Impatto delle sindromi ereditarie sulla programmazione della genitorialità

Una consulenza sulla fertilità personalizzata è molto importante per donne ad alto rischio di sviluppare tumori. La crioconservazione degli ovociti, in particolare, può rappresentare un’opzione da considerare per una futura gravidanza

Quello della programmazione della genitorialità è un tema critico e delicato per chi presenta una sindrome ereditaria di predisposizione ai tumori. Il rischio di avere un tumore in giovane età, con il bisogno di terapie che possono avere ricadute negative sulla fertilità, così come la necessità, in alcuni casi, di sottoporsi a interventi profilattici di riduzione del rischio (ovariectomia, annessiectomia, isterectomia, mastectomia), possono compromettere la possibilità di avere dei figli. Proprio per questi motivi una consulenza personalizzata e precoce sulla genitorialità e sulla preservazione della fertilità può rivelarsi davvero importante. Ne parliamo con Valeria Stella Vanni, ginecologa dell’Ambulatorio per l’oncofertilità dell’Ospedale San Raffaele IRCCS di Milano.

Genitorialità e sindrome ereditarie

«Oggi per avere una chance del 90% di avere tre figli una coppia dovrebbe iniziare a procreare entro i 32 anni, considerando come fascia di sicurezza quella tra i 28 e i 32 anni, e prima dei 35 anni qualora desiderasse avere solo un bambino, pena una riduzione delle possibilità di concepire con successo – premette Valeria Vanni -. Tutte le coppie dovrebbero avere questa consapevolezza, ma ancora di più quelle portatrici di mutazioni germinali associate a un rischio maggiore di sviluppare tumori». Una consulenza personalizzata in questi casi potrebbe quindi fare la differenza, consentendo di integrare gli aspetti della “prevenzione” per la salute della donna, e in generale della coppia, con quelli inerenti il desiderio di procreare in modo consapevole.

«Il “family planning” deve far parte della “sicurezza” precoce per le donne con sindromi ereditarie che predispongono ai tumori, per le quali può rivelarsi particolarmente utile essere informate su tempistiche e chance di concepimento. Altrettanto importante è metterle a conoscenza della possibilità di crioconservare gli ovociti per la preservazione della fertilità» aggiunge la ginecologa.

Crioconservazione degli ovociti    

Quando si parla di crioconservazione degli ovociti di solito si pensa a persone che hanno appena ricevuto una diagnosi di cancro. Tuttavia, questa questione ha grande rilevanza anche per i soggetti sani ad alto rischio di malattia, nell’ottica di intraprendere un percorso per la preservazione della fertilità prima dell’eventuale sviluppo della neoplasia.

«La preservazione della fertilità nell’uomo è più semplice perché è sufficiente congelare il liquido seminale. La procedura nella donna è invece in più fasi. In un primo momento la paziente deve sottoporsi alla stimolazione ormonale per far crescere più follicoli. Quando questi sono giunti a maturazione, occorre prelevarli per via transvaginale e quindi prepararli per il congelamento. La metodica è sicura, ma c’è il problema dei costi – fa notare Vanni -. Se le pazienti con diagnosi di tumore hanno diritto alla preservazione della fertilità con la copertura dei costi da parte del sistema sanitario, quelle sane ad alto rischio devono pagare di tasca propria. Però le cose potrebbero cambiare, almeno questo è quello che ci auguriamo. Per esempio, in Francia, da quest’anno, la crioconservazione è mutuabile per tutte le donne tra i 29 e 37 anni. Il governo d’Oltralpe preferisce impiegare le proprie risorse per dare a tutte le donne la possibilità di preservare la fertilità piuttosto che dover sostenere futuri costi maggiori per quelle donne, sempre più numerose, che si troveranno a dover ricorrere alla fecondazione assistita in età più avanzata».

Fecondazione assistita e diagnosi preimpianto

Le procedure di fecondazione in vitro consentono di identificare gli embrioni che portano o meno le varianti patogenetiche dei genitori e di trasferire solo quelli che ne sono privi. «Una donna mutata che abbia crioconservato i suoi ovociti per una gravidanza futura, nel momento in cui decidesse di ricorrere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita (PMA), ha la possibilità di interrompere la linea di trasmissione della mutazione e così garantire ai figli di non essere portatori della sindrome – spiega Vanni -. Questo grazie alla diagnosi genetica preimpianto che permette appunto di individuare l’alterazione genetica dell’embrione prima di trasferirlo nell’utero, prima di cominciare la gravidanza. Anche qui però c’è lo scoglio dei costi. L’adesione ai programmi di genetica preimpianto è raramente coperta dal sistema sanitario pubblico».

In Italia la diagnosi preimpianto non è infatti contemplata nei Livelli essenziali di assistenza (LEA), se non per alcune condizioni e in qualche regione o contesto limitato, per esempio Toscana, Emilia Romagna e Veneto. Il Veneto, in particolare, accanto al LEA regionale, ha fatto una delibera per cui tutte le pazienti venete possono sottoporsi in qualsiasi regione italiana a questa procedura, sia nel pubblico sia nel privato, e poi ricevere il rimborso dal Sistema sanitario regionale veneto.

La donazione dei gameti e fecondazione eterologa

La crioconservazione dei gameti, la PMA e la diagnosi genetica preimpianto possono dare alle coppie con sindromi ereditare la possibilità in più di procreare e di non trasmettere ai figli la malattia. Ma esiste anche un’altra possibilità qualora la donna non abbia avuto la possibilità di preservare la fertilità: si tratta della donazione di ovociti che oggi in Italia rientra nei LEA. «L’ovodonazione e la successiva fecondazione eterologa possono dare un’ulteriore chance di diventare genitori alle coppie con sindromi ereditarie. In quest’ottica l’ovodonazione diventa un’opportunità in più, poi ogni paziente e coppia sceglierà la strada migliore da percorrere» conclude Valeria Vanni.

Antonella Sparvoli

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