Psiconcologia indispensabile contro i tumori

Il punto su questa disciplina che si occupa degli aspetti psicologici legati al cancro in occasione del recente congresso mondiale, tenutosi a Milano

La psiconcologia si è sviluppata a partire dagli anni 50 del secolo scorso negli Stati Uniti, dove oggi è diventata parte integrate del percorso di presa in carico dei pazienti oncologici, già dalla diagnosi di malattia. In Italia questa disciplina ha faticato moltissimo ad attecchire, ma ora sta prendendo gradualmente il volo. Ne è la dimostrazione la scelta di organizzare a Milano il XXIV Congresso Mondiale di psiconcologia, tenutosi di recente alla Statale e presieduto dalla professoressa Gabriella Pravettoni, con la quale abbiamo fatto il punto sui temi salienti al centro della manifestazione.

Gabriella Pravettoni

Psiconcologia in Italia

«In Italia abbiamo almeno cinque ospedali con un’expertise in ambito oncologico che li colloca tra i migliori al mondo. È stata quindi abbastanza consequenziale l’attenzione al tema della psiconcologia come branca indispensabile nel trattamento dei tumori – premette la professoressa Grabriella Pravettoni, direttore della Divisione di Psiconcologia dell’Istituto Europeo di Oncologia di Milano -. Per alcuni giorni Milano, in particolare, è diventata un po’ capoluogo di riflessione sull’importanza di questa disciplina, sebbene ad oggi in Italia i centri siano ancora pochi e non ci siano psicologi che possano dedicarsi in modo specifico a questa area tematica».

Spesso negli ospedali dove c’è una divisione di oncologia, c’è uno psicologo che però ruota su tutti i reparti e che quindi non riesce a seguire tutti i pazienti oncologici che potrebbero avere bisogno di supporto psicologico. Si calcola che i servizi di psiconcologia siano garantiti solo per un paziente su 5 nel nostro Paese e non sempre in convenzione con il sistema sanitario nazionale. Ci sono quindi delle lacune da colmare sia in termini di risorse professionali a disposizione dei reparti di oncologia sia sul fronte delle differenze regionali, ancora molto rilevanti, con una situazione a macchia di leopardo.

I temi al centro del congresso

Durante il congresso sono stati trattati moltissimi temi. Si è parlato dei protocolli e dei percorsi da mettere in atto per sostenere i pazienti nelle diverse fasi della malattia, di aderenza ai trattamenti, di sopravvivenza, di cronicizzazione del cancro, di qualità di vita e sessualità, senza dimenticare la prevenzione per rimanere sani, prendendosi cura della propria salute e lavorando sui fattori di rischio modificabili. «Per esempio, parlando delle persone con sindromi eredo-familiari di predisposizione ai tumori, ci siamo confrontati su come organizzare percorsi mirati per sostenere i sani a rischio a prendere la migliore decisione in un’ottica di prevenzione di alcune neoplasie, a partire da quelle di mammella e ovaie, che possono richiedere interventi chirurgici profilattici – riferisce Pravettoni -. Ma abbiamo parlato anche degli effetti indesiderati dei trattamenti sulla sessualità e sulle funzioni cognitive, come nel cosiddetto “chemio-brain”, su come affrontarli e cercare di superarli».

I nuovi bisogni dei pazienti cronici

Grazie alle nuove terapie e alla diagnosi precoce, oggi molti tumori sono diventati una malattia cronica. Ma l’aumento della sopravvivenza e la cronicizzazione pongono nuovi bisogni dal punto di vista psicologico. Ecco perché può essere necessario il supporto di professionisti specializzati.

«Convivere con una malattia oncologica cronica, per il paziente significa vivere tantissimi anni con una spada di Damocle sulla testa – fa notare l’esperta -. Per questo motivo si rende necessario un progetto di vita che permetta a questi pazienti cronici di vivere serenamente e non passando il tempo a pensare a quando staranno male o se staranno male. È molto importante lavorare sul contenimento dell’ansia e dell’angoscia perché se le persone stanno bene dal punto di vista psicologico, non sono depresse, continuano a lavorare per il proprio benessere con ricadute positive su tutti gli ambiti di vita e anche a livello socioeconomico. Lo stare bene riduce da una parte l’eventuale ricorso a psicofarmaci non necessari e dall’altra permette di vivere una vita normale, senza rinunciare a lavorare o a crescere i figli oppure a una vita sessuale. Come diceva Umberto Veronesi, “possiamo togliere il tumore, ma se il paziente non se lo toglie dalla testa, non vive bene”».

Antonella Sparvoli

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