Forti da soli, più forti insieme

Le persone e le famiglie portatrici di una sindrome eredo-familiare sono chiamate ad essere forti rispetto a chi non vive una situazione di alto rischio genetico, come la maggior parte della popolazione normale. I diversi casi di malattia in queste famiglie – talvolta con esito funesto -, la inevitabile trasmissione delle sindromi di suscettibilità al cancro da una generazione all’altra, l’ansia e lo stress dei follow-up – per i soggetti già malati – e della sorveglianza intensificata sugli organi a rischio – per i soggetti malati e per quelli sani a rischio – creano una condizione permanente di ansia e preoccupazione. Non sostenibile se non si è o non si diventa resilienti e forti rispetto alla malattia, al rischio di malattia e a tutte le loro implicazioni. Queste persone, accettando questa condizione genetica non modificabile – essendo scritta nel proprio DNA -, informandosi come e dove possibile, confrontandosi con i propri familiari e con la comunità delle persone con la stessa sindrome o con altre sindromi ereditarie, spesso raggiungono una grande consapevolezza. Consapevolezza che diventa una risorsa preziosa, permettendo loro di diventare protagoniste della propria salute e della propria qualità di vita. La consapevolezza e la partecipazione attiva alla tutela della propria salute – a partire dal “caso mediatico” di Angelina Jolie – il primo volto noto a fare outing nel 2013 sulla propria sindrome HBOC, che l’aveva indotta ad affrontare da sana la chirurgia profilattica di riduzione del rischio – sono state rafforzate negli ultimi anni dalla grande accelerazione nella ricerca e nella pratica clinica in tale ambito specifico, su vari fronti: lo screening e la diagnostica – con lo sviluppo dei test genetici e genomici -, la medicina di precisione – grazie ai farmaci a bersaglio molecolare e immunoterapici -, la prevenzione – attraverso una chirurgia oncologica e profilattica sempre meno invasiva -, la farmaco-prevenzione, l’adozione di protocolli basati su una sana alimentazione e sulla regolare attività fisica. Inoltre, oggi le persone e le famiglie a rischio, anche grazie al ruolo delle organizzazioni di pazienti, dei media tradizionali e on line, dei social network, hanno un più facile accesso ad un grande patrimonio di informazioni e di conoscenze che contribuisce a rafforzare la loro consapevolezza e a rendere ancora più centrale e talvolta decisivo il ruolo del paziente nella presa in carico della propria salute, fisica e mentale.

Anche sul versante dell’Ecosistema Salute – operatori sanitari, medici di medicina generale, medici specialisti, personale paramedico, società scientifiche, strutture e istituzioni sanitarie a livello locale, regionale e nazionale – sono stati fatti notevoli progressi negli ultimi anni, a partire dai pionieristici Percorsi Alto Rischio della Emilia-Romagna nel 2013. A lungo il tema delle sindromi ereditarie è stato sottovalutato, ritenendo la loro incidenza limitata al 5-10% di tutti i tumori, mentre oggi si stima che possano essere almeno il 15-17% del totale.  Anche per l’emergere di numeri così rilevanti, i professionisti e le strutture ospedaliere, le società scientifiche, le istituzioni sanitarie regionali e nazionali si stanno finalmente occupando di tale popolazione, con la profonda consapevolezza che in tal caso occorra gestire non solo le persone già malate ma anche e soprattutto i loro familiari sani a rischio, per prevenire dove possibile la malattia o almeno per diagnosticarla quanto prima, con conseguenti migliori opportunità di cura. 

soggetti portatori di sindromi ereditarie vanno gestiti da gruppi multidisciplinari, in cui siano presenti le diverse competenze necessarie a garantire una visione complessiva della diagnostica, della cura e della prevenzione, che spesso riguardano organi diversi. La multidisciplinarietà richiede un salto culturale, modelli organizzativi e gestionali innovativi, come quelli che faticosamente si stanno realizzando all’interno delle Breast Unit. Le stesse società scientifiche, con le loro raccomandazioni e linee guida, si stanno interessando alle sindromi ereditarie, anche grazie alle forti innovazioni nei test genetici e genomici e nella sempre più ampia disponibilità di farmaci di precisione, particolarmente efficaci nei pazienti con specifiche mutazioni somatiche nel tumore e varianti patogenetiche costituzionali nel proprio DNA. Come spesso succede, purtroppo, il legislatore, sia a livello regionale sia a livello nazionale, rimane indietro nell’adeguare e rinnovare le norme – linee guida, inserimento nei LEA, esenzioni dal pagamento dei ticket, registri dei tumori ereditari, ecc. -, benché mai come in questo caso specifico il rapporto costi/benefici tra prestazioni e risultati sia altamente favorevole, grazie alla possibilità di avviare un sistematico processo di prevenzione primaria e secondaria su tale popolazione. Ovviamente costerebbe molto meno ai cittadini ma anche al sistema sanitario prevenire o diagnosticare un tumore nei primi stadi piuttosto che curare, spesso per tanti anni, un tumore in fase avanzata.

In questo scenario di domanda e offerta di salute pubblica il ruolo delle organizzazioni dei pazienti sta diventando sempre più determinante. Non solo per continuare ad essere un punto di riferimento per la popolazione e i cittadini che si trovino in una specifica condizione di salute, ma anche per poter agire da “catalizzatore”, per favorire una maggiore collaborazione tra i diversi attori dell’Ecosistema Salute. Talvolta, prese singolarmente, le realtà dell’Ecosistema Salute sanno esprimere delle eccellenze, nel campo della clinica, della ricerca o in quello normativo, amministrativo e gestionale. Ciò che spesso manca o difetta è proprio il “coordinamento” delle competenze e delle risorse, a causa di un modello culturale che ha sempre privilegiato la specializzazione e l’interesse della propria struttura, istituzione o area di competenza. Ne abbiamo avuto una evidenza nella fase iniziale della gestione del Covid-19, quando stavano prevalendo visioni e interessi territoriali e di parte, rispetto a quelli di tutti i cittadini e del Paese. Anzi, in quel caso senza una comune strategia europea per i vaccini difficilmente si sarebbero potuti ottenere, per i singoli Paesi, i risultati che oggi tutti possiamo toccare con mano. La collaborazione non è facile, costa lavoro e fatica, ma produce risultati enormemente superiori a quanto ciascuno di noi può ottenere singolarmente.

La Fondazione Mutagens fin dall’inizio si è candidata ad assumere il ruolo di catalizzatore nelle sindromi ereditarie. Abbiamo sempre creduto e ci siamo aperti alla collaborazione di ogni componente dell’Ecosistema Salute, purché dotato di valide competenze e animato dall’interesse sincero verso i pazienti, malati e sani a rischio di malattia. Mutagens – una Fondazione non profit, gestita da volontari, portatori di sindromi ereditarie – si è assunta la responsabilità di promuovere questa fusione e coesione di competenze, risorse, motivazioni, interessi, garantendo la centralità del paziente e del sistema sanitario pubblico, cioè l’accesso equo e omogeneo alle prestazioni giuste per tutti i cittadini italiani, indipendentemente dalla regione di residenza o domicilio. Ecco perché abbiamo avviato nei giorni scorsi la Campagna “FORTI DA SOLI, PIU’ FORTI INSIEME”, il fil rouge della Comunicazione 2022 della Fondazione, con la collaborazione dei nostri principali partner e sostenitori. Solo con lo sforzo di tutti – dei pazienti, degli operatori sanitari, delle istituzioni sanitarie, della comunità scientifica, delle aziende, dei media – potremo essere “Forti da soli, più forti insieme”.

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