Mastectomia preventiva controlaterale: quando è indicata?

L’intervento di rimozione del seno sano dopo che l’altro è stato colpito da un tumore è indicato solo in casi selezionati, dopo l’attenta valutazione del rapporto rischi/benefici e sempre in centri specializzati. Ne parliamo con Viviana Galimberti, direttore della Senologia chirurgica dell’IEO

Le donne che hanno già avuto un tumore al seno presentano un rischio aumentato di sviluppare la malattia anche nella mammella controlaterale. Si stima che tale rischio sia abbastanza basso, compreso tra il 2 e l’8%, quindi non tale da giustificare un intervento di mastectomia preventiva controlaterale, ovvero la rimozione del seno sano dopo che l’altro seno è stato colpito da un tumore. Nonostante ciò non poche donne, vuoi per paura vuoi per altre ragioni (talvolta anche di natura estetica), considerano sempre più spesso l’eventualità di sottoporsi alla mastectomia anche sulla mammella sana. Con l’aiuto di Viviana Galimberti, direttore di Divisione di senologia chirurgica presso Istituto Europeo di Oncologia (IEO), cerchiamo di capire quali sono i casi in cui la mastectomia profilattica controlaterale può avere senso e perché.

Viviana Galimberti

Indicazioni alla mastectomia controlaterale

La mastectomia preventiva controlaterale è una pratica che in genere viene presa in considerazione nelle donne che sviluppano un tumore al seno e risultano portatrici di mutazioni germinali in geni di suscettibilità al cancro, come i ben noti geni BRCA1 e BRCA2 (ma non solo), nelle quali il rischio di sviluppare un secondo tumore nell’altra mammella è più elevato.

«Una donna con una mutazione genetica può decidere, in contemporanea all’intervento primario sul seno già malato, di fare anche una chirurgia profilattica controlaterale – spiega Galimberti -. Questa possibilità va attentamente valutata insieme alla paziente. È infatti fondamentale che l’equipe di medici e lo psiconcologo forniscano tutte le informazioni necessarie per una decisione consapevole e ragionata. L’indicazione e la scelta dipendono innanzitutto dalla storia e dall’età della paziente in base alle caratteristiche prognostiche del tumore. Rimuovere l’altro seno non cancella la storia naturale del tumore: quando la prognosi è severa, l’aspettativa di vita della paziente non è influenzata in modo significativo dalla prevenzione di un eventuale tumore controlaterale».

I dati sulla sopravvivenza

«La maggior parte degli studi scientifici pubblicati finora indica che asportare una mammella sana in una donna con tumore mammario nell’altro seno non comporta un vantaggio in termini di sopravvivenza – spiega Galimberti -. C’è solo uno studio canadese, pubblicato nel 2014 sul British Medical Journal, che suggerisce che le donne con mutazioni BRCA, trattate per cancro al seno, in stadio I o II, con mastectomia bilaterale, ovvero rimuovendo sia il seno malato sia quello sano, hanno meno probabilità di morire di tumore al seno rispetto alle donne trattate con mastectomia unilaterale. Sicuramente in queste donne, dopo la diagnosi del primo tumore mammario, sussiste un rischio elevato di un secondo cancro al seno di tipologia diversa rispetto a quello primario».

In generale, le donne portatrici di una mutazione germinale nel gene BRCA1 o BRCA2 hanno un rischio nel corso della vita di sviluppare un cancro al seno del 60-70%, e, una volta diagnosticato un cancro al seno, hanno un rischio elevato di un secondo cancro mammario primario.

«Alcuni studi hanno inoltre dimostrato che, nelle donne con mutazioni germinali nei geni BRCA che sono state già sottoposte a una mastectomia monolaterale per la presenza di un carcinoma mammario, il rischio di avere un tumore controlaterale può essere ridotto dalla rimozione delle ovaie in giovane età» aggiunge l’esperta.

Test genetico per orientare il trattamento

Quando il tumore al seno viene diagnosticato a una ragazza giovane, a una donna sotto i 45 anni che presenta una forte familiarità o che presenta un tumore triplo negativo, andrebbe sempre proposta una consulenza genetica e la successiva esecuzione del test genetico per la ricerca di mutazioni germinali prima di arrivare all’operazione. «Se non c’è una mutazione germinale, si può pensare di fare una chirurgia conservativa. Viceversa se la donna è portatrice di alterazioni genetiche che predispongono al cancro va considerata la possibilità di fare sia la mastectomia della mammella malata sia la mastectomia preventiva controlaterale – puntualizza Viviana Galimberti-. È importantissimo programmare tutte queste azioni in anticipo e questo è uno dei motivi per cui è fondamentale essere seguite in centri specializzati, dove siano presenti le Breast unit e sia garantito un approccio multidisciplinare. Nella nostra esperienza abbiamo visto che gran parte delle donne sottoposte al test genetico prima della chirurgia, poi opta per la mastectomia del seno malato e anche di quello sano. Per molte donne l’obiettivo prioritario è quello di ridurre il rischio di rivivere l’esperienza del cancro indipendentemente dalla prognosi legata al tumore iniziale».

Mastectomia profilattica su donne sane

Se per la mastectomia profilattica controlaterale le evidenze sul fronte della sopravvivenza sono poche e incerte, non si può dire altrettanto per la mastectomia profilattica bilaterale, che oggi rappresenta un’opportunità di prevenzione importante per le donne con mutazioni germinali associate a un rischio elevato di tumore al seno. In queste donne le possibilità di ammalarsi possono infatti arrivare fino al 70 per cento e sono legate soprattutto alla presenza di mutazioni germinali patogenetiche nei geni BRCA1 e BRCA2, ma ce ne sono anche altri come PTEN, CDH1, STK11 e PALB2. Il rischio di sviluppare un carcinoma mammario è inoltre elevato anche nelle donne che sono state sottoposte a un trattamento radioterapico sul torace prima dei 30 anni (per esempio pazienti giovani trattate per un linfoma). «A tutte queste donne può essere proposta la mastectomia profilattica bilaterale che è associata a un rischio ridotto del 90% o più di cancro al seno con un rischio residuo dall’1 al 2%. In alternativa si può valutare la cosiddetta sorveglianza attiva. In questo secondo caso il rischio di cancro rimane, ma aumenta la possibilità di individuare il tumore quando è ancora in fase precoce, quindi trattabile. In ogni caso la scelta di un approccio piuttosto che l’altro va fatta tenendo in considerazione il rischio della singola paziente. È quindi fondamentale una valutazione del rischio personalizzata che può essere fatta dal genetista sulla base di diversi fattori, a partire dai geni mutati e dalla storia familiare di cancro» conclude Galimberti.

Antonella Sparvoli

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