Confermato l’effetto protettivo del “Babytam” nel tumore al seno

I dati a dieci anni indicano che il tamoxifene a basse dosi riduce il rischio di recidiva e tutela la qualità di vita delle donne con cancro della mammella, aprendo a un cambio nella pratica clinica

Si preannuncia una svolta nell’uso del tamoxifene nella prevenzione delle recidive nelle donne che hanno avuto un tumore al seno. Questo modulatore selettivo del recettore degli estrogeni, somministrato dopo l’intervento chirurgico alle pazienti che hanno avuto un tumore mammario intraepiteliale, si è infatti confermato efficace anche a basse dosi, con una riduzione drastica degli effetti collaterali. La buona notizia, che apre a un cambio della pratica clinica, arriva da uno studio multicentrico italiano, che ha visto il coinvolgimento di 14 centri, i cui risultati sono stati pubblicati di recente sul Journal of Clinical Oncology. Lo studio è stato sostenuto da Fondazione Airc per la ricerca sul cancro, ministero della Salute, Lilt e Ospedali Galliera di Genova. Commentiamo i nuovi dati con Bernardo Bonanni, Direttore della Divisione di Prevenzione e Genetica Oncologica dell’Istituto Europeo di Oncologia (IEO) di Milano, oltre che uno degli autori della ricerca.

Lo studio italiano

Nello studio multicentrico, denominato TAM-01, sono state arruolate 500 pazienti con meno di 75 anni con tumore della mammella non invasivo (carcinoma duttale in situ) o con lesioni precancerose (carcinoma lobulare in situ, iperplasia duttale atipica) sottoposte a intervento chirurgico ed eventuale radioterapia in caso di carcinoma duttale in situ. Le pazienti sono state suddivise casualmente (random) in due gruppi: un gruppo ha ricevuto 5 mg al giorno di tamoxifene (in realtà 10 mg ogni due giorni) e un gruppo ha ricevuto placebo, per soli tre anni rispetto ai 5 anni degli studi precedenti. Le partecipanti sono state quindi seguite per circa 10 anni.

Bernardo Bonanni

I risultati a 5 anni

«Nella prima analisi dei dati a cinque anni, pubblicata nel 2019 sempre sul Journal of Clinical Oncology, avevamo avuto risultati molto incoraggianti – spiega Bonanni -. Avevamo infatti dimostrato che il tamoxifene a basse dosi o babytam, come lo chiamano gli americani, è in grado di ridurre del 52% secondi eventi, ovvero tumori mammari in situ o invasivi, rispetto al placebo. Inoltre nel sottogruppo di pazienti che avevano sviluppato un tumore nell’altra mammella rispetto a quella affetta all’inizio, il rischio di tumore è diminuito del 76% (dato da prendere ancora con riserva perché i casi non erano molti). Questi ottimi risultati sono stati ottenuti a fronte di differenze minime in termini di effetti collaterali. Le donne che hanno ricevuto il tamoxifene hanno infatti riferito di avere avuto solo una o due vampate di calore in più al giorno rispetto alle pazienti del gruppo placebo».

Babytam: effetti a lungo termine

I dati a cinque anni si sono dunque rivelati molto rassicuranti non solo nella prevenzione delle recidive nella mammella affetta e in quella controlaterale, ma anche sul fronte della sicurezza del babytam. Una tesi oggi confermata dai dati decennali come riferisce Bonanni. «Siamo andati avanti nel tempo nell’osservazione delle pazienti per vedere se l’effetto del tamoxifene a basse dosi dato solo per tre anni si mantenesse negli anni. Nello studio appena pubblicato, i dati decennali dimostrano che è effettivamente così: il tamoxifene a basse dosi continua a mantenere i propri effetti protettivi, riducendo del 42% il rischio di nuovi tumori mammari, a fronte dell’assenza di effetti collaterali significativi a lungo termine o meglio dell’assenza di differenze significative tra i due gruppi dello studio»

Cambio nella pratica clinica

Fino ad oggi il dosaggio di tamoxifene indicato era spesso di 20 mg al giorno e il trattamento durava cinque anni, anche se negli ultimi anni alcune strutture ospedaliere, tra cui l’IEO e i centri che hanno partecipato allo studio TAM-01, avevano iniziato a usare il tamoxifene a basso dosaggio per cinque anni. «La conferma dell’efficacia e sicurezza del tamoxifene a basse dosi apre la strada a un cambiamento della pratica clinica – afferma Bonanni -. Alla luce dei dati a cinque anni e di quelli attuali a oltre dieci anni, ormai siamo fortemente portati a consigliare di protrarre il trattamento solo per tre anni, cosa che oltretutto risulta molto più accettabile per le pazienti. L’accettabilità della prevenzione da parte delle pazienti è sempre stata molto relativa, c’è sempre stata una ritrosia di concetto ma anche paura degli effetti collaterali. L’aver dimostrato che basta un periodo di assunzione relativamente breve, con effetti collaterali limitati molto accettabili, è davvero importante per motivare ancora di più le donne a seguire questa cura preventiva».

Nuovo studio di prevenzione sui sani ad alto rischio

I risultati ottenuti nello studio sul babytam aprono ora la strada a nuovi studi clinici di prevenzione su donne sane ad alto rischio tumore mammario. «Insieme all’Istituto Oncologico Veneto, all’Istituto dei tumori di Napoli e all’Ospedale Galliera abbiamo disegnato uno nuovo studio di fase II, chiamato studio TOLERANT, che ha ricevuto un finanziamento ministeriale. La ricerca, che partirà a maggio, verrà condotta su 200 donne ad alto rischio di tumore mammario a causa di una familiarità per la malattia o per la presenza accertata di un’alterazione patogenetica germinale nei geni di predisposizione BRCA1, BRCA2 o PALB2, o anche per pregresso tumore non invasivo – segnala Bonanni -. Lo studio non si limiterà a valutare la capacità preventiva del tamoxifene, ma studierà anche gli effetti di modificazioni dello stile di vita, in particolare sul fronte di alimentazione e attività fisica. In particolare verrà analizzato il possibile ruolo preventivo del “digiuno intermittente” su vari parametri metabolici che sono elementi di rischio ben assodati di tumore mammario».

Antonella Sparvoli

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