Organoidi: avatar in 3D per capire e curare le metastasi al seno

L’uso di cellule in coltura in tre dimensioni può aiutare a caratterizzare i meccanismi molecolari alla base del processo metastatico e valutare l’efficacia di specifiche terapie innovative

Gli organoidi, ovvero cellule isolate da lesioni metastatiche di tumore al seno, cresciute in laboratorio in tre dimensioni e in condizioni di coltura che mimano quelle del tumore di origine, possono aiutare capire perché insorgano le metastasi e rivelarsi un prezioso sistema sperimentale su cui testare terapie innovative di precisione. Lo segnala uno studio preclinico condotto da ricercatori dell’Istituto dei tumori Regina Elena-IRE di Roma, pubblicato sulla rivista Molecular Cancer.

Tumore al seno, metastasi e organoidi

Il carcinoma della mammella rappresenta il cancro più frequente nelle donne. Purtroppo non di rado può dare origine a metastasi che però è difficile predire. Diversi gruppi di ricerca sono al lavoro per definire marcatori prognostici della malattia metastatica e caratterizzarli al fine di sviluppare valide strategie terapeutiche. E proprio in questa direzione va il nuovo studio, in cui i ricercatori italiani hanno utilizzato come modello sperimentale gli organoidi di cellule di lesioni metastatiche, che sembrerebbero offrire alcuni vantaggi come spiega Giovanni Blandino, coordinatore dello studio e direttore dell’Unità di ricerca traslazionale oncologica dell’IRE. «A differenza di altri sistemi sperimentali, come le cellule in coltura in singolo strato o gli animali di laboratorio in cui è stata trapiantata una parte di un tumore, gli organoidi sembrano mantenere le proprietà morfologiche e genetiche del tumore da cui originano. Si tratta di un notevole vantaggio per l’affidabilità della sperimentazione. Anche per questo gli organoidi possono essere per certi aspetti considerati come una sorta di avatar tridimensionale di ciascuna paziente, oltre a essere strumenti molto utili per la caratterizzazione di ciascun tumore».

La realizzazione di organoidi

Generare e sperimentare organoidi è più complesso di quanto si possa pensare, in primo luogo per la limitata disponibilità di materiale metastatico, poiché non sempre vi è l’indicazione all’intervento chirurgico come per le lesioni primarie, e poi per la mancanza di condizioni sperimentali idonee per il loro utilizzo. L’obiettivo principale del nuovo studio è stato proprio quello di determinare le condizioni di coltura ottimali per l’allestimento degli organoidi da lesioni metastatiche da tumore mammario derivate da diversi siti, quali cervello, colonna vertebrale, polmone e cute. 

Il risultato è stato reso possibile grazie all’intensa collaborazione tra tutte le unità operative dell’Istituto che ha permesso di raccogliere e conservare nella biobanca, a oggi, 40 lesioni metastatiche da tumore al seno e 140 tumori primari da cui derivare organoidi.

 «In questo studio abbiamo selezionato quattro pazienti con metastasi e mutazioni del gene PIK3CA e due con metastasi prive di mutazioni del gene PIK3CA – spiega Giovanni Blandino –. A seconda del sito metastatico di origine, abbiamo sviluppato terreni di coltura specifici per ogni lesione, che si sono rivelati funzionali per la crescita dei nostri organoidi. Tramite analisi molecolari abbiamo verificato che gli organoidi generati riproducevano fedelmente le caratteristiche principali della metastasi di origine, rappresentando quindi degli ideali modelli sperimentali con cui valutare la risposta a specifici trattamenti». 

I test con i farmaci

Dopo aver messo a punto gli organoidi, il passo successivo è stata l’impiego di farmaci specifici per vedere la reazione di questa sorta di avatar del tumore. «In particolare in seguito al trattamento degli organoidi con alpelisib, un farmaco specifico per tumore al seno con mutazioni del gene PIK3CA, vi è stata una risposta importante al farmaco, grazie a una riduzione della capacità proliferativa delle cellule, negli organoidi derivati da metastasi con mutazione del gene PIK3CA, a prescindere dal sito metastatico di origine – segnala Blandino -. Gli organoidi di lesioni metastatiche prive di mutazioni nel gene PIK3CA sono risultati, invece, insensibili al trattamento, come atteso».

I risultati ottenuti suggeriscono dunque che tali organoidi in 3D possano diventare promettenti modelli sperimentali per la messa a punto di terapie innovative e mirate, da valutare prima in laboratorio per poi essere proposte ai pazienti, in tempi anche brevi. 

© 2022 Fondazione Mutagens ETS. Tutti i diritti riservati.

Leggi altre notizie