Consulenza sulla fertilità per le donne con sindromi ereditarie

Un articolo italiano fa il punto sulla pianificazione della genitorialità nelle coppie portatrici di mutazioni germinali che predispongono ai tumori

Uno degli ambiti di maggiore impegno della Fondazione Mutagens è quello che riguarda la preservazione della fertilità e la pianificazione della genitorialità nelle coppie portatrici di mutazioni germinali associate a un rischio maggiore di sviluppare tumori. Nell’ottica di approfondire e fare il punto sullo stato dell’arte della questione, il “Team pianificazione genitorialità nelle coppie portatrici di sindromi ereditarie” di Mutagens ha realizzato un interessante Opinion-position paper, pubblicato di recente sulla rivista Critical Reviews in Oncology/Hematology. Gli autori sottolineano in particolare l’importanza di una consulenza sulla fertilità personalizzata per le donne portatrici di sindromi ereditarie associate a neoplasie.

Approfondiamo l’argomento con due dei firmatari del lavoro: Edgardo Somigliana – direttore del Centro di procreazione medicalmente assistita (PMA) del Policlinico di Milano e professore associato all’Università degli Studi di Milano, oltre che membro del Comitato scientifico di Mutagens – e Salvo Testa, presidente della Fondazione Mutagens.

Salvo Testa
Edgardo Somigliana

Oncofertilità e sindromi ereditarie

Quando si parla di consulenza sull’oncofertilità di solito si pensa a persone che hanno appena ricevuto una diagnosi di cancro. Tuttavia, quando si ha a che fare con soggetti con sindromi ereditarie di predisposizione ai tumori, questa questione non riguarda solo le persone portatrici delle varianti genetiche costituzionali al momento della diagnosi di cancro. Interessa infatti anche i soggetti sani ad alto rischio di malattia, nella prospettiva di intraprendere un percorso per la preservazione della fertilità prima dell’eventuale sviluppo della neoplasia.

«La necessità di dover ricorrere il prima possibile a interventi profilattici di riduzione del rischio (ovariectomia, annessiectomia, isterectomia, mastectomia), che priverebbero della possibilità di procreare e allattare, e la maggiore probabilità di crioconservare ovociti in giovane età, rende necessario nelle coppie con tali sindromi (anche sane) “anticipare” i tempi della pianificazione della genitorialità, per valutare tutti gli aspetti in gioco – fa notare Salvo Testa -. Un counseling personalizzato servirebbe a integrare tutti gli aspetti della “prevenzione”, per la salute della donna e in generale della coppia, con quelli inerenti il desiderio di procreare in modo consapevole».

Consulenza personalizzata e precoce sulla fertilità

«Questo Opinion-position paper è stato scritto con l’intento di offrire una panoramica sul tema dell’oncofertilità e promuovere l’empowerment delle coppie con sindromi ereditarie – puntualizza Edgardo Somigliana -. Il presupposto per farlo è avere chiaro quali siano le prospettive e le diverse opzioni a disposizione. Solo in un momento successivo subentreranno gli aspetti più tecnici, come la rimborsabilità di certe procedure, piuttosto che le specifiche preferenze personali, in relazione alle scelte della coppia». Prima di prendere tali decisioni è infatti fondamentale che le coppie abbiano chiare le implicazioni delle sindromi ereditarie sulla genitorialità. Ed è qui che entra in gioco l’importanza di una consulenza personalizzata e precoce. «Bisogna parlare con i pazienti, dare loro il tempo di prendere confidenza con il tema e di scegliere cosa è più giusto per loro, senza sottovalutare la componente psicologica – spiega Somigliana -. La consulenza non può essere risolta con un unico colloquio. Si tratta di prospettive di molti anni e nel tempo possono subentrare dei cambiamenti. Proprio per questo motivo occorre disegnare un percorso personalizzato che però sia allo stesso tempo dinamico, che possa variare nel tempo».

«E visto che le scelte delle coppie vanno a sovrapporsi inevitabilmente con percorsi di sorveglianza e di profilassi chirurgica, sarebbe utile, anche in questo contesto, l’interazione di più specialisti. In particolare il ginecologo dovrebbe dialogare anche con l’oncologo, il chirurgo, lo psicologo, lo specialista in riproduzione assistita, il genetista» osserva il presidente di Mutagens.

Linee guida sulla preservazione della fertilità

La consulenza sulla fertilità e il possibile utilizzo di tecniche di conservazione degli ovociti al momento della diagnosi di cancro oggi sono riconosciute dalle più importanti linee guida internazionali, ovvero quelle dell’American Society of Clinical Oncology (ASCO), dell’American Society of Reproductive Medicine (ASRM), della European Society for Human Reproduction and Embryology (ESHRE) e della European Society for Medical Oncology (ESMO). Tutti questi importanti documenti scientifici però tengono in scarsa considerazione le sindromi ereditarie. «Raccomandazioni specifiche sulla conservazione della fertilità per le donne portatrici di sindromi ereditarie sono incluse solamente in una delle quattro linee guida sopra menzionate (ASRM), con un focus solo sulle donne con mutazioni nei geni BRCA. Ora bisogna andare avanti e includere tutte le altre sindromi ereditarie che coinvolgono organi dell’apparato riproduttivo» osserva Somigliana.

Gli obiettivi di Mutagens

“Quando si parla di preservazione della fertilità bisognerebbe considerare non solo chi ha già sviluppato un tumore ma anche i soggetti sani a rischio” sottolinea Salvo Testa: «Al momento ci si preoccupa della questione solo per i soggetti già malati (specie donne che hanno ovviamente problematiche più complesse) e non anche di quelli “sani a rischio di ammalarsi”. Nel nostro articolo abbiamo enfatizzato questo aspetto per dare risposte anche ai soggetti sani, nell’ottica di una prevenzione primaria. Sappiamo infatti che molte donne, conoscendo perfettamente la propria condizione di rischio e privilegiando la profilassi chirurgica per mettersi in sicurezza, rinunciano del tutto alla genitorialità, con conseguenze negative anche nel rapporto con il proprio partner».

«Aggiungo che con il Team di lavoro sulla genitorialità di Mutagens vorremmo arrivare a proporre delle Linee guida su tale problematica, in modo da definire un “protocollo di riferimento nazionale”, rendere accessibili tali percorsi in tutte le regioni e nelle principali strutture ospedaliere, soprattutto del servizio pubblico. Anche per ridurre ed eliminare le attuali enormi disparità».

In nodo della diagnosi preimpianto

Chi ha una malattia genetica monogenica autosomica dominante (come la maggior parte delle sindromi ereditarie associate alla predisposizione al cancro) ha il 50% di possibilità di trasmetterla ai propri figli. Oggi le procedure di fecondazione in vitro consentono di identificare gli embrioni che portano o meno le varianti patogenetiche dei genitori e di trasferire solo quelli che ne sono privi. «La procedura è complessa e costosa e può essere efficiente solo in donne selezionate che hanno un numero elevato di ovociti di buona qualità e una diagnosi genetica definita. Si tratta comunque di un percorso difficile e senza garanzie di successo: le coppie devono averne consapevolezza» spiega Somigliana. Fatta questa premessa, lo scoglio maggiore da superare è a livello culturale e normativo, senza contare che l’adesione ai programmi PGT-M (Test genetici preimpianto per disturbi monogenici) varia notevolmente in tutto il mondo ed è raramente coperta dal sistema sanitario pubblico. «In Italia le richieste avvengono prevalentemente nelle strutture private perché la diagnosi preimpianto non è contemplata nei Livelli essenziali di assistenza (LEA), se non per alcune condizioni e in qualche regione o contesto limitato (per esempio Toscana). Occorre una rivoluzione culturale – sostiene Somigliana e lo conferma Testa -. Le malattie genetiche non vanno più viste come “maledizioni” da accettare. La medicina preventiva può fare molto, la diagnosi preimpianto può diventare un’opzione praticabile e un’alternativa all’aborto terapeutico, anche per interrompere la cascata generazionale in molte famiglie colpite da tumori ereditari».

Diagnosi preimpianto per i tumori ereditari

La Fondazione Mutagens punta a far rientrare tra le malattie per cui è concessa la diagnosi preimpianto anche le sindromi ereditarie associate ai tumori. Tenendo presente non solo il rischio di ereditare la predisposizione al cancro e l’alto rischio di tumori ma anche l’equilibrio mentale che accompagna l’esistenza delle persone portatrici. L’aspetto psicologico è infatti altrettanto importante, come ricorda la definizione di salute dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS): la salute è “uno stato di totale benessere fisico, mentale e sociale e non semplice assenza di malattia”.

«Purtroppo in Italia, come nella maggior parte dei paesi europei, non esistono leggi che consentano (nel SSN/Pubblico) di accedere alla PGT-M, che di fatto consentirebbe di generare figli senza le sindromi dei propri genitori, grazie a una “selezione” degli embrioni non mutati – osserva il presidente di Mutagens -. Dietro a questa problematica esiste ovviamente una grande questione bioetica (è giusto o non giusto forzare la natura per una decisione di questo tipo) e valoriale che specie in Italia diventa un “muro” insormontabile (basta guardare ai ritardi inerenti temi importanti come quelli del fine vita e del testamento biologico). Il risultato però è che sulla base di alcune sentenze della Corte costituzionale molte strutture private offrono ai pazienti tale opzione, creando una evidente disparità tra chi se lo può permettere e chi no (i costi sono elevati anche per la sola PGT-M, oltre che per la successiva PMA)»

Donazione di ovociti: un’opzione da considerare 

Attualmente la donazione di ovociti rientra nei LEA e le regioni si stanno impegnando su questo fronte, ma gli italiani dovrebbero cominciare a donare. «Bisogna iniziare a pensare anche alla donazione come terapia della genitorialità nelle coppie con sindromi ereditarie. Il problema è che la ovodonazione è poco accettata, abbiamo ancora l’idea che la genitorialità sia legata esclusivamente al DNA. Ma non tutti continuano a pensare in questo modo. Capita che alcuni pazienti la richiedano perché non vogliono il proprio “DNA malato”. In quest’ottica l’ovodonazione rientra a pieno titolo tra le frecce all’arco della procreazione/genitorialità per persone con sindromi ereditarie. Trattasi di un’opportunità in più, poi ogni paziente e coppia sceglierà la strada migliore da percorrere».

I vantaggi dell’ovodonazione

«Con la donazione di ovociti si potrebbe creare un “circuito virtuoso” tra donatori e beneficiari, rimuovendo uno degli ostacoli legato all’utilizzo della diagnosi preimpianto (scarsità di ovociti adatti alla procreazione) e ci sarebbe una maggiore trasparenza e tracciabilità del sistema della PMA. Si creerebbe anche una maggiore consapevolezza sull’importanza del tema, a maggior ragione in un paese in cui purtroppo si fanno sempre meno figli e in età avanzata, cosa non sempre compatibile con le “leggi della natura”» conclude Salvo Testa.

Antonella Sparvoli

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