Rapporto FAVO 2023: il punto della situazione sui tumori ereditari

Focus sulle sindromi ereditarie di predisposizione al cancro in occasione della presentazione del 15° Rapporto della Federazione sull’assistenza al malato oncologico

La recente presentazione del 15° Rapporto FAVO (Federazione italiana della associazioni di volontariato in oncologia)sulla condizione assistenziale del malato oncologico è stata l’occasione per fare il punto sullo stato dell’arte e i temi critici inerenti le sindromi ereditarie di predisposizione al cancro, a cui per il secondo anno è dedicato un intero capitolo all’interno del documento.

Quella dei portatori di sindromi ereditarie di predisposizione ai tumori, che conta in Italia almeno 500mila individui, è una popolazione nella quale si può fare molto sul piano della prevenzione primaria e secondaria. Partendo da questo presupposto, assume ancora più rilevanza l’opportunità di concretizzare un approccio organico di sanità pubblica nazionale nella presa in carico dei soggetti portatori di sindromi eredo-familiari, come fanno notare gli autori del capitolo dedicato all’interno del Rapporto FAVO, quali Salvo Testa, presidente di Fondazione Mutagens; Antonio Russo e Lorena Incorvaia dell’Università di Palermo a nome di AIOM (Associazione italiana oncologia medica); Cristina Oliani, presidente di AIFET (Associazione italiana familiarità ed ereditarietà tumori); e Emanuela Lucci Cordisco, coordinatrice del gruppo di lavoro Genetica oncologica della Società italiana di genetica umana (SIGU).

Salvo Testa

Presa in carico dei portatori di sindromi eredo-familiari

Sono diversi i fattori che rendono le sindromi eredo-familiari di predisposizione ai tumori un ambito in cui un approccio mirato di sanità pubblica può avere ricadute importanti, come sottolinea Salvo Testa. «Innanzitutto le sindromi ereditarie si trasmettono all’interno delle famiglie, per cui la loro identificazione sarebbe relativamente fattibile, dal momento che, a partire dal “caso indice” del soggetto già malato, i test genetici mirati sui familiari sani sono semplici, rapidi ed economici. Non solo, ai soggetti sani, come a quelli affetti, oltre al beneficio della diagnosi precoce (prevenzione secondaria) è possibile offrire percorsi di prevenzione primaria (chirurgia profilattica di riduzione del rischio, farmaco-prevenzione, counselling su alimentazione, attività fisica e stili di vita), la cui validità è ampiamente dimostrata. Senza contare che sui soggetti malati esistono oggi opportunità terapeutiche altamente specifiche rispetto ai pazienti affetti da tumori sporadici».

Perché servono percorsi mirati

I portatori di sindromi ereditarie necessitano di percorsi e di competenze fortemente specialistiche, dai PDTA Ospedalieri per soggetti ad alto rischio eredo-familiare ai Gruppi oncologici multidisciplinari per la gestione di tali condizioni. Queste esigenze nascono dal fatto che la maggior parte di tale popolazione (circa il 90%), in massima parte soggetti ancora sani, ad oggi non sono stati ancora identificati, proprio a causa dei limiti e dei ritardi attuativi, in particolare nei PDTA, oltre che per le difficoltà nell’accesso alla consulenza genetica oncologica e ai test genetici.

«Inoltre – aggiunge Testa – non esistono programmi di screening ufficiali per tutti gli organi a rischio (prostata, pancreas, pelle, stomaco, ecc.) nei portatori di sindromi ereditarie e per quegli organi (seno e colon-retto) per cui vi sono, gli screening sono “tarati” sul rischio della popolazione generale e partono dai 45-50 anni per la mammella e dai 50 per il colon-retto, quando nei soggetti con sindromi ereditarie l’esordio della malattia è in genere più precoce».

Antonio Russo
Lorena Incorvaia

La rilevanza delle Linee guida nazionali

L’avvio di un’iniziativa organica di sanità pubblica per i portatori di sindromi ereditarie da quest’anno ha finalmente anche i presupposti normativi e scientifici grazie all’approvazione, all’interno del Piano oncologico nazionale 2023-2027, di una sezione dedicata a screening e presa in carico di tali soggetti, nonché per la prossima approvazione delle Linee guida tumori ereditari coordinate da AIOM.

«Il principio essenziale su cui si basa la creazione delle Linee guida nazionali per i soggetti con sindrome ereditaria risiede nella complessità che caratterizza tali condizioni di predisposizione ai tumori (diagnosi genetica, criteri di accesso ai test, sorveglianza, diagnosi precoce fino a interventi di riduzione del rischio), la quale richiede una governance in grado di garantire l’omogeneizzazione e la standardizzazione dei percorsi» fanno notare Antonio Russo e Lorena Incorvaia.

Tutto ciò sottende la stretta collaborazione tra team oncologico e servizi di genetica, ma anche il coinvolgimento di numerose altre figure professionali: dal chirurgo senologo a tutti gli specialisti che possono oggi avviare il paziente con una determinata diagnosi oncologica direttamente al test genetico, quando questo può assumere un significato terapeutico.

Cristina Oliani

La formazione dei medici

Per garantire la piena realizzazione di percorsi mirati per i pazienti con sindromi eredo-familiari e l’applicazione delle Linee guida in modo capillare, bisognerà però implementare i percorsi formativi e di aggiornamento per tutti i professionisti coinvolti.

«È prioritario attuare al più presto una formazione specifica per l’uso appropriato dei test genetici
sia per l’identificazione delle terapie personalizzate, sia per l’identificazione delle sindromi di predisposizione ereditaria – sostiene Cristina Oliani -. Il counselling genetico oncologico è centrale nello studio e presa in carico degli individui con alterazioni predisponenti ai tumori ed è multidisciplinare e multiprofessionale. Per colmare il gap di conoscenza è necessario puntare a una formazione non solo a livello universitario, ma mirata ai professionisti che operano, oggi, nei Centri ospedalieri e sul territorio».  

Su questo fronte molto stanno facendo le Società scientifiche e le organizzazioni di pazienti, con iniziative rivolte a specialisti, medici di medicina generale e agli stessi pazienti.

Emanuela Lucci Cordisco

Il rafforzamento della diagnostica in ambito clinico

«Nell’ambito delle condizioni ereditarie di predisposizione all’insorgenza delle neoplasie, accanto alla storia clinica personale e/o famigliare, anche i progressi terapeutici con terapie a bersaglio molecolare possono rappresentare un elemento acceleratore utile per l’identificazione di soggetti sani a rischio neoplastico che possono beneficiare della prevenzione» riferisce Emanuela Lucci Cordisco, citando due classici esempi, quelli dei geni BRCA e del mismatch repair.

«Varianti patogenetiche germinali nei geni BRCA1 e BRCA2 sono responsabili di predisposizione
alla insorgenza di tumori soprattutto della mammella/ovaio/prostata/pancreas, ma costituiscono anche i più importanti fattori predittivi di risposta all’utilizzo terapeutico di PARP inibitori. Ne consegue che la richiesta del test può essere motivata non solo dal “sospetto di una condizione familiare”, ma anche dalla opportunità del trattamento ed in quanto tale vincolata solo a questo criterio – spiega Lucci Cordisco -. Inoltre, il richiedente può non essere più il medico genetista, ma il medico curante oncologo. Anche se l’indicazione al test è svincolata dal sospetto di una condizione ereditaria, essa può portare comunque alla sua diagnosi».

Anche i pannelli multigene che si possono fare sul tessuto tumorale per fini terapeutici possono portare a svelare una possibile di condizione di predisposizione. II problema è che, nonostante le potenzialità dei test genetici, non c’è ancora un’equità nelle possibilità diagnostiche nelle diverse strutture del territorio. «Ciò può portare ad una potenzialità di diagnosi di condizione ereditaria non uniforme sul territorio nazionale e ad una conseguente non uniforme estensione del test ai soggetti sani ad alto rischio, con un impatto anche sulla prevenzione. È quindi necessaria una riflessione profonda e condivisa su tali temi in primis da parte delle diverse Società scientifiche. Le stesse Società dovranno poi farsi carico di una trasmissione delle conoscenze scientifiche ai legislatori per un adeguamento uniforme sul territorio nazionale della normativa correlata» conclude Lucci Cordisco.

Antonella Sparvoli

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