Integrazione tra test genetici costitutivi e somatici

L’importanza di definire le caratteristiche genetiche del tumore con il duplice fine terapeutico e di identificare i soggetti portatori di sindromi tumorali ereditarie

I tumori hanno origine da cellule che hanno accumulato mutazioni in geni che ne regolano la proliferazione e la sopravvivenza attraverso diversi meccanismi. Proprio per questo motivo, conoscere la genetica di un tumore e come questa cambia nel tempo può essere di grande aiuto per curarlo in modo mirato. Oggi i test genetici somatici attraverso biopsia liquida NGS su DNA tumorale circolante (cfDNA o cell-free DNA) su plasma offre sempre più questa possibilità. Il suo utilizzo può rivelarsi particolarmente importante nei pazienti con malattia metastatica che richiedono un monitoraggio continuo e una modifica del trattamento. Ma per avere un’informazione completa occorrerebbe anche capire se alla base della neoplasia ci siano mutazioni germinali in geni di suscettibilità al cancro. L’integrazione tra test genetici costitutivi per la ricerca di mutazioni germinali (NGS su sangue) e test genetici somatici (biopsia liquida NGS cfDNA su plasma) può dare un’immagine più rappresentativa del tumore per guidare decisioni terapeutiche personalizzate. Approfondiamo l’argomento con Alessandra Renieri, professore ordinario di Genetica medica all’Università di Siena e direttrice della Unità operativa complessa di Genetica medica dell’Azienda ospedaliero universitaria senese.

Alessandra Renieri

Dalla biopsia tissutale alla biopsia liquida

Tradizionalmente, la diagnosi e la caratterizzazione di un tumore si basano su biopsie tissutali, che prevedono la rimozione di un campione di tessuto tumorale e la sua successiva analisi morfologica e, più di recente, anche mutazionale. Le biopsie tissutali potrebbero però non cogliere l’eterogeneità del tumore, che può cambiare ed evolversi nel tempo in risposta a interventi medici o stimoli esterni. Esiste pertanto un bisogno insoddisfatto di metodi alternativi per diagnosticare e monitorare il cancro che siano meno invasivi, più convenienti, più rappresentativi e più informativi. «La biopsia liquida NGS cfDNA sta emergendo come una tecnica promettente per rispondere a questa esigenza, a maggior ragione nei casi in cui vi sia una recidiva a distanza di anni o qualora il tumore sia diagnosticato in fase avanzata – osserva Renieri -. La biopsia liquida può infatti dare un’idea più precisa delle alterazioni genetiche che caratterizzano il tumore in quello specifico momento e, se la si abbina ai test genetici costitutivi della linea germinale, per evidenziare eventuali mutazioni ereditarie in geni di suscettibilità, si può avere un quadro più completo della malattia, fondamentale per un trattamento personalizzato».

Il team
Da sinistra la prof.ssa Francesca Ariani (biologa), la prof.ssa Alessandra Renieri, la dottoranda Simona Innamorato e la dott.ssa Mirella Bruttini (biologa)

Le basi genetiche del tumore

Oggi non conosciamo ancora con esattezza quale sia la proporzione, tra tutti i tumori, di quelli che hanno alla base una suscettibilità genetica. I diversi studi presenti nella letteratura scientifica segnalano percentuali diverse che vanno dal 5 al 10-15% di tutte le neoplasie, ma molti ipotizzano che la quota di tumori con una suscettibilità genetica di vario grado sia superiore.

«Quando si deve trattare un paziente, sarebbe opportuno che si considerassero sia le mutazioni che sono alla base di un’eventuale suscettibilità genetica al cancro sia le mutazioni clonali che in quel momento caratterizzano la neoplasia – fa notare l’esperta -. Per avere un quadro completo sarebbe dunque utile eseguire innanzitutto un sequenziamento dei geni di suscettibilità. A questo scopo si possono usare pannelli virtuali, costruiti al momento e quindi aggiornati all’ultimo dato scientifico. In pratica anziché usare un pannello commerciale (che quando viene messo in commercio è già vecchio perché non contiene i nuovi geni scoperti nel frattempo) si fa la sequenza di tutti i geni (esoma ovvero la parte del genoma di una cellula che include tutti i geni espressi) e si analizzano solo quelli associati a una predisposizione, più o meno forte, al cancro».

Mutazioni clonali del tumore

Per identificare le mutazioni clonali, ovvero le mutazioni che sono sopravvenute in due o più cellule del tumore che hanno dato origine a un gruppo di cellule identiche (clone) con la stessa mutazione, la scelta del tipo di indagine dipende dalla fase in cui si trova la malattia. «Nella fase iniziale, come già accennato, è fondamentale la biopsia tradizionale del tessuto neoplastico, mentre quando il tumore viene scoperto in una fase più avanzata o il paziente sviluppa un’altra neoplasia potrebbe essere utile ricorrere ai test genetici somatici attraverso biopsia liquida NGS cfDNA, che ci può dare un’idea delle mutazioni policlonali – spiega Renieri -. Per capire perché il tumore recidiva o perché la terapia non funziona si seleziona il clone che è resistente al trattamento e si vede che la sua genetica è abbastanza diversa da quella iniziale».

Il caso del tumore al pancreas

«Esistono tumori che evolvono con grande velocità, come quello del pancreas, in cui i test genetici somatici con biopsia liquida NGS cfDNA sarebbero indicati sin dall’inizio così come il test costitutivo germinale, mentre la maggior parte dei pazienti viene in sottoposta a una o all’altra indagine» segnala l’esperta.

Per capire perché l’esecuzione di entrambi gli esami potrebbe aiutare a personalizzare il trattamento si può prendere a esempio il caso dei farmaci PARP inibitori, oggi sempre più utilizzati in presenza di mutazioni germinali o somatiche nei geni BRCA1 e 2. «I PARP inibitori non funzionano nel 100% dei casi. Verosimilmente la loro efficacia è legata alla copresenza di mutazioni clonali nei geni BRCA o comunque in geni coinvolti nella riparazione del DNA che rispondano agli stessi inibitori – spiega la professoressa Renieri -. Ma se il tumore ha sviluppato nuove mutazioni clonali nell’ambito di geni che non rispondono ai PARP inibitori, ecco allora spiegato il loro mancato funzionamento e da qui la necessità di orientarsi sull’aggiunta di un altro farmaco mirato sulla mutazione clonale individuata».

Antonella Sparvoli

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