AIFA approva olaparib per prostata e ovaio

Approvazione AIFA olaparib

Via libera dell’agenzia regolatoria al capostipite dei PARP inibitori per il tumore prostatico metastatico in presenza di mutazioni BRCA e per il cancro ovarico avanzato con difetti del sistema di ricombinazione omologa

Sono sempre più numerosi gli studi che evidenziano come l’identificazione di mutazioni genetiche, germinali o somatiche, sia fondamentale per guidare le terapie per diversi tipi di tumori, permettendo di ottenere risultati molto soddisfacenti. È il caso, per esempio, dei tumori della prostata e di quelli dell’ovaio, per i quali l’Agenzia italiana del farmaco (AIFA) ha appena approvato la rimborsabilità di olaparib, la molecola capostipite della classe dei PARP inibitori. In particolare, il farmaco ha avuto il via libera per il trattamento dei pazienti affetti da tumore della prostata metastatico resistente alla castrazione e con mutazione dei geni BRCA1 e BRCA2 in progressione dopo una precedente terapia con un nuovo agente ormonale. L’agenzia regolatoria ha, inoltre, approvato la rimborsabilità di olaparib in combinazione con bevacizumab, nel trattamento di mantenimento di prima linea del carcinoma ovarico avanzato che presenti un difetto del sistema di ricombinazione omologa (HRD), in cui rientrano le alterazioni nei geni BRCA1 e BRCA2, ma non solo.

Olaparib e tumore dell’ovaio

In Italia il tumore ovarico colpisce circa 5200 donne ogni anno e quasi 50mila convivono con una diagnosi di tale tumore, il più temuto tra le neoplasie ginecologiche. Tuttavia la medicina di precisione sta cambiando le prospettive delle donne colpite. «Olaparib, in combinazione con bevacizumab, ha ridotto il rischio di progressione della malattia o morte del 67% – spiega Nicoletta Colombo, direttore del Programma di ginecologia oncologica dell’Istituto Europeo di Oncologia di Milano e professore associato all’Università Milano-Bicocca -. L’aggiunta di olaparib ha portato la sopravvivenza libera da progressione a una mediana di oltre 3 anni, cioè a 37,2 mesi rispetto a 17,7 con bevacizumab da solo nelle pazienti con carcinoma ovarico avanzato HRD-positivo. Sappiamo che il 70% delle donne con malattia avanzata va incontro a recidiva entro due anni: per questo motivo è importante utilizzare terapie di mantenimento in grado di ottenere una remissione a lungo termine. I dati ottenuti con un follow-up a 36 mesi hanno mostrato un miglioramento statisticamente significativo anche del tempo alla seconda progressione di malattia, con una mediana di 50,3 mesi rispetto a 35,3 mesi con bevacizumab da solo».

L’importanza del test genetico

Per poter offrire alle donne con carcinoma ovarico avanzato un trattamento di prima linea personalizzato con olaparib, in combinazione con farmaci antiangiogenici, è però fondamentale l’esecuzione del test genetico per i difetti del sistema della ricombinazione omologa (test HRD) al momento della diagnosi del cancro. «Questo test permette di indentificare tempestivamente le pazienti che possono beneficiare di un trattamento in grado di controllare la malattia a lungo termine, ritardando la ricaduta, con una buona qualità di vita – fa notare Nicoletta Colombo -. Le mutazioni dei geni BRCA rappresentano solo una parte dei difetti del sistema di ricombinazione omologa, i quali si ritrovano in circa il 50% delle pazienti con tumore ovarico avanzato di nuova diagnosi e predicono la sensibilità ai PARP inibitori».

Olaparib e tumore della prostata

La recente approvazione dell’AIFA di olaparib come monoterapia nei pazienti con carcinoma prostatico metastatico resistente alla castrazione con mutazioni BRCA1/2 (germinale e/o somatica), in progressione dopo una precedente terapia con un nuovo agente ormonale (enzalutamide o abiraterone), si basa sui risultati dello studio di fase III PROfound. «Olaparib ha più che triplicato la sopravvivenza libera da progressione radiologica, con una mediana di 9,8 mesi rispetto a 3 mesi con enzalutamide o abiraterone – afferma Giuseppe Procopio, responsabile Oncologia medica genitourinaria della Fondazione IRCCS Istituto nazionale dei tumori di Milano e coordinatore nazionale dello studio PROfound -. Olaparib, inoltre, ha ridotto il rischio di morte del 31%, con una sopravvivenza globale mediana di 19,1 mesi rispetto a 14,7 mesi con l’agente ormonale. E sono favorevoli anche i dati sulla qualità di vita, aspetto molto importante da considerare soprattutto nella fase metastatica».

Test BRCA per guidare la terapia

Anche nel caso del tumore alla prostata, come per l’ovaio, i test genetici rivestono un ruolo fondamentale come sottolinea Procopio. «Il test BRCA, eseguito su sangue periferico o su tessuto tumorale (per la ricerca di mutazioni germinali o somatiche rispettivamente, ndr), rappresenta uno step fondamentale nella diagnosi e nella decisione del trattamento del carcinoma prostatico metastatico, come stabilito anche nelle Raccomandazioni dell’Associazione italiana di oncologia medica (AIOM). Circa il 10% degli uomini presenta infatti una mutazione dei geni BRCA, consentendo di pianificare un percorso terapeutico adeguato, grazie alla disponibilità di una terapia mirata efficace e ben tollerata come olaparib».

Consulenza e percorsi per i familiari a rischio

L’esecuzione dei test genetici ha ricadute importanti non solo sulla scelta della terapia, ma anche per i famigliari del paziente, qualora venisse identificata una mutazione germinale, come ricorda il professor Giovanni Scambia, direttore scientifico della Fondazione Policlinico Universitario Gemelli di Roma. «L’identificazione di varianti nei geni BRCA1/2 in un uomo con carcinoma prostatico o in una donna con tumore dell’ovaio permette inoltre di intraprendere un percorso di consulenza oncogenetica nei familiari per identificare i portatori ad alto rischio. A questi ultimi possiamo proporre programmi mirati di diagnosi precoce dei tumori associati alle sindromi a trasmissione familiare BRCA e strategie finalizzate alla riduzione del rischio, come l’asportazione chirurgica di tube e ovaie. È stato stimato che, in una neoplasia come quella dell’ovaio, priva di efficaci strumenti di screening, questo approccio possa portare nei prossimi 10 anni a una riduzione dell’incidenza del 40%». 

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