La storia di Emanuele che lotta contro la sindrome di Cowden

Tante disavventure fin da piccolo che, anche se con estremo ritardo, hanno condotto alla diagnosi di questa condizione ereditaria di predisposizione al cancro. L’auspicio che il suo racconto possa essere d’aiuto ad altri e dare speranza a chi combatte contro la malattia

Sin da piccolo Emanuele Scrivano, oggi 29 anni compiuti da poco, ha dovuto affrontare diverse sfide, prima contro una patologia congenita, nota come sindrome di Arnold Chiari 1, e poi con la sindrome di Cowden, una rara condizione ereditaria di predisposizione allo sviluppo di tumori. Nonostante queste prove, che lo hanno costretto a ripetuti ricoveri fin dalla più tenera età, a interventi chirurgici e oggi a continui controlli, Emanuele non ha perso l’ottimismo che lo contraddistingue e la voglia di una vita piena e avventurosa, tant’è che sta per imbarcarsi come musicista su una nave da crociera.

Anche nei momenti più difficili, Emanuele non ha mai perso la speranza e ora ha deciso di condividere con noi la sua storia, sperando che possa aiutare chi, come lui, si trova a lottare contro la malattia.

Emanuele Scrivano

La scoperta della sindrome di Chiari

«Sono nato nel 1995 a Norcia, un paesino dell’Umbria. Sin da subito c’era qualcosa che non andava, sembrava che io avessi una sorta di idrocefalia – racconta Emanuele -. Dopo varie peripezie, i miei genitori mi portarono al Gemelli di Roma dove mi fu diagnostica la sindrome di Chiari di tipo 1. Questa condizione va monitorata con ripetute risonanze magnetiche che, in un bimbo piccolo (la prima volta avevo circa un anno), devono essere fatte in anestesia totale, causando non poca apprensione nei miei genitori, anche perché una volta faticai a risvegliarmi».

La sindrome di Chiari è una malformazione del sistema nervoso che comporta la discesa della parte bassa del cervelletto, le cosiddette tonsille cerebellari, nel canale vertebrale. Quando lo “scivolamento” delle tonsille cerebellari al di sotto del passaggio craniovertebrale supera il limite dei cinque millimetri vi può essere un ostacolo della circolazione del liquido cerebrospinale che avvolge cervello e midollo spinale con diverse conseguenze.

Dal tumore alla tiroide alla diagnosi della sindrome di Cowden

La seconda prova che si trova ad affrontare Emanuele, a soli 16 anni, è la scoperta di un tumore della tiroide che viene trattato asportando completamente questa ghiandola.

«Dopo circa un anno dall’intervento però succede un’altra cosa: dalla mattina alla sera compaiono sul mio corpo due protuberanze anomale, una sul collo e l’altra sulla schiena. Quando le ho viste mi sono davvero spaventato, ma io e i miei genitori non abbiamo perso tempo. Abbiamo contatto vari specialisti per poi approdare a Cremona, nelle mani dall’angiologo francese Claude Franceschi».

Le due protuberanze si rivelano essere malformazioni arterovenose che non richiedono un intervento immediato, ma solo di essere monitorate. Anche perché l’intervento chirurgico è complesso, soprattutto per la malformazione sul collo che tocca la giugulare.

«Nel frattempo mi trasferisco a Milano per studiare al Conservatorio e inizio una nuova vita, ma poi arriva il momento di intervenire sulla malformazione alla giugulare. Entro in contatto con diversi specialisti, ma quelli che mi ispirano più fiducia sono dottor Mohammed Hamam, responsabile del reparto di Neuradiologia interventistica dell’Ospedale di Perugia, a cui poi mi sono affidato, e il professor Claude Laurian di Parigi, con cui ho avuto un rapporto solo epistolare, ma non smetterò mai di ringraziare perché, vedendo la mia storia medica, ha ipotizzato la sindrome di Cowden e mi ha indirizzato al test genetico, risultato positivo» riferisce Emanuele.

La sindrome di Cowden

Seguendo le indicazioni del professor Claude Laurian, Emanuele scopre dunque a 25 anni di avere la sindrome di Cowden e che gran parte dei problemi che ha avuto e con cui fa ancora i conti sono legati a questa rara condizione ereditaria.

La sindrome di Cowden è una condizione, nel caso di Emanuele legata a una mutazione del gene PTEN, che causa la formazione di amartomi (lesioni simil-tumorali di natura benigna che riuniscono in sé elementi di varia origine embrionale) in tutto il corpo e comporta un rischio aumentato di sviluppare alcuni tipi di cancro, tra cui quello della tiroide, che Emanuele ha avuto a soli 16 anni.

«Purtroppo, la sindrome di Cowden si è manifestata anche con la malattia di Lhhermitte-Duclos, un tumore benigno del cervelletto, molto raro, che ho scoperto dopo aver effettuato due Tac all’Istituto neurologico Besta di Milano e che oggi tengo sotto controllo facendo una risonanza magnetica con mezzo di contrasto una volta l’anno» spiega Emanuele.

L’intervento chirurgico

«Finora ho eseguito ben quattro interventi per la malformazione alla giugulare che stava mettendo in pericolo il cuore. Sono stato seguito passo dopo passo dal dottor Hamam e dalla sua equipe all’Ospedale di Perugia, che è diventato la mia seconda casa anche per l’affetto e l’attenzione che i medici e tutto il personale del reparto di otorinolaringoiatria hanno sempre avuto nei miei confronti».

In futuro, Emanuele dovrà fare altri interventi sia per la malformazione al collo sia per quella alla schiena, che è risultata anch’essa collegata al cuore. Inoltre, ha intrapreso un percorso di sorveglianza all’Istituto europeo di oncologia (IEO) di Milano, dove, come altri soggetti ad alto rischio di tumori eredo-familiari, effettua periodici controlli dermatologici e gastroenterologici per consentire l’intercettazione precoce di altri possibili tumori associati alla sindrome.

L’incontro con Fondazione Mutagens

«Quando ho scoperto di avere la sindrome di Cowden, ho cercato di entrare in contatto con altri pazienti. Inizialmente ho conosciuto Nadia che mi ha fatto da guida e conoscere Fondazione Mutagens – racconta Emanuele -. Esiste una chat su WhatsApp, creata da Salvo Testa, il presidente della Fondazione, in cui noi “rari” ci confrontiamo. Siamo diventati una piccola famiglia, ci facciamo forza a vicenda. Inoltre grazie alla chat c’è la possibilità di avere un confronto immediato e il supporto di persone che capiscono benissimo come ti senti. Nella solitudine della malattia è bello vedere che non sei solo, che qualcuno può aiutarti a muovere i passi giusti per arrivare a fine percorso».

Oggi Emanuele non vede l’ora di iniziare la nuova avventura per mare, focalizzato non sulla malattia ma sulla vita e le esperienze fuori che lo aspettano e che lui è pronto a cogliere.

Antonella Sparvoli

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