Quanti e dove sono i centri di ricerca oncologica in Italia

Presentato al Ministero della Salute il censimento delle strutture che svolgono trial sul cancro: sono 149, più della metà al Nord, con ricerche di grande valore, ma servono risorse e personale

In Italia sono 149 i centri censiti che conducono ricerche cliniche in oncologia. La Regione che vanta più strutture è la Lombardia (28), seguita da Lazio (18), Piemonte (15), Veneto (14) ed Emilia-Romagna (13), mentre i tumori più studiati sono quelli mammari, gastro-intestinali, toracici, urologici e ginecologici. Questi alcuni dei dati raccolti nel primo “Annuario dei Centri di Ricerca Oncologica in Italia”, promosso dalla Federation of Italian Cooperative Oncology Groups (FICOG) e dall’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM), un vero e proprio censimento delle strutture che realizzano sperimentazioni sui tumori nel nostro Paese, presentato di recente al Ministero della Salute. In occasione dell’evento è stato presentato anche uno spot per rilanciare l’importanza della ricerca, parte della campagna di sensibilizzazione “Lo sai quanto è importante”, che sarà diffuso nei social network e in Tv.

Caratteristiche dei centri e criticità

Dei 149 centri censiti, il 91% ha una radiologia accreditata in sede, il 76% è dotato di un’anatomia patologica e il 68% ha un laboratorio di biologia molecolare, aspetto molto importante visto il ruolo centrale dei test molecolari nella medicina di precisione. Quasi la metà dei centri svolge tra i 10 e i 40 trial ogni anno e 29 strutture superano le 40 sperimentazioni. C’è però anche un risvolto della medaglia, soprattutto sul fronte del personale disponibile e delle infrastrutture: il 67% (100 centri) delle strutture non può contare sulla presenza di un bioinformatico e il 48% sul supporto statistico. Inoltre sono ancora troppo pochi i coordinatori di ricerca clinica, i cosiddetti data manager, strutturati; i ricercatori e gli infermieri di ricerca. Senza contare la carenza di strutture informatiche, visto che solo il 40% dei centri può utilizzare un sistema di elaborazione di dati.

Il ruolo centrale dei data manager

Nell’ambito delle sperimentazioni cliniche i data manager giocano un ruolo particolarmente importante, considerato che la gestione dei trial clinici sta diventando sempre più complessa, come sottolinea Saverio Cinieri, presidente di AIOM. «I coordinatori di ricerca clinica (i data manager appunto) sono figure fondamentali, perché deputate alla gestione dei dati all’interno delle sperimentazioni. Dove sono presenti, si registra un importante aumento delle performance del centro, che si traduce nell’arruolamento dei pazienti, in alti standard qualitativi, nella salvaguardia del benessere delle persone negli studi e nell’ottimizzazione dei processi. Però un vuoto normativo non permette di strutturarli all’interno dei team, limitando il loro impiego con contratti libero professionali, borse di studio e assegni di ricerca».

La qualità della ricerca e il bisogno di creare delle reti

«Gli studi condotti in Italia hanno cambiato la pratica clinica a livello nazionale e internazionale in diversi tipi di tumori, portando alla modifica di linee guida e raccomandazioni – segnala Carmine Pinto, presidente FICOG -. Ma servono personale, infrastrutture digitali, risorse economiche e organizzative. Il finanziamento pubblico in questo settore è, da sempre, sottodimensionato nel nostro Paese. Siamo agli ultimi posti in Europa per finanziamenti. Se la ricerca è centrale per lo sviluppo e l’innovazione, allora è indispensabile definire e attuare una strategia unitaria e un piano nazionale. Non è più procrastinabile la realizzazione della Rete Nazionale per la Ricerca Clinica, fondamentale anche per attrarre investimenti privati. La programmazione va declinata anche a livello locale, con la piena istituzione delle Reti Oncologiche Regionali, che possono promuovere e facilitare le sperimentazioni da un punto di vista progettuale, gestionale e amministrativo. In questo modo potranno essere colmate le differenze territoriali, che vedono la maggior parte dei centri al Nord».

Regolamento europeo per superare le criticità

Il volume con i dati del censimento può rappresentare per le Istituzioni italiane un strumento concreto per l’individuazione dei centri che possono rispondere ai nuovi requisiti stabiliti dal Regolamento europeo 536 del 2014 sulle sperimentazioni cliniche. Quest’ultimo ha armonizzato il processo di valutazione e autorizzazione di uno studio clinico condotto in più Stati membri. L’Italia si è quindi finalmente adeguata alla normativa comunitaria, grazie ai quattro decreti firmati dal Ministro della Salute (pubblicati nella Gazzetta Ufficiale n. 31 del 7 febbraio 2023).

«Il Regolamento europeo rappresenta un’ottima opportunità per superare le attuali criticità – fa notare Pinto -. Standardizza e semplifica la ricerca clinica ma, al tempo stesso, garantisce la qualità degli studi e la partecipazione dei pazienti. Dal nostro censimento emerge come il tempo medio di valutazione di uno studio da parte del Comitato etico sia, nella maggior parte dei casi (68%), di 4-8 settimane. È compreso fra uno e due mesi anche il tempo medio richiesto per la firma del contratto. Il Regolamento europeo porterà a velocizzare le procedure autorizzative e ad eliminare vincoli burocratici e richieste di documentazione spesso eterogenee e ridondanti».

Il ruolo delle associazioni dei pazienti

Anche le associazioni di pazienti possono dare un importante contributo nella ricerca scientifica. La loro partecipazione diretta nell’attività di ricerca promosse delle Commissione europea è oggi già una realtà. Inoltre di recente la Camera dei deputati italiani ha approvato una mozione in cui si invita il Governo a coinvolgere e ascoltare i pazienti continuativamente sin dalle prime fasi dei processi decisionali: dalle sperimentazioni, alle gare, ai comitati etici, alla programmazione.

«Considerato che la ricerca clinica deve essere ‘patient centred’, la mozione impegna l’Esecutivo a prevedere nei bandi di ricerca nazionali quanto già previsto dalla Commissione Europea, ossia considerare valore aggiunto la collaborazione delle associazioni dei pazienti alla co-progettazione e gestione dei progetti – puntualizza Francesco De Lorenzo, presidente di FAVO (Federazione italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia) -. Il legislatore, pertanto, deve adeguare la normativa a quanto stabilito a livello europeo. Finora le associazioni hanno collaborato perché coinvolte dagli oncologi, che ringraziamo, ma serve una iniziativa legislativa specifica. Vanno inoltre superati i pregiudizi ancora presenti per la partecipazione agli studi clinici, che consentono di accedere, anche anni prima dell’immissione in commercio, a una terapia innovativa e contribuire alla disponibilità della cura per altri pazienti colpiti dalla stessa neoplasia».

© 2022 Fondazione Mutagens ETS. Tutti i diritti riservati.

Leggi altre notizie