Lotta al cancro: nuove prospettive con la profilazione estesa

Con una più approfondita analisi genomica della neoplasia, discussa all’interno di un gruppo multidisciplinare, si possono scegliere terapie più efficaci, indirizzare i malati verso altri studi clinici e favorire la prevenzione per l’intera famiglia

Sono sempre più numerose le evidenze dei potenziali vantaggi di eseguire una più ampia profilazione genomica del tessuto tumorale. Lo ribadiscono i dati preliminari di uno studio italiano, presentato di recente al Congresso dell’European Society of Medical Oncology (ESMO), in cui l’uso di un solo test, in grado di ricercare e analizzare 324 mutazioni sul tessuto tumorale, ha permesso di ottenere vantaggi diretti per circa 4 pazienti su 10 grazie all’analisi del profilo emerso, discusso all’interno di uno specifico Molecular tumor board (MTB). Lo studio, denominato Rome Trial, è stato promosso dall’Istituto Superiore di Sanità, dall’Università La Sapienza di Roma e dalla Fondazione per Medicina Personalizzata, e ha visto il coinvolgimento di ben 41 centri di eccellenza in tutta Italia. Ne parliamo con Paolo Marchetti, direttore scientifico dell’IDI di Roma, ordinario di Oncologia all’Università La Sapienza di Roma e presidente della Fondazione per la medicina personalizzata (FMP).

Paolo Marchetti

Dal modello istologico a quello mutazionale

«Il Rome trial è uno studio clinico che si integra perfettamente in quelli che sono i pilastri principali dell’oncologia di precisione – premette Marchetti -. Il primo pilastro fondamentale è quello convenzionale, ovvero il modello istologico, nel quale vengono effettuate delle valutazioni morfologiche sul tessuto, poi integrate dalla ricerca di fattori predittivi di risposta (ovvero specifiche alterazioni genetiche che predicono la risposta a terapie mirate). Il secondo pilastro, inserito alcuni anni fa, è quello agnostico, indipendente dal tessuto: quindi se, per esempio, un individuo presenta un tumore con instabilità dei microsatelliti, indipendentemente dalla sede della neoplasia che ha questa alterazione, è possibile ricorrere all’immunoterapia. Entrambi questi modelli si basano su un presupposto fondamentale, ovvero si basano sui risultati di studi clinici che dimostrano che quella determinata alterazione del genoma consente di usare uno specifico farmaco a cui segue un vantaggio terapeutico per il paziente. Tutto ciò non ha nulla a che fare con il terzo pilastro, cioè il modello mutazionale. Nell’ambito del modello mutazionale vengono valutate molte più mutazioni, con lo scopo non solo di individuare un maggior numero di possibili bersagli terapeutici da utilizzare nella cura del paziente, ma anche e soprattutto per capire se si sono instaurati meccanismi di resistenza che possono vanificare la risposta a un determinato tipo di trattamento. Motivo per cui diviene particolarmente importante discutere questi risultati nell’ambito di un MTB, come è stato fatto nel Rome Trial».

Lo studio Rome

Nel Rome trial sono stati inseriti quasi 1200 pazienti affetti da diversi i tipi di neoplasie in fase metastatica, che avevano già ricevuto non più di due (a seconda del tipo di neoplasia) linee di trattamento convenzionale. I pazienti sono stati sottoposti a una biopsia tissutale e ad una biopsia liquida (cioè un prelievo di sangue) al momento dell’arruolamento su cui eseguire il test genomico per la profilazione estesa.

«L’obiettivo principale dello studio era quello di dimostrare che una profilazione estesa, discussa nell’ambito di un MTB, consente, grazie alla contaminazione dei saperi dei diversi specialisti coinvolti, di fornire al medico curante di quel paziente informazioni sulla possibile utilizzazione di farmaci specifici che dovrebbero essere più efficaci – spiega Marchetti -. I dati raccolti finora dimostrano la validità della valutazione multidisciplinare di profilazioni molecolari estese. Ancora non abbiamo i risultati di efficacia che dovrebbero essere disponibili nella primavera del prossimo anno».

L’identificazione di alterazioni germinali e le ricadute sui familiari

Il primo dato importante emerso dallo studio è che la discussione multidisciplinare ha consentito di identificare nel 33% dei pazienti un bersaglio molecolare potenzialmente utile ai fini terapeutici. «In questi pazienti sono state trovate mutazioni suscettibili al trattamento con farmaci registrati per altre indicazioni o non in commercio, che abbiamo potuto utilizzare grazie alla collaborazione con le aziende farmaceutiche» puntualizza Marchetti.

Non solo, in circa il 12% dei pazienti è stato possibile individuare una mutazione nel tumore spia di una possibile alterazione germinale. La successiva consulenza oncogenetica e l’esecuzione di test genetici sul sangue ha confermato, nel 90% di questo sottogruppo di pazienti, l’effettiva presenza di un’alterazione germinale. «L’individuazione di alterazioni genetiche germinali, che possono essere ereditate e passare di generazione in generazione, apre un ombrello protettivo che coinvolge tutta la famiglia con screening a cascata sui diversi membri del nucleo familiare e l’avvio di programmi di prevenzione. Dato tanto più importante se si considera che in altre circostanze quello stesso paziente non avrebbe mai scoperto di avere una sindrome ereditaria non rientrando nelle categorie a rischio secondo i criteri standard» segnala l’esperto.

Le implicazioni sulla terapia

Grazie alla valutazione da parte del MTB circa il 12% dei pazienti ha avuto la possibilità di accedere ad altri studi clinici presenti nel nostro Paese, mentre un altro 15% dei pazienti ha avuto l’opportunità di modificare il trattamento chemioterapico standard proposto dal centro in cui era seguito il paziente. La profilazione estesa ha infatti identificato mutazioni che determinavano una maggiore sensibilità a un trattamento diverso oppure l’instaurarsi di meccanismi di resistenza alla terapia. «In questo modo è stato possibile indirizzare la terapia verso un bersaglio molecolare. Rispetto agli studi precedenti in cui la terapia a bersaglio molecolare era stabilita in base al protocollo per cui la presenza di una determinata mutazione orientava verso un determinato farmaco, la valutazione multidisciplinare, in base a quella mutazione e alle altre mutazioni che il tumore ha sviluppato, ci ha permesso di orientare in modo più mirato la terapia. Ecco perché è importante avere una profilazione estesa su tanti geni e non solo utilizzare pannelli di pochi geni che ci consentono di usare solamente farmaci che già conosciamo come nei modelli istologico e agnostico. Con il modello mutazionale, e quindi con la profilazione genomica estesa, almeno il 40% dei pazienti ha potuto avere opportunità terapeutiche aggiuntive».

Il nuovo progetto Beyond the Rome Trial

Gli incoraggianti dati raccolti finora nel Rome Trial hanno aperto la strada a un nuovo progetto di studio, denominato Beyond the Rome Trial, che prevede il coinvolgimento della rete dei 41 centri di eccellenza (già aderenti al Rome Trial) e di 11 MTB di rilevanza nazionale, che utilizzeranno una stessa piattaforma di discussione e raccolta dati, realizzata dal CINECA insieme all’Università La Sapienza.

«Stiamo proponendo alle aziende del farmaco, a quelle impegnate nella di profilazione genomica e alla collettività scientifica, di estendere la profilazione estesa a un numero maggiore di pazienti, con un numero maggiore di farmaci. L’idea è di coinvolgere gli stessi pazienti del Rome trial più altri 4000 pazienti con le stesse caratteristiche. Questo nuovo studio vorrebbe rappresentare una risposta alla necessità di regolare l’accesso a terapie a bersaglio molecolare, di cui non abbiamo ancora informazioni in singole tipologie di tumore. Non è sufficiente effettuare un test genomico per pensare di trattare i pazienti al di fuori di un percorso controllato e condiviso. Evitare trattamenti improvvisati e promuovere la conoscenza in questo settore della oncologia mutazionale rappresenta la sfida che stiamo conducendo insieme a prestigiose Istituzioni» conclude Marchetti.

Antonella Sparvoli

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