumori della vescica ha varianti patogenetiche germinali così come il 6% di quelli del polmone, il 5% delle neoplasie dell’esofago e circa il 5% dei colangiocarcinomi. «Se sommiamo questi numeri, sale la quota di tumori con un’impronta eredo-familiare e sale ancora di più se nei pazienti che hanno linee guida andiamo a ricercare alterazioni germinali non solo nei geni BRCA1 e 2, ma in tutti quei geni che possono essere coinvolti, ma che non vengono indagati». È ora di allargare il panorama. «Noi (come SIAPEC) finalmente abbiamo realizzato un pannello multigenico con pressoché tutti i geni che possono essere coinvolti in una sindrome ereditaria di predisposizione ai tumori. In questo pannello sono presenti i geni associati non solo ai tumori ereditari della mammella e dell’ovaio, ma anche a neoplasie del rene, della pelle (melanoma), del polmone e via dicendo – riferisce Buttitta -. In particolare il pannello che abbiamo affinato chiama in causa ben 110 geni e ha la potenzialità di far emergere varianti patogenetiche potenzialmente correlate a tumori eredo-familiari (dal seno al polmone)»

I pannelli multigene

Disporre di un pannello multigene per analizzare il tessuto tumorale in cui siano presenti i più importanti geni correlati ai tumori ereditari, così come i geni che hanno un ruolo fondamentale nella scelta della terapia migliore, può offrire notevoli vantaggi. «Da una parte permette di indirizzare il paziente a un trattamento specifico e dall’altra, in caso di mutazioni attualmente non druggable, di indirizzare i pazienti a eventuali trial clinici – spiega Buttitta -. Non solo, nel caso emergesse un’impronta eredo-familiare in un tumore altrimenti insospettabile, il couselling genetico e il successivo esame genetico sul sangue potrebbero far emergere una sindrome ereditaria che altrimenti sarebbe rimasta sconosciuta. Senza contare tutte le implicazioni sulla prevenzione primaria e secondaria dei familiari sani a rischio e nei confronti di altri tumori per il paziente stesso».

Il test doppio

Di recente alcuni studi hanno dato vita a una corrente di pensiero che vorrebbe che per tutti i tumori il genetista facesse l’analisi mutazionale per la ricerca di varianti patogenetiche germinali e che, allo stesso tempo, l’anatomopatologo eseguisse i test genetici sul tessuto per individuare le mutazioni actionable. «Penso che in un futuro non lontano arriveremo a compiere questo ennesimo passaggio, ma allo stato attuale i tempi non sono maturi. Nelle raccomandazioni delle linee guida c’è scritto chiaramente che il tessuto vede tutto per cui non c’è motivo per fare due esami con una spesa doppia. Il tessuto fa da screening e solo in un secondo momento, nel sospetto che la mutazione sia germinale, il genetista indirizza al test genetico sul sangue».

La collaborazione tra specialisti

L’anatomopatologo può essere di grande aiuto per ridurre il rischio che tumori orfani di linee guida, ma con un’impronta eredo-familiare, non vengano riconosciuti. «Ma potrebbe esserlo ancora di più se ci fosse una più stretta collaborazione con l’oncologo e una condivisione di tutte le informazioni rilevanti che riguardano il paziente. Conoscerne la storia familiare, oltre che l’età, può orientare la scelta delle analisi da eseguire sul tessuto tumorale per la terapia personalizzata e poi sul sangue, permettendo così di identificare patologie oncologiche ereditarie che rischiano di passare inosservate» conclude Buttitta.

«La nuova prospettiva della maggiore integrazione tra test somatici e test genetici presuppone una maggiore collaborazione tra le diverse figure professionali coinvolte: l’oncologo, il chirurgo, il patologo e il genetista – fa notare Salvo Testa -.  Ma presuppone anche la condivisione di linee guida e di metodiche sui criteri di accesso e sulle modalità di attuazione dei test che mettano insieme le competenze dei diversi specialisti e pongano al centro le esigenze e le necessità dei pazienti».

Antonella Sparvoli

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