Gestione in team delle complicanze cardiovascolari associate alle terapie oncologiche

Presentato alla Camera dei deputati il volume “Cardio-Oncology” che sottolinea la necessità di adottare strategie di prevenzione, diagnosi e trattamento delle problematiche cardiache nei malati di tumore

Le terapie oncologiche possono avere ricedute negative anche sul cuore, tant’è che dopo la diagnosi di cancro il rischio cardiovascolare aumenta del 42% e un evento cardiovascolare nel paziente oncologico riduce la sopravvivenza a 8 anni del 20% rispetto al resto della popolazione. Da questa consapevolezza, nasce l’esigenza di gestire gli effetti indesiderati su cuore e vasi sanguigni da parte di un team multidisciplinare che includa anche il cardiologo, oltre agli specialisti che tipicamente seguono il paziente oncologico (oncologo, ematologo, anatomo-patologo, specialista di medicina di laboratorio, ecc.). Lo hanno ribadito gli esperti intervenuti in occasione della presentazione alla Camera dei Deputati, del libro “Cardio-Oncology. Management of toxicities in the era of immunotherapy”, edito da Springer, a cura di Antonio Russo, Nicola Maurea, Dimitrios Farmakis e Antonio Giordano. Il volume raccoglie le ultime evidenze su quella che oggi viene chiamata cardio-oncologia, disciplina che studia le relazioni tra terapie oncologie e rischio cardiovascolare e sta acquisendo notevole importanza negli ultimi anni, complice anche l’introduzione di nuovi trattamenti, a partire dall’immunoterapia.

Tumori e rischio di cardiotossicità

Tumori e malattie cardiovascolari condividono alcuni fattori di rischio molto frequenti nella popolazione generale, a partire dall’alimentazione scorretta fino ad arrivare al fumo. Il rischio di effetti avversi sull’apparato cardiovascolare nei pazienti oncologici non è però lo stesso per tutti.

«Il rischio di sviluppare cardiotossicità non è lo stesso per tutti i pazienti ma dipende in larga parte da fattori legati al tipo di trattamento, alla dose di farmaco utilizzato o dalla presenza di malattie cardiovascolari preesistenti – spiega Antonio Giordano, direttore dello Sbarro Institute for Cancer Research and Molecular Medicine di Philadelphia e professore di anatomia e istologia patologica all’Università di Siena, oltre che uno degli autori del nuovo volume -. Il programma di cura deve prevedere un’azione coordinata multidisciplinare e personalizzata che coinvolga le differenti figure professionali. Vanno monitorati il peso, l’esercizio fisico, la gestione degli aspetti nutrizionali e l’eventuale trattamento di dislipidemia (grassi nel sangue) o ipertensione arteriosa».

Possibili effetti dell’immunoterapia sul cuore

Tra le terapie oncologiche che possono avere ricadute sull’apparato cardiovascolare c’è l’immunoterapia. Se è vero che questo trattamento ha rivoluzionato la cura di alcuni tumori, apportando benefici importanti, è anche vero che i farmaci immunoterapici possono avere effetti avversi e comportare potenziali anomalie su diversi organi e apparati, compreso quello cardiovascolare, come fa notare Antonio Russo, direttore dell’Oncologia medica del Policlinico Giaccone di Palermo e ordinario di Oncologia medica all’Università di Palermo nonché tesoriere AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica) e uno degli autori del volume Cardio-Oncology. «L’incidenza maggiore (di effetti aversi legati all’immunoterapia, ndr) può arrivare fino al 5% e presentare tassi di mortalità che raggiungono anche il 40% come nel caso della miocardite. Si rende perciò necessario istituire corsi di formazione sulla cardio-oncologia nel percorso formativo dei medici, offrendo un training avanzato per coloro i quali hanno già ricevuto una formale istruzione nel campo delle malattie cardiovascolari, dell’oncologia medica o dell’ematologia».

Maggiore attenzione alle complicanze cardiovascolari

Formare specialisti competenti nell’ambito della cardio-oncologia può aiutare a tenere meglio sott’occhio le interferenze tra terapie oncologiche e malattie cardiovascolari.

«Adottare strategie di prevenzione, diagnosi e trattamento delle complicanze cardiovascolari legate alle terapie antitumorali è diventato essenziale nel percorso di cura di un paziente – sottolinea Saverio Cinieri, presidente nazionale AIOM -.  Una corretta valutazione della funzione cardiaca al basale, durante e dopo le cure anti-tumorali consente di limitare l’incidenza degli eventi avversi cardiovascolari e ne permette una gestione adeguata nel caso si manifestino. AIOM è da sempre sensibile a queste tematiche e da diversi anni ha promosso la creazione di un gruppo di lavoro interdisciplinare che coinvolge altre Società scientifiche. Nel 2021 abbiamo pubblicato le prime Linee guida AIOM di Cardio-oncologia».

Anche le Associazioni di pazienti possono dare il loro prezioso contributo, promuovendo la conoscenza dei principali fattori di rischio cardiovascolare e ricordando ai pazienti che «la prevenzione delle tossicità cardiovascolari deve cominciare da un adeguato stile di vita anche dopo la diagnosi di cancro e durante le terapie – ricorda Ornella Campanella, fondatrice e presidente aBRCAdabra -. Essere protagonisti consapevoli del proprio percorso di cura significa conoscere e implementare misure per mitigare il rischio vascolare e migliorare la qualità di vita».

Lo studio sulle donne “mutate”

La necessità di una maggiore sinergia tra oncologia e cardiologia emerge anche nell’ambito della ricerca clinica e traslazionale, come segnala Lorena Incorvaia, coordinatrice nazionale AIOM Giovani e ricercatrice in Oncologia medica presso l’Università di Palermo. «Un recente studio, che abbiamo presentato in occasione degli ultimi Congressi ASCO ed ESMO, sottolinea l’importanza di una approfondita valutazione della funzionalità cardiaca e dei fattori di rischio cardiovascolari in particolari categorie di pazienti. Tra queste ricordiamo le donne in trattamento chemioterapico per il tumore della mammella che risultano, al tempo stesso, portatrici di specifiche mutazioni in geni coinvolti nei meccanismi di riparo del DNA. Questo è un importante esempio di come in futuro, in alcuni pazienti, sia indispensabile una migliore conoscenza del background genetico, una valutazione approfondita dei fattori di rischio e l’utilizzo di specifiche strategie di screening e follow-up. Tutto questo può permettere di ottimizzazione la gestione del rischio cardiovascolare e migliorare la sopravvivenza a lungo termine durante e dopo il loro percorso di cura».

Biomarcatori per il monitoraggio del rischio cardiovascolare

Un prezioso aiuto per identificare i pazienti a maggior rischio di complicanze cardiovascolari può venire dall’utilizzo di biomarcatori precoci, come la troponina ad alta sensibilità, rivelatasi utile per individuare i pazienti a rischio di miocardite. «Sia la troponina che i peptidi natriuretici (in particolare NT-proBNP) sono complementari come ausilio nell’identificare i pazienti a rischio di cardiotossicità per guidare l’uso dell’imaging. Nel volume vengono rappresentate le principali evidenze relative all’uso appropriato di tali biomarcatori. È però necessaria un’armonizzazione dei percorsi per implementare questi test nella routine clinica e serve una maggiore collaborazione di tutti gli specialisti coinvolti. Bisogna elaborare un PDTA ad hoc che permetta a tutti i pazienti di accedere senza restrizioni a tali strategie di monitoraggio e di diagnosi precoce di complicanze indotte dai farmaci immunoterapici» conclude Ettore Capoluongo, professore di Biochimica clinica e biologia molecolare clinica e direttore della Struttura operativa complessa di patologia clinica e genomica dell’Ospedale Cannizzaro di Catania.  

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