La necessità di una visione d’insieme su tumori rari, sindromi ereditarie rare e rarissime

Un tumore si definisce raro quando colpisce annualmente meno di 6 persone su 100.000, cioè con un’incidenza inferiore ai 3.600 casi all’anno in Italia, dove si contano 395.000 nuovi casi totali su una popolazione di 60 milioni di persone. Questa definizione è il risultato di un ampio consenso europeo tra esperti, raggiunto nell’ambito del progetto RARECARE e della JARC, la Joint Action europea dedicata ai tumori rari. La definizione di tumori rari, come quella di malattie rare, si riferisce all’intera popolazione europea, in modo da favorire un coordinamento tra i paesi membri sulle politiche sanitarie e ridurre le disparità di accesso dei cittadini europei alle prestazioni. I tumori rari si suddividono in quattro classi diverse, cui fanno capo i seguenti ERN, le reti europee di coordinamento tra i più qualificati centri di ricerca e di cura in ambito oncologico:

  • EURACAN, tumori solidi nell’adulto
  • EUROBLOODNET, tumori ematologici 
  • PEDECAN, tumori pediatrici
  • GENTURIS, sindromi associate ai tumori ereditari

I tumori rari costituiscono una questione di grande rilevanza, scarsamente conosciuta ai non addetti ai lavori: pur essendo poco comuni singolarmente, nel loro insieme costituiscono il 20-25% dei casi annui totali, cioè quanto la somma dei due principali tumori più frequenti per incidenza e mortalità (mammella e colon-retto). Il numero totale delle persone colpite da tumori rari è molto elevato nel suo insieme, dal momento che ne esistono oltre 200 tipi diversi, anche se naturalmente i numeri dei singoli tipi sono più piccoli. Ciò si traduce in circa 100.000 nuove diagnosi ogni anno, con una prevalenza di 1.000.000 di persone che oggi convivono con una di queste patologie. 

I tumori rari comportano alcune difficoltà particolari rispetto a quelli più comuni. Le competenze cliniche non sono distribuite in modo omogeneo sul territorio e sono concentrate in pochi centri dispersi geograficamente. Almeno l’80% dei tumori rari ha una base genetica, per cui il loro trattamento richiede approcci e team multidisciplinari altamente specializzati. La conseguenza, per i pazienti che ne sono affetti, è un’elevata migrazione sanitaria, alla ricerca continua degli specialisti migliori, sia per la diagnosi iniziale della malattia, sia per i diversi interventi, i follow-up e i controlli necessari sui diversi organi coinvolti. Tale situazione causa anche prestazioni improprie da parte dei centri non specializzati, con ripercussioni sui costi sanitari. In sintesi, i tumori rari comportano una forte carenza nella diagnosi e nella presa in carico dei pazienti, un eccesso di costi sanitari da prestazioni improprie e alti costi sociali da migrazione sanitaria: la tempesta perfetta.

Per tale motivo la collaborazione tra strutture ospedaliere e tra specialisti, anche al di fuori della regione di appartenenza, è vitale nell’assistenza a questi pazienti. Date le minori conoscenze scientifiche e cliniche rispetto ai tumori più comuni, la collaborazione consente di migliorare la ricerca, grazie all’analisi di una casistica maggiore che non sarebbe possibile con una limitazione su base solo ospedaliera o territoriale. Il ritardo nelle conoscenze è dovuto anche al minore interesse delle aziende farmaceutiche verso tali patologie, motivato da ragioni strettamente economiche: in tale ambito patologico così frammentato gli elevati costi necessari per la ricerca e lo sviluppo di nuovi farmaci difficilmente possono essere compensati dai futuri ricavi e profitti, vista la limitatezza dei pazienti per ogni specifico tumore e nonostante la normativa sui “farmaci orfani” preveda degli incentivi alle aziende per la loro registrazione.

In Italia la Rete Nazionale Tumori Rari (RNTR) costituita per legge nel 2017, prevede un coordinamento in capo ad AGENAS (Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali) che agisce a due livelli:

  • un collegamento con le Reti Oncologiche Regionali, non solo per la condivisione degli obiettivi (in relazione alle specifiche linee-guida), ma anche per consulti tramite l’utilizzo della telemedicina per garantire un alto livello di informazione appropriata, facilitare lo scambio di competenze specializzate e contenere la mobilità sanitaria;
  • un collegamento con gli ERN Europei. Spetta infatti alla Rete Nazionale dei Tumori Rari creare un modello organizzativo e dare impulso e qualità all’assistenza clinica e alla ricerca per tutte le famiglie di tumori rari inclusi nelle Reti Europee di Riferimento (ERN Tumori Rari). 

All’interno del coordinamento della RNTR di recente è stato costituito un nuovo Gruppo di Lavoro, con l’obiettivo di condividere e aggiornare i PDTA Regionali e Ospedalieri (Percorsi Diagnostici Terapeutici e Assistenziali) attualmente in essere per ciascuna famiglia di tumori rari, il cui esito sarà la produzione di un documento finale da divulgare alle Regioni/PA per la relativa applicazione presso i centri ospedalieri che compongono la Rete, al fine di armonizzare la presa in carico dei pazienti, facilitare la collaborazione e ottimizzare le risorse sanitarie sull’intero territorio nazionale.

Anche i tumori ereditari, causati da sindromi di predisposizione geneticai, rientrano a pieno titolo nei tumori rari, come peraltro confermato dalla presenza, tra gli ERN europei, dell’ERN GENTURIS, in cui sono rappresentate tutte le sindromi ereditarie: dalle più frequenti (HBOC, LYNCH) alle meno frequenti e note (FAP-APC, MUTYH, Li Fraumeni-TP53, Cowden-PTEN, HDGC-CDH1, VHL, Peutz-Jeghers-STK11, MITF, Melanoma Familiare, NF1-NF2, MEN1-MEN2A, ecc.), che nel loro insieme sono circa una cinquantina, con oltre 100 geni di suscettibilità al cancro, e coinvolgono decine di organi diversi. Anche all’interno della sindrome ereditaria più diffusa, quella del cancro alla mammella, all’ovaio, alla prostata e al pancreas (HBOC), sono diversi i geni responsabili, dai più noti BRCA1-BRCA2 ad altri geni della ricombinazione omologa (HR), come PALB2, CHECK2, RAD51C, RAD51D, ATM, BARD1, BRIP1, per i quali ci sono ancora notevoli difficoltà anche solo a livello di diagnosi, per il carente utilizzo di test multigene completi. Anche all’interno del tumore più diffuso, quello della mammella (circa 56.000 nuovi casi/anno), abbiamo dei tumori ereditari rari, come quelli associati a BRCA1-BRCA2 (circa il 6% del totale, cioè poco più di 3.300 casi) e tumori ereditari rarissimi, cioè tutti quelli associati agli altri geni della ricombinazione omologa e ad altri geni meno noti (TP53, PTEN, ecc.). Nei tumori dell’ovaio (6.000 nuovi casi/anno), dove la incidenza di quelli ereditari è la maggiore tra tutti gli organi coinvolti (fino al 20% del totale), la quota relativa alle varianti patogenetiche BRCA1-BRCA2 è del 15%, cioè meno di 1.000 casi. Il rimanente 5% si distribuisce su altre sindromi rarissime, associate ad altri geni della ricombinazione omologa e del mismatch repair (Sindrome di Lynch). In altre due classi di tumori abbastanza diffusi (colon-retto con 50.500 casi/anno e prostata con 41.100 casi/anno) l’incidenza di quelli ereditari è inferiore ai 3.600 casi (soglia massima dei tumori rari), essendo pari rispettivamente al 6% (di cui il 3% a carico della sindrome di Lynch per il colon e il 4% a carico di BRCA per la prostata).

Nel nostro Paese, a causa della regionalizzazione della sanità, purtroppo i tumori ereditari, sia quelli rari (BRCA e LYNCH) sia quelli rarissimi (tutti gli altri), non hanno ancora beneficiato di un inquadramento normativo e clinico complessivo omogeneo, per la presenza frammentata e non omogenea dei PDTA Alto Rischio nelle varie regioni e l’assenza nei LEA nazionali delle prestazioni previste dalle linee guida internazionali e da quelle nazionali (prossime alla pubblicazione, per il momento solo per la sindrome HBOC-BRCA). Un’altra lacuna, che grava fortemente sulle spalle dei soggetti portatori sani ad alto rischio di malattia, è quella relativa alla esenzione del pagamento del ticket per gli esami e i controlli specialistici necessari alla sorveglianza attiva, finalizzati alla diagnosi precoce. Per il BRCA ad oggi solo la metà delle regioni la prevedono, diversamente dai portatori della sindrome di Lynch che, essendo stata inserita tra le “malattie rare”, beneficiano di una esenzione nazionale, indipendentemente dalla regione di appartenenza. Altre sindromi rarissime e gravi per gli organi coinvolti e la severità delle malattie, come Li Fraumeni, HDGC-CDH1, MITF, ecc.), non hanno ancora ottenuto l’esenzione, né a livello regionale né a livello nazionale. Si stima che mediamente i portatori sani di sindromi ereditarie spendano, per il solo ticket, oltre 500-600 euro l’anno per sottoporsi ai controlli necessari, senza ovviamente considerare gli altri costi indotti, spesso inevitabili: visite ed esami in regime privato per assicurarsi le tempistiche previste dai protocolli, spese di trasferta e alloggio personali e dei care giver per raggiungere strutture ospedaliere fuori regione. Ancora una volta sono proprio i portatori delle sindromi ereditarie “rarissime” a subire le maggiori conseguenze, non solo per la oggettiva maggiore difficoltà di accesso alle cure necessarie ma anche per la maggiore mobilità cui sono costretti a causa della rarefazione delle strutture ospedaliere specializzate e dello scarso coordinamento tra loro.

Dalla sua nascita la Fondazione Mutagens ha voluto occuparsi di tutte le sindromi ereditarie, senza alcuna distinzione tra “rare e rarissime”, in quanto tutte hanno in comune un elemento specifico: la trasmissione ereditaria della alterazione genetica all’interno delle famiglie e quindi la necessità di una presa in carico sia degli individui sia delle famiglie di appartenenza, dei soggetti già affetti e di quelli sani a rischio di malattia. Certamente nelle sindromi più frequenti, data la presenza sul territorio di una popolazione relativamente ampia, è necessario arrivare a garantire una presa in carico di qualità e tempestiva in ogni regione e in modo diffuso sul territorio, grazie ad un coordinamento tra le strutture (modello Hub & Spoke), che riduca la mobilità, ottimizzi le risorse sanitarie, riduca gli sprechi e i costi e disagi per i pazienti. Tale esigenza di coordinamento, anche su scala nazionale, è ancora più necessaria nelle sindromi più rare, che sono peraltro la maggior parte di quelle ereditarie, con dati di incidenza dei tumori che probabilmente ad oggi sono ampiamente sottostimati.

Per tale motivo l’azione di advocacy della Fondazione si muove in parallelo su tutte le sindromi ereditarie, con la convinzione che quelle più rare possano nel tempo trarre beneficio dalla messa a regime di quelle più frequenti, almeno per quanto attiene gli aspetti organizzativi, di gestione e di collaborazione tra istituzioni sanitarie (nazionali e regionali), strutture ospedaliere (IRCCS, Aziende Ospedaliere Universitarie, Aziende Ospedaliere di territorio), società scientifiche, associazioni di pazienti. La Fondazione Mutagens è stata chiamata a far parte anche nel GdL AGENAS sui PDTA dei Tumori Rari, all’interno del quale abbiamo richiesto ed ottenuto la creazione di uno specifico sottogruppo per tutte le sindromi ereditarie, proprio per poter facilitare la attuazione di una “visione d’insieme”, che consenta di affrontare in modo organico e sistematico le necessità e per dare le risposte necessarie a tutte le persone e famiglie ad alto rischio genetico.

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